Lo chiamano last chance tourism: raggiungere luoghi che potrebbero cambiare per sempre, in una sorta di viaggio perverso…

la trasformazione dell’apocalisse in prodotto turistico. Forse nessuna immagine lo racconta bene quanto le foto scattate dai visitatori accorsi nella Death Valley della California sperando di sperimentare la temperatura più alta mai registrata sulla Terra. Il record è di 56°C, l’ondata di calore nel sud degli Stati Uniti rischia di aggiornarlo, ed è difficile da ascoltare il risolino di una turista che si dice “super eccitata” alla prospettiva di un’emozione così a buon mercato. Il centro visite ha fatto mettere un termometro gigante, che sta benissimo nelle foto, la gente arriva per mettersi in fila, fa okay col pollice, sorride, sono gli stessi americani che in L’asso nella manica di Billy Wilder trasformavano una città abbandonata in una meta turistica per vedere l’agonia di un uomo intrappolato in una miniera. Oppure è l’equivalente di quelli che si fermavano sulla costa della Toscana per farsi un selfie con la Costa Concordia, solo che la Costa Concordia è tutta l’umanità, a metà (o a un terzo?) della sua traiettoria di riscaldamento globale. Reuters ha intervistato un tizio che nello stesso scenario prova a rovinare la festa e i sorrisoni con un fischietto e due cartelli: “Questa è la crisi climatica, stanno celebrando l’happy death day, non è una pietra miliare, ce ne sarà un’altra l’anno prossimo, tra vent’anni ci saranno 60°C, cosa diavolo stiamo celebrando?”. Lavoro duro quello delle Cassandre già a 20°C, figurarsi nella valle della morte. Forse è l’esperienza umana in purezza: trasformare la fine del mondo in una gita, chissà che sensazioni daranno quelle foto tra cinquant’anni, come sarà vedere i nonni in posa davanti al termometro della loro estinzione: ai nati degli anni Trenta sembreranno dei pazzi, degli psicopatici, dei pionieri?

Il centro visite del posto più caldo al mondo che ha trasformato la sua condanna in pacchetto turistico è la spia di un fenomeno più ampio. L’industria turistica era nata anche per replicare e industrializzare l’epoca delle grandi esplorazioni. Lo scopo di quelle gare di aristocratico testosterone era arrivare per primi da qualche parte: una vetta, un deserto, un ghiacciaio, i primi a vederlo, mapparlo, magari dargli il proprio nome. Ora che ogni buco, vetta, spunzone porta il nome di maschio novecentesco ormai deceduto e storicizzato, l’esperienza si è rovesciata: sta nascendo il brivido di essere gli ultimi a vedere un posto, un animale, un ghiacciaio che tra una generazione potrebbero essere definitivamente compromessi. Questa nicchia di perversione e desiderio del turismo ha un nome e una sua letteratura scientifica, last chance tourism, il turismo delle ultime possibilità…

Dopo il revenge travel post-Covid, il viaggio di rivalsa per le lunghe chiusure pandemiche, sta nascendo il turismo dell’eccitata malinconia della fine. In Antartide è uno dei motivi per spendere decine di migliaia di euro per una crociera. Per correggere il senso di colpa e privilegio ci sono tour operator che ti permettono di giocare al citizen scientist e di raccogliere dati per conto di NASA o dell’Università di Oxford, tracciando le migrazioni dei cetacei o misurando la salute del fitoplancton.

Una ricerca sui turisti dell’ultimo biglietto della barriera corallina in Australia ha mostrato come fossero anche quelli più consapevoli dei rischi del turismo, della fragilità dell’ecosistema, dei comportamenti responsabili da avere. È tutto un paradosso molto umano, una forma di pessimismo e privilegio, regalarsi uno sguardo di congedo al costo di contribuire ad accelerare quel collasso. Tanto ormai. Se pensi che ci sia una possibilità di evitarlo, il collasso, probabilmente sei giovane e senza soldi, e allora diventi attivista. Se pensi che non ci sia più niente da fare e hai un po’ di soldi, allora sali sul Titan e ti immergi a vedere il relitto dell’unico posto che potevi abitare.

ARTICOLO INTEGRALE  https://www.esquire.com/it/cultura/a44564877/ondata-di-caldo-turismo/

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