Usa e Nato contro Russia e Cina per la supremazia sulle ricchezze minerarie e ittiche e sulle rotte commerciali del Mar Artico che si sono aperte con la fusione della calotta polare. Un’area ricca anche di terre rare e materie prime strategiche.
Forze speciali e commandos “artici” in azione: il segnale Usa a Russia e Cina
Nell’Artico Navy Seal e Berretti verdi si addestrano alla “terza guerra mondiale”, simulando uno scontro tra super potenze nella regione ghiacciata che rischia di diventare il nuovo epicentro delle tensioni internazionali
Nell’Artico i commandos americani appartenenti alle migliori unità d’élite hanno simulato il dispiegamento in un’operazione di guerra convenzionale come avverrebbe in conflitto tra come “grandi potenze”. Navy Seal e Berretti Verdi, rispettivamente forze speciali della Marina e dell’Esercito, entrambe parte essenziale del Socom, il Comando delle Operazioni Speciali degli Stati Uniti che ha ampliato notevolmente il suo organico – da 38.000 unità nel 2001 a 73.000 nel 2020 – si confermano una componente essenziale anche nei conflitti su vasta scala che nell’immaginario collettivo apparterrebbero ai sottomarini nucleari, ai missili intercontinentali e ai bombardieri strategici. La scelta del teatro dell’Artico non è poi casuale: evidentemente il Pentagono diffida da Cina e Russia, e continua a mettersi alla prova per un’ipotetica “azione” in quello che è considerato dagli analisti uno dei settori che alimenteranno le future “tensioni globali“.
L’esercitazione, alla quale ha partecipato un giornalista del Washington Post in veste di osservatore, si è svolta sull’isola di Kodiak, in Alaska, dove la temperatura sono rigidissime e la temperatura dell’acqua di poco al di sopra dello zero. Secondo quanto riportato dal giornalista americano, le forze per le operazioni speciali sarebbero nel mezzo di “un’importante trasformazione” ma la loro presenza sarebbe essenziale per il dominio nell’Artico: regione che come ricordavamo è “ricca di risorse” e al centro di una vera e propria “corsa” al controllo dei passaggi concessi dallo scioglimento della calotta polare. Passaggi e aree che promettono di dare accesso a giacimenti di idrocarburi e terre rare fondamentali per l’economia di ogni super-potenza.
Negli ultimi anni il Pentagono ha notevolmente ampliato la sua attenzione alla regione dell’Artico, e, al pari degli avversari teorici e degli alleati della Nato, ha immaginato come “sarebbe una guerra qui in uno degli scenari più insidiosi del pianeta“, simulando scenari che prevedono azioni di guerra nel complesso operativo di una guerra con una potenza di pari entità: non una guerra asimmetrica come le operazione a cui hanno preso parte, da trenta anni a questa parte, le unità d’élite menzionate in apertura.
Lanciati sulla zona prescelta dal 160° Special Operations Aviation Regiment (Soar), unità addetta al trasporto delle forze speciali in zona operazioni, i commandos con indosso attrezzature e mute appositamente sviluppate per i climi più rigidi, hanno mostrato ancora una volta le manovre essenziali per “ottenere il dominio” di un’area strategica dove tutto, a causa delle rigidissime temperature, rischia di non funzionare come dovrebbe: dagli otturatori dei fucili d’assalto, alle batterie delle apparecchiature alle scorte di segue per le trasfusioni al personale rimasto ferito in combattimento.
Grandi potenze e nuovi confronti globali
Il Pentagono, reduce dai conflitti asimmetrici in Iraq e Afghanistan, può solo “studiare e teorizzare” ciò che Mosca sta apprendendo sul campo del conflitto convenzionale che si protrae ormai da due anni in Ucraina. Questo nonostante la presenza di osservatori d’intelligence e la “parte oscura” di un supporto logistico in aiuto di Kiev di cui non conosciamo le reali linee rosse ma che possiamo immaginare per stessa ammissione della Cia. Tra queste lezioni possiamo annoverare la nuova consapevolezza dell’impiego di unità corazzate e sviluppo di contromisure per difendere i tank dalle nuove minacce, ma anche e soprattutto, una expertise nella guerra elettronica.
Non meno importante, sebbene ben diversa come minaccia teorica, la militarizzazione della Cina, che, citiamo le fonti del Post “..sta superando gli Stati Uniti in tecnologie come i missili ipersonici“. Un vantaggio riconosciuto dal Pentagono che osserva e monitora da anni l’ampliamento della flotta della Plan Navy che dovrà seguire l’espansione di Pechino nella regione del Pacifico.
Mentre gli strateghi militari di Washington “calcolano” le potenziali conseguenze di un’invasione cinese a Taiwan – partner chiave dell’Occidente nel Pacifico, nonché dealer del 60% del mercato globale dei semiconduttori – altre sezioni analizzano scenari diversi e con essi l’impiego e lo schieramento delle “forze” sul campo. Secondo quanto riportato sempre dal Washington Post, il colonnello Tucker, supervisore alle operazioni speciali con competenza nel Nord America ha affermato che nell’eventuale acuirsi delle tensioni che potrebbero sfociare in un conflitto con una grande potenza, l’attivazione di piani di difesa nazionale comprenderebbero senza dubbio l’Alaska, terra di confine, sottolineando inoltre come “La probabilità che [una guerra Cina-Taiwan] rimanga isolata nel Mar Cinese Meridionale” debba essere considerato come “ qualcosa su cui… non conteremmo”.
Le forze speciali in azione
Le Forze speciali, fin dalla loro creazione, hanno sempre rappresentano nella strategia militare un asset per aprire le strada, fiancheggiare o supportare le unità convenzionali dell’Esercito. In particolare i commandos come quelli addestrati dai Navy Seal o dai Berretti verdi interverrebbero unità d’avanguardia, come osservatori o, nel caso di un conflitto convenzionale, come “acquisitori” di obiettivi. Questo almeno fino a una “ristrutturazione” di questa particolare entità.
In attesa una “riprogettazione” in vista di nuovi conflitti che si fatica anche solo ad immaginare, possiamo dunque affidarci alle parole del reporter del Post, che ha assistito al lancio di battelli pneumatici e incursori dal portellone posteriore di un Mc-130, il bimotore l’Hercules appositamente modificato per le “operazioni speciali” che volava a bassa quota per ingannare i radar. All’arrivo di grandi elicotteri birotore Ch-47 Chinook che scaricano un commando sulla cime innevata di una montagna con sci e motoslitte. Da lì un team di Berretti verdi, magari coadiuvato da unità speciali della Nato come quelle danesi e i norvegesi, possono “scendere” senza essere notati in prossimità di un obiettivo strategico che sta in un “punto cieco” per i satelliti, e fornire le coordinate gli operatori dei Marines che lancerebbero una salva di Himars sul bersaglio.
Quegli stessi missili che stanno usando, sul campo, in collegamento tra prima linea e retrovie, i commandos ucraini.
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