di Emmanuele Michela

Bengtsson ha diretto il Max Planck Institute per anni, poi è passato a un think tank “negazionista” ma ha dovuto fare marcia indietro: «Sono stato sottoposto a talmente tante pressioni che la situazione si è fatta insopportabile»

Tre settimane fa aveva stupito il mondo della scienza annunciando il suo passaggio alla Global Warming Policy Foundation (Gwpf), think tank londinese nato per mitigare le posizioni allarmiste in tema di riscaldamento globale. La scelta di Lennart Bengtsson, climatologo svedese tra i più famosi al mondo e per anni direttore dell’Istituto di meteorologia Max Planck di Amburgo, non era affatto passata inosservata vista la caratura dello studioso, uno tra i più importanti del “warmist establishment”, per certi aspetti il più influente mai passato al fronte “negazionista”.

Ma neanche un mese dopo lo scandinavo è dovuto tornare sui suoi passi dando le dimissioni dal Gwpf, a causa delle troppe pressioni ricevute dagli ex colleghi: «Non sarei in grado di portare avanti il mio normale lavoro e sarei troppo preoccupato per la mia salute e sicurezza», spiega il climatologo ottantenne nella sua lettera di dimissioni.

«NON ME LO SAREI ASPETTATO». È una sorta di fatwa quella che gli è stata lanciata, fatta di intimidazioni professionali, colleghi che hanno ritirato il loro appoggio a progetti condivisi e studi. Lo racconta lo stesso Bengtsson, stimato fino a poche settimane fa dalla comunità scientifica di tutto il mondo per i suoi lavori pionieristici sui modelli di sviluppo per prevedere le variazioni del clima.
Ora, invece, «non vedo altra soluzione se non dimettermi» per uscire da una situazione «che mi ricorda i tempi di McCarthy: non mi sarei mai aspettato nulla di simile da una comunità tanto pacifica in origine come la meteorologia». A Londra non l’hanno presa bene: David Henderson, presidente del Gwpf, ha protestato contro «lo scioccante grado di intolleranza e il rifiuto del principio della libera ricerca scientifica».

MODELLI SCIENTIFICI E REALTÀ. Il passaggio di Bengtsson dalla parte degli “scettici” sul global warming era stato dettato da ragioni ben chiare: lui stesso, in un’intervista allo Spiegel, diceva di aver costruito la sua carriera da ricercatore su previsioni e modelli, e di essersi accorto col tempo quanto fosse diventata importante «la verifica dei risultati dei modelli, così da assicurarne la credibilità. È frustrante che gli scienziati del clima non siano capaci di validare in modo corretto le loro simulazioni. Il riscaldamento della terra è stato ben più debole dalla fine del 20esimo secolo di quanto mostrano i modelli climatici».
Sul global warming ci sono dati ancora poco chiari, per questo non serve costruire politiche nazionali basandosi su previsioni climatiche a lungo termine: «Non ha senso pensare che la nostra generazione possa risolvere i problemi del futuro, per la semplice ragione che non sappiamo quali sono i problemi del futuro. Facciamo un esperimento e andiamo indietro a maggio del 1914: proviamo, dalla prospettiva di quel momento, a elaborare un piano d’azione per i prossimi 100 anni: sarebbe assurdo».

«SOTTOPOSTO A TROPPE PRESSIONI». Quando Bengtsson decise di lavorare con il think tank londinese, il direttore Benny Peiser commentò: «La cosa più significativa è che la sua specialità sono i modelli climatologici. E i modelli al computer, come sappiamo, sono il cuore delle teorie sul global warming. [Bengtsson] è la figura più importante ad ammettere, come molti altri stanno iniziando a fare, che c’è una discrepanza crescente tra ciò che i modelli hanno predetto e ciò che i dati reali sul mondo ci dicono realmente».
Poi però è arrivato l’isolamento scientifico, l’abbandono di tanti colleghi e la marcia indietro obbligata dello stesso Bengtsson: «Sono stato sottoposto a talmente tante pressioni in questi giorni da tutto il mondo che la situazione si è fatta insopportabile».

FONTE

La storia è stata ripresa su diversi media internazionali (Times, National Review, Daily Mail tra gli altri).

Lennart Bengtsson commenta gli eventi:

My view on climate research- La mia opinione sulla ricerca sul clima

Sul sito della Global warming policy foundation è apparsa la lettera di dimissioni di Bengtsson.

WEBPAGE Lennart Bengtsson.

L’allarmismo è un elemento che ha avuto un ruolo fondamentale nell’accrescere i finanziamenti governativi. Una voce piuttosto nota a favore di toni surriscaldati   ha detto la sua giusto ora.

UN COMMENTO:

Mercalli, l’etica e la merda

Nei giorni in cui un serio professore di climatologia come Lennart Bengtsson (già direttore del Max Planck Institute per la meteorologia di Amburgo, uno dei migliori centri di ricerca sul clima al mondo) viene costretto a dimettersi da un think tank che non la pensa come il mainstream catastrofista vorrebbe, il meteorologo televisivo Luca Mercalli parla al festival del cinema sull’ambiente di Torino spiegando che l’ultimo report dell’Ipcc (il panel di scienziati dell’Onu che studia i cambiamenti climatici) in sostanza dice che “siamo nella merda fino al collo“. La colpa, ovviamente, è dell’uomo. Usa parole forti perché – dice – la situazione è tragica, Mercalli, e il suo senso etico lo obbliga a dire le cose come stanno. Per dare forza al suo discorso, il meteorologo col papillon (in verità un po’ moscetto) cita l’ennesimo report di scienziati allarmisti condito da previsioni catastrofiste. Nulla di nuovo. Luoghi comuni, toni allarmati, nessuno spazio per chi, basandosi su ricerche scientifiche altrettanto serie, osa dubitare di certe conclusioni e certe correlazioni causa-effetto. Già: siamo nella merda fino al collo.

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