Passo dopo passo…

Auschwitz non è caduta dal cielo. Iniziò con piccole forme di persecuzione di coloro che erano considerati un pericolo o inutili al sistema, disabili, dissidenti, diversi e ovviamente gli ebrei. È successo; significa che può succedere ovunque. Per questo bisogna difendere i diritti umani e le costituzioni democratiche.  Auschwitz, 75 anni dopo: “Non essere indifferente”, dice il sopravvissuto del campo di concentramento Marian Turski…

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Marian Turski, discorso al 75° anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau, 27 gennaio 2020.

Cari amici, io sono uno dei pochi ancora vivi di coloro che sono rimasti in questo luogo quasi fino all’ultimo momento prima della liberazione. La mia cosiddetta evacuazione da Auschwitz è iniziata il 18 gennaio. Nelle successive sei giorni e mezzo fu una marcia della morte per più della metà dei miei compagni di prigionia, con i quali marciai in una colonna di seicento persone. Con ogni probabilità, non arriverò alla prossima commemorazione. Queste sono le leggi della natura.

Vi prego allora di perdonarmi l’emozione in quello che dirò ora. È qualcosa che voglio dire soprattutto a mia figlia, alla mia nipote, al mio nipote che ringrazio per essere qui presente: riguarda coloro che sono i coetanei di mia figlia, dei miei nipoti; una nuova generazione, in particolare i più giovani, quelli che sono più giovani ancora di loro.

Quando scoppiò la seconda guerra mondiale ero un adolescente. Mio padre era un soldato [della prima guerra mondiale] e aveva riportato una grave ferita d’arma da fuoco al polmone. Era una situazione drammatica per la nostra famiglia. Mia madre veniva dal confine polacco-lituano-bielorusso, dove gli eserciti hanno fatto avanti e indietro, saccheggiando, derubando, violentando, bruciando i villaggi per non lasciare nulla a quelli che arrivavano dopo di loro. Si può dire che ho conosciuto in prima persona tramite mio padre e mia madre cosa sia la guerra. Ma nonostante tutto, anche se erano passati solo 20 o 25 anni, mi sembrava lontano come le rivolte polacche del XIX secolo; lontano come la rivoluzione francese.

Quando incontro i giovani di oggi, mi rendo conto che dopo 75 anni sono un po’ stanchi di questo argomento: la guerra, l’Olocausto, il genocidio. Li capisco. Per questo vi prometto, giovani, che non vi parlerò della mia sofferenza. Non vi parlerò delle mie esperienze, delle mie due marce della morte, di come ho finito la guerra pesando 32 kg, esausto, in punto di morte. Non vi parlerò del peggio, cioè della tragedia di separarsi dai propri cari dopo la selezione, quando si intuiva cosa li aspettava. No, non parlerò di queste cose. Vorrei invece parlarvi della generazione di mia figlia e di quella dei miei nipoti.

Vedo che Alexander Van der Bellen, il presidente dell’Austria, è tra noi. Lei ricorderà, signor Presidente, quando ha ospitato me e i dirigenti del Comitato Internazionale di Auschwitz e abbiamo parlato di quei tempi. A un certo punto lei ha usato la frase: “Auschwitz ist nicht vom Himmel gefallen”. Auschwitz non è caduta dal cielo. Questa è, volendo usare una battuta nostra, un’ovvietà. Certo che non è caduta dal cielo. Eppure, anche se questa può sembrare un’affermazione abbastanza banale, contiene una profondissima e importantissima scorciatoia cognitiva.

Immaginiamo per un momento di essere a Berlino all’inizio degli anni ’30. Stiamo quasi nel centro della città, in un quartiere chiamato Bayerisches Viertel, il quartiere bavarese. A tre fermate dal Ku’damm; e dal giardino zoologico. Laddove oggi c’è la metropolitana di Bayerischer Platz. Ed ecco che un giorno, nei primi anni ’30, sulle panchine appare un cartello: “Gli ebrei non possono sedersi qui”. “Ok”, si potrebbe pensare, “questo è sgradevole, è ingiusto, non è bello, ma in fondo ci sono tante panchine qui intorno, ci si può sedere altrove, va bene così”.

Quello era un quartiere abitato dall’intellighenzia tedesca di origine ebraica. Albert Einstein, il premio Nobel Nelly Sachs, l’industriale, politico e ministro degli esteri Walter Rathenau vivevano qui. Un giorno un cartello appare davanti alla piscina. “Agli ebrei è vietato entrare in questa piscina”. “Ok”, si potrebbe pensare, “questo è sgradevole, ma Berlino ha così tanti posti per nuotare, così tanti laghi, canali – è praticamente una Venezia – quindi si può andare a nuotare da qualche altra parte”.

Poi appare un altro cartello. “Gli ebrei non possono far parte delle associazioni corali tedesche”. E allora? Vogliono cantare e fare musica? Che si riuniscano e cantino da soli. Poi un altro cartello. “I bambini ebrei non ariani non possono giocare con i bambini tedeschi ariani”. Così possono giocare da soli. E un altro. “Vendiamo pane e altri prodotti alimentari agli ebrei solo dopo le 17”. Ok, questo è un vero inconveniente perché c’è meno scelta, ma comunque si può ancora fare la spesa dopo le 17.

A questo punto cominciamo ad abituarci all’idea che si può escludere qualcuno. Che si può stigmatizzare qualcuno. Che si può trasformare qualcuno in un alieno. Lentamente, gradualmente, giorno dopo giorno, le persone cominciano ad abituarsi – le vittime, i perpetratori, i testimoni, quelli che chiamiamo gli spettatori – tutti cominciano ad abituarsi all’idea che una minoranza da cui sono nati Einstein, Nelly Sachs, Heinrich Heine e i Mendelssohn è diversa, che queste persone possono essere relegate ai margini della società, che sono degli estranei, che diffondono germi e scatenano epidemie. Da questi pensieri terribili e pericolosi inizia quello che succede dopo.

Il regime dell’epoca si muove con astuzia, venendo incontro alle richieste dei lavoratori. Il primo maggio non era mai stato festeggiato in Germania? Non importa, eccolo qui. Nei giorni di svago, introducono Kraft durch Freude – la forza attraverso la gioia. Vacanze organizzate per i lavoratori. Sconfiggono la disoccupazione e giocano sulle corde della dignità nazionale. “Germania, alzati dalla vergogna di Versailles. Ristabilisci il tuo orgoglio”.

Nel contempo, il regime vede che il popolo è gradualmente sopraffatto dall’anestesia dell’indifferenza. Smettono di reagire al male. E così il regime può permettersi di velocizzare il processo del male.

Da lì, le cose si susseguono. Divieto di assumere ebrei. Il divieto di emigrare. Poi il male si diffonde nei ghetti: a Riga; a Kaunas; al mio ghetto, il ghetto di Łódź – Litzmannstadt. La maggior parte di quelli che sono lì vengono mandati a Kulmhof – Chełmno – dove saranno uccisi in furgoni a gas, e il resto viene mandato ad Auschwitz, dove saranno uccisi con lo Zyklon B in moderne camere a gas. E qui vediamo la verità di ciò che ha detto il presidente Van der Bellen: “Auschwitz non è caduta improvvisamente dal cielo”. Auschwitz si è mossa in punta di piedi, a piccoli passi, avanzando gradualmente, finché non sono iniziate le cose che sono avvenute qui.

Mia figlia, mia nipote, coetanei di mia figlia, coetanei di mia nipote – forse non conoscete il nome di Primo Levi. Primo Levi è stato uno dei più noti prigionieri di questo campo. Una volta ha sintetizzato il concetto: “È successo, quindi può succedere di nuovo, può succedere ovunque”.

Condividerò con voi un ricordo personale. Nel 1965 ero negli Stati Uniti d’America con una borsa di studio durante la lotta per i diritti umani, per i diritti civili, per i diritti degli afroamericani. Ho avuto l’onore di partecipare alla marcia da Selma a Montgomery con Martin Luther King. Quando i miei compagni di marcia scoprirono che ero stato ad Auschwitz, mi chiesero: “Pensi che una cosa del genere possa accadere solo in Germania? O potrebbe accadere altrove?”. Dissi loro: “Potrebbe accadere a voi. Se i diritti civili vengono violati, se i diritti delle minoranze non vengono rispettati e vengono aboliti. Se la legge viene violata, come è successo a Selma, allora potrebbero succedere queste cose”. Cosa fare? “Dovete fare tutto quanto è possibile. Se potete difendere la costituzione, difendere i vostri diritti, difendere il vostro ordine democratico, difendere i diritti delle minoranze – allora potete superare tutto questo”.

La maggior parte di noi europei proviene dalla tradizione giudeo-cristiana. Credenti e non credenti accettano i dieci comandamenti come canone della nostra civiltà. Un mio amico, Roman Kent, il presidente del Comitato Internazionale di Auschwitz, che ha parlato qui cinque anni fa durante la precedente commemorazione, non ha potuto essere qui oggi. Ha coniato l’undicesimo comandamento, che nasce dall’esperienza della Shoah, l’Olocausto, l’epoca terribile del disprezzo. Recita così: non dovrai essere indifferente.

E questo è quello che voglio dire a mia figlia, quello che voglio dire ai miei nipoti. Ai coetanei di mia figlia, ai coetanei dei miei nipoti, ovunque vivano, in Polonia, Israele, America, Europa occidentale, Europa dell’est. Questo è molto importante. Non siate indifferenti di fronte alle menzogne storiche. Non siate indifferenti quando il passato viene distorto per i bisogni politici di oggi. Non siate indifferenti quando una minoranza viene discriminata. La regola della maggioranza è l’essenza della democrazia, ma la democrazia significa anche che i diritti delle minoranze devono essere protetti. Non siate indifferenti quando un’autorità viola il patto sociale esistente.

È necessario essere fedeli a questo comandamento. All’undicesimo comandamento: non sii indifferente.

Perché se sei indifferente, non te ne accorgerai nemmeno quando sulle tue teste, e su quelle dei tuoi discendenti, cadrà dal cielo un’altra Auschwitz.

(Tradotto da Ben Stanley).

TRADUZIONE A CURA DI NOGEOINGNERIA

FONTE https://medium.com/@BDStanley/thou-shalt-not-be-indifferent-ce039cc83182

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