Il governo Draghi ha già pienamente coinvolto l’Italia nella guerra: l’articolo di Antonio Mazzeo illustra il livello di coinvolgimento già raggiunto.
Di Antonio Mazzeo
Intervento di Antonio Mazzeo al Convegno “Dalle Università ai Teatri di Guerra blocchiamo la Filiera della Morte”, Torino, 18 marzo 2022, organizzato dal collettivo Cambiare Rotta Torino nell’ambito del Sottosopra fest V Edizione – Contro la guerra e il riarmo!
Non vorrei essere pessimista ma in tutta sincerità, ogni giorno che passa, vivo in prima persona la profonda preoccupazione di un conflitto che si sta estendendo. E un conflitto che può diventare veramente totale e globale, oltre che ovviamente nucleare.
Un conflitto che ci vede già in prima linea. L’Italia è in guerra. E non siamo in guerra soltanto perché quotidianamente da Pratica di Mare o da Pisa partono quei cargo pieni di armi, che verranno consegnati non sappiamo in che modo e a chi – accontentandoci di sapere che sono indirizzati in Ukraina, ma sapendo che contribuiranno ad estendere e ulteriormente infiammare la gravità della situazione.
Siamo in guerra perché le forze armate italiane e il territorio italiano è già, in questo momento, un territorio di guerra. E un territorio da dove continuamente partono operazioni che sono di provocazione e che contribuiscono ad aggravare le situazioni di conflitto.
I compagni portuali che hanno parlato prima in questo convegno, sanno benissimo il ruolo che Genova, Livorno, La Spezia. Trieste, Pisa, hanno avuto in questi anni nell’armare i conflitti, principalmente nell’area medio orientale. Da parte nostra come Movimento NoMUOS ci siamo dati appuntamento prima a Niscemi (sabato 12 marzo) e poi a Sigonella (domenica 20 marzo) due luoghi che, come nel caso della Val di Susa, sono proprio il simbolo della condanna dei territori, che vengono espropriati e direi stuprati per finalità di morte e distruzione. Siamo stati a Niscemi perché all’interno di una riserva naturale, una delle aree più belle della Sicilia, è stato realizzato uno dei quattro terminali terrestri del MUOS, il sistema di telecomunicazioni satellitari ad uso esclusivo delle forze armate statunitensi.
Chiariamo subito che non è un progetto NATO e non è neanche un radar, è un sistema di telecomunicazioni che ha proprio il compito di far transitare dati, comandi e attività di intelligence. Non c’è utente delle forze armate americane, non c’è sottomarino, missile balistico nucleare, portaerei, cacciabombardiere, unità navale, non c’è un singolo militare o reparto che non faccia circolare le informazioni, le immagini, i comandi all’interno di questo sistema satellitare. Sono stati realizzati quattro terminali terrestri di questo tipo, uno alle Hawaii, uno in Australia, uno direttamente in Virginia e uno in Sicilia, a dimostrazione di come l’Isola abbia un ruolo geostrategico globale nelle operazioni di guerra. Per questo siamo stati a Niscemi perché sappiamo che ogni attività di comando, ogni decisione che può eventualmente alzare l’asticella di questo conflitto, passerà dal territorio italiano: passerà dal territorio siciliano e dalla riserva naturale di Niscemi.
E poi Sigonella, che negli ultimi 40 anni ha avuto un ruolo direi centrale in tutti i conflitti, dalla guerra dello Yom Kippur nel 1973 con Israele, alla prima e seconda guerra nel Golfo, e poi le operazioni di guerra in Afghanistan, quelle del 2011 rispetto alla Libia… Da Sigonella decollano quotidianamente i droni della marina militare statunitense e i droni AGS della NATO, per tutte quelle operazioni di provocazione al confine con la Russia, con la Bielorussia, in Ukraina, sorvolando il Mar Nero e la Crimea. Sono attività d’intelligence fondamentali che deliberatamente accentuano il braccio di ferro con la Russia. Per il fatto di accentuare ulteriormente la situazione di crisi e di conflitto, impediscono scelte di diplomazia che sarebbero le sole in grado di imporre alle parti di sedersi al tavolo dei negoziati, o come minimo tentare di ottenere un cessate il fuoco in nome del diritto alla vita per le popolazioni dell’Ukraina e ovviamente del Donbass.
Ma da Sigonella non partono soltanto gli aerei che fanno operazioni d’intelligence, partono anche gli aerei che hanno una funzione di guerra elettronica, che è il primo passo di un’escalation armata: prima accechi i sistemi radar e i sistemi di telecomunicazione degli avversari, poi scateni i bombardamenti con sistemi missilistici, con armi nucleari, con i cacciabombardieri eccetera. Quotidianamente i pattugliatori Poseidon della Marina militare statunitense decollano da Sigonella e fanno lo stesso tragitto dei droni, sorvolando a poche miglia di distanza il confine con la Russia. Il ruolo dell’Italia anche in questo caso non è indifferente: da Sigonella partono infatti anche i pattugliatori dell’aeronautica italiana con la funzione di controllo di tutto lo specchio del Mediterraneo, sorvolano particolarmente la Siria dove c’è la base strategica della flotta russa. E raggiungono e sorvolano poi il Mar Nero.
Dalla Sicilia, dalla base di Trapani-Birgi (una base che è diventata tristemente famosa nel 2011 perché è da lì che è decollato il 70% delle operazioni di bombardamento in Libia, da parte della coalizione multinazionale a guida statunitense e poi NATO) decollano dunque gli aerei radar della Nato, con questa duplice funzione: come radar di controllo ma anche di disturbo elettronico.
C’è stata un’operazione di guerra recentemente, che la stampa ha volutamente occultato. Due bombardieri strategici B52 che erano stati trasferiti in Europa prima dell’attacco della Russia all’Ucraina, sono decollati dalla Gran Bretagna, hanno attraversato buona parte dell’Europa e in una tipica operazione muscolare, di provocazione, hanno raggiunto il confine con la Russia. Si tratta di vere e proprie fortezze volanti, sono aerei che possono trasportare testate nucleari come le B61, cioè quelle a caduta libera, che oggi sono ospitate nelle basi di Ghedi, a Brescia, e di Aviano in provincia di Pordenone. Questi bombardieri possono anche imbarcare missili da crociera a doppia capacità, convenzionale e nucleare…
Ebbene, dopo aver raggiunto i confini con la Russia sono tornati indietro, quasi a voler dimostrare che l’ipotesi di una guerra nucleare non è soltanto qualcosa di propagandistico che viene lanciato ogni tanto per minacciare, ma viene concretizzato e sperimentato giorno per giorno. Quasi a voler dire che se la situazione peggiora, siamo disponibili a pensare anche all’uso, nel migliore dei casi limitato, o all’occorrenza totale, dell’arma nucleare.
Ma la cosa grave è che questi due bombardieri, nelle loro operazioni di provocazione, sono stati scortati fino al confine con la Russia da cacciabombardieri italiani. Sono partiti da Amendola in provincia di Foggia gli F35, diventati ormai operativi, aerei che hanno una doppia capacità, sono aerei convenzionali ma in caso di crisi possono imbarcare quelle B61 che come dicevo poco fa sono già presenti nel territorio italiano. Oltre agli Eurofighters, i cacciabombardieri partiti probabilmente da Grosseto che hanno fatto questa operazione di accompagnamento e di provocazione.
Ma non dimentichiamo il ruolo strategico di Aviano, base di proiezione dei cacciabombardieri F16, anche questi a capacità nucleare dell’aereonautica militare statunitense. Ormai è da anni che esiste un ponte aereo tra Aviano e le basi polacche nell’ambito di questa pressione alla Russia che viene esercitata sia dagli Stati Uniti che dalle truppe NATO. Aviano è anche la piattaforma di partenza delle truppe statunitensi presenti in territorio italiano, mi riferisco alla cosiddetta 173^ brigata aviotrasportata, forza di eccellenza degli Stati Uniti d’America, che è presente a Vicenza – da notare questo duplice ruolo di Vicenza-Aviano di proiezione di guerra.
Tra l’altro la 173^ brigata aviotrasportata è il reparto d’élite che dal 2014 addestra le forze armate ucraine. Ovviamente addestra anche la guardia nazionale, quel reparto dove sono stati cooptati già nel 2014 il cosiddetto battaglione Azov e altre formazioni che un tempo erano gruppi paramilitari, ma che oggi appartengono a tutti gli effetti alle forze armate e all’esercito ucraino. Dico questo perché spesso si pensa che ci siano reparti militari ufficiali e gruppi paramilitari esterni al controllo del governo ucraino: assolutamente no, è dal 2014 che questi battaglioni, che erano nati come reparti paramilitari di attacco alle repubbliche autoproclamatesi del Donbass, sono stati ormai cooptati. Per cui quando andiamo a dare le armi all’Ucraina, si sappia che non le diamo a ufficiali con le stellette che rispondono a un potere politico. Stiamo armando anche gruppi che si sono macchiati di nefandezze, di violazioni e di crimini inauditi.
A tutto questo dobbiamo aggiungere una serie di unità militari che l’Italia ha già direttamente posizionato alle porte della Russia. Noi abbiamo trasferito reparti terrestri in Lettonia e in questo momento facciamo parte dei quattro battaglioni di pronto intervento della NATO già insediatisi nelle tre repubbliche baltiche e in Polonia, mentre un quinto è in via d’insediamento in territorio rumeno…
Proprio qualche giorno fa è stata ufficializzata dal comando della NATO una piantina in cui i numeri sono veramente impressionanti. E’ gravissimo che i media che ormai dedicano 23 ore e 59 minuti ogni giorno al conflitto dell’Ucraina con una narrazione mainstream che non fa altro che accentuare la logica del conflitto e dello scontro, abbia omesso di ricordare che in questo momento, direttamente alle dipendenze della NATO, sono stati insediati più di 40.000 militari nel cosiddetto fianco est dell’alleanza, mi riferisco a Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, e alle tre repubbliche baltiche. A questo si aggiungono i 100.000 militari che gli Stati Uniti hanno attualmente in territorio europeo.
Sono numeri che speravamo di non dover più riscontrare dai momenti più critici della Guerra fredda, e da quando gli americani avevano progressivamente ridotto le loro forze militari, scegliendo di insediare le loro forze in alcuni hub in grossi centri europei. Oggi sono 100.000. A questi si aggiungono 200 unità navali e sottomarini: in questo momento abbiamo in atto la più grande esercitazione militare che si sia mai svolta nel Nord Europa a partire dalla guerra fredda, la cosiddetta Cold Response che starebbe a significare “risposta fredda” anche se di freddo non c’è niente, è piuttosto una risposta calda: 35.000 militari che si stanno addestrando in Norvegia, tra l’altro non soltanto delle Forze NATO perché ormai esiste una NATO de Jure, una NATO di diritto, ma esiste sempre di più una NATO di fatto.
Ci sono paesi che hanno mantenuto un ruolo di neutralità fondamentale durante la guerra fredda contribuendo ad accelerare processi di disarmo e di smantellamento delle testate nucleari tra USA e URSS – penso in particolare alla Svezia e al ruolo che ha avuto la Finlandia, o la stessa Svizzera e che storicamente dalla loro costituzione hanno mantenuto un ruolo neutrale ma che oggi partecipano direttamente alle operazioni di “deterrenza” anti-russa.
Dicevo delle esercitazioni in Norvegia: l’Italia è presente anche in queste esercitazioni, abbiamo dislocato la portaerei “Garibaldi” con le sue centinaia di uomini e i suoi sistemi armati e abbiamo dislocato un reparto degli alpini direttamente ad addestrarsi in Norvegia. A questi si sono aggiunti i cacciabombardieri che abbiamo a Costanza, aeroporto della Romania. E per concludere questo scenario devastante, in questo momento nel Mar Ionio, tra la Grecia e la Calabria stanno giocando alla guerra tre portaerei: due a propulsione nucleare, la francese “Charles De Gaulle” e la statunitense “Truman”, oltre all’italiana “Cavour”, che viene utilizzata per sperimentare gli atterraggi e i decolli degli F35 nella versione navale. Anche questa esercitazione che si svolge nello Jonio rappresenta una chiara proiezione rispetto alla minaccia armata.
E questi numeri, questi militari, questi reparti armati, questi sistemi missilistici già installati nei territori dell’Europa dell’est, rappresentano un ulteriore elemento di drammatizzazione della situazione, un elemento che accresce i rischi reali che si arrivi a una guerra non più localizzata solo nel territorio ucraino, ma che potrebbe estendersi a macchia d’olio. Pensiamo alle recenti farneticanti dichiarazioni del Ministro Guerini, che probabilmente pensa di poter estendere il conflitto dalla Russia anche in altre aree strategiche: quando ha detto che l’Italia deve prepararsi a questo confronto, a monitorare i russi e la Wagner (la società di contractor russa), nei Balcani, nel mediterraneo, nel continente africano, ha chiaramente prefigurato una situazione di preparazione a una guerra che potrebbe non soltanto limitarsi all’Europa ma potrebbe anche estendersi. Anche in caso di risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina, potrebbe replicarsi il braccio di ferro NATO/Russia in altre regioni, fuori dagli occhi dei media e al riparo dalla falsa ipocrisia di forze politiche che denunciano le guerre soltanto quando conviene, dimenticando le centinaia di migliaia di morti come ad esempio accade in Yemen, con l’uso di armi italiane, con le bombe italiane.
Concludo ricordando, oltre ai due appuntamenti NoMUOS già avvenuti a Niscemi e Sigonella, anche quello dell’8 aprile a Palermo, di fronte all’Ufficio Regionale Scolastico siciliano che si è macchiato di una nefandezza. All’interno del processo che mira a trasformare la Sicilia in un laboratorio sperimentale dei processi di militarizzazione del territorio, un laboratorio sperimentale delle guerre del 21imo secolo che si combattono con le armi automatizzate come i droni, come se questo non bastasse, la Sicilia è destinata a diventare anche il laboratorio della trasformazione della scuola in luogo dove costruisci il pensiero militare, il cittadino di guerra, il cittadino-soldato un po’ come è stato realizzato con il modello israeliano in cui si è militari per tutta la vita, si è spie per tutta la vita, si è pronti ad aggredire “difendendosi” per tutta la vita.
L’Ufficio Scolastico Regionale siciliano, 1° in tutta Italia, ha firmato un protocollo con l’Esercito italiano per garantire la famigerata alternanza scuola/lavoro direttamente all’interno delle caserme, nelle strutture di morte, nella basi militari, accelerando un modello di militarizzazione dell’istruzione che ha già devastato la scuola pubblica italiana. Per questo abbiamo ritenuto come NoMUOS che il terzo appuntamento per chiudere questa campagna contro la guerra andasse fatto insieme ai movimenti studenteschi e ai sindacati di base per denunciare una struttura che ha la funzione di costruire un modello educativo funzionale alla logica neoliberista della Guerra.
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