Di Giulietto Chiesa e Paolo De Santis

Qualcuno agisce, sopra le nostre teste. Noi vediamo cose che non siamo in grado di spiegare del tutto (per il momento) ma che sono visibili, sempre più visibili, incontestabilmente visibili.
Quando in molti hanno cominciato a chiedersi che cosa fossero quelle “cose” che si vedono in cielo, e le hanno chiamate “scie chimiche” (in inglese “chemtrails”) ecco scatenarsi lo stuolo dei cosiddetti debunkers, con il loro codazzo di insulti. “Complottismo!”, “visionari!”, “esaltati!” quando non “malati di mente”, e via elencando cose che non c’entrano niente, come lo sbarco sulla Luna, gli UFO, i rettiliani, l’11 settembre, l’AIDS, il cancro, i chips nel cervello, il rasoio di Occam, Piero Angela e il CICAP, la National Security Agency, Kafka, la zia pazza del vicino di casa, il gatto della zia pazza del vicino di casa, ecc.
Lasciamo da parte i motivi che spingono così tanta gente a indignarsi, scatenarsi fino all’insulto, nei confronti di coloro che si pongono, e pongono, domande di fronte a cose e fenomeni che non sono facilmente spiegabili. Si va da questioni strettamente personali come la tutela della propria tranquillità ed equilibrio mentale (per difendersi da ogni notizia o fatto, veri o presunti, che possano turbarli), fino a – attraverso tutte le sfumature intermedie – più o meno considerevoli emolumenti erogati da coloro che quei fenomeni intendono nascondere con la massima cura. Ma non è di questo che intendiamo parlare. Non senza avere rilevato che la quantità di giornalisti che si mettono al servizio dei debunkers è particolarmente elevata. Senza l’aiuto dei gatekeepers, i debunkers sarebbero molto più deboli e l’impresa di nascondere i fatti sarebbe molto più difficile. Ma questo preambolo serve solo per dichiarare solennemente che non parleremo più di “scie chimiche”.

Parleremo invece di geoingegneria.
Per due motivi: perché questo è il termine che viene usato negli ambienti accademici e specialistici. Il che ci consente di ridurre l’area della confusione.
E perché, in tal modo, costringeremo i  debunkers e i gatekeepers  a compulsare qualche testo successivo a Galileo Galilei. Contro il quale, sia detto per inciso, noi non nutriamo alcun sospetto. Ci piace anzi moltissimo  il suo aforisma sulla “sensata esperientia et certa demonstratione”. Non ci piace invece l’uso di Galilei in veste di alter ego di Aristotele.

Prima d’incamminarci sulla strada assai poco illuminata della geoingegneria diamo un’occhiata al CDM, acronimo  Clean Development Mechanism, espressione coniata per descrivere un artificio economico consistente nel consentire a produttori irresponsabili di gas ad effetto serra di comprare diritti di emissione degli stessi gas da venditori più o meno virtuosi di quei diritti (cioè paesi e compagnie che ne producono di meno, o addirittura ne assorbono determinate quantità).
Il CDM fu un effetto dei negoziati di Kyoto, che furono siglati dopo che gravi e molto ben motivati allarmi degli scienziati di tutto il mondo fecero emergere la realtà: che il riscaldamento climatico alla superficie della Terra era il prodotto delle attività umane.  Lasciamo stare qui  le cause, per non perdere il filo del discorso: quello che è certo è che il CDM non ha funzionato. Il riscaldamento climatico procede, si accelera anzi, a ritmi che, fino a pochi anni fa erano ritenuti impensabili, e ci avvicina a catastrofi ambientali di cui si sa con certezza che saranno gigantesche, ma di cui nessuno è in grado di misurare la portata, la frequenza  e i luoghi in cui si verificheranno.
Nel frattempo il trattato di Kyoto è scaduto, nel 2012, e nessun trattato sostitutivo è stato siglato. Cioè siamo in balia delle forze dei mercati che, come dovrebbe ormai essere evidente, sono totalmente irresponsabili e non hanno alcun meccanismo regolatore, o mitigatore, della loro irresponsabilità.
In realtà il CDM con la geoingegneria c’entra poco e niente. Infatti è un meccanismo essenzialmente economico-commercial-finanziario che è servito per aggirare il problema – e rimandarlo alle calende greche –  piuttosto che per risolverlo.  Invece c’entra, e molto, il SRM (altro acronimo che sta per Solar Radiation Management, cioè, in italiano, Gestione – ovvero contenimento, ovvero mitigazione, riduzione, blocco, etc –  della Radiazione Solare). Ne parliamo perché il Panel Internazionale per il Riscaldamento Climatico (IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite ha pubblicato, lo scorso settembre 2013 il suo Quinto Rapporto  (AR5), nel quale nomina per la prima volta la geoingegneria come tecnica in grado di controllare il riscaldamento globale senza dover ridurre le emissioni di gas ad effetto serra.  L’altro segmento della geoingegneria si chiama CDR (Carbon Dioxide Removal, in italiano Rimozione dell’anidride carbonica).  Esistono procedure già testate, per esempio quella detta CCS (Carbon Capture and Storage) che permetterebbero di  catturare la CO2 emessa da impianti alimentati a carbone e gas, immagazzinandola in maniera permanente nel sottosuolo. Il problema sono i costi. Per “parare”, ovvero rimuovere, 8 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno entro il 2050 occorrerebbero tra 4000 e 8000 grandi impianti di CCS.  Poiché le stime dicono che ognuno di questi impianti si aggira su costi vicini al miliardo $, ci vorrebbero da 4 a 8 trilioni $ (sopra il  2% del Pil mondiale).

Nessuno pensa di tirare fuori queste cifre. La verità cruda è che le emissioni  di gas a effetto serra si possono ridurre solo con una drastica svolta verso un contenimento dello sviluppo economico quale quello che stiamo sperimentando. E’  lo sviluppo continuo della produzione energivora di beni e servizi che produce inesorabilmente il riscaldamento climatico. La strada qui è sbarrata: stati e corporations non hanno la minima intenzione di procedere in quella direzione, che comporta modificazioni radicali nella struttura produttiva del pianeta, investimenti giganteschi. Nessuno dei potenti del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, è disposto a questi sacrifici.  D’altro canto i costi per sotterrare l’anidride carbonica sono proibitivi. Le opinioni pubbliche, diseducate dal consumismo, e ignare (non per colpa loro) dei pericoli, respingerebbero misure tanto drastiche quanto, per loro, incomprensibili e manderebbero al diavolo i governanti mentitori. Dunque è evidente che sugli scienziati e i centri di ricerca di tutto il mondo è stata esercitata in tutti questi anni una micidiale pressione affinché da essi venisse fuori un messaggio tranquillizzante:  possiamo continuare a sviluppare la produzione, cioè a emettere gas a effetto serra.  Non inquietatevi perché le nuove tecnologie ci salveranno dagli effetti climatici che produrremo.  E’ questo l’inganno della geoingegneria. Il CDR  è  troppo costoso. Resta solo a disposizione, se si vuole continuare a crescere ad ogni costo, il SRM (Solar Radiation Management), ovvero il tentativo di controllare la radiazione solare in arrivo. Ma, a parte i costi economici che esso comporta, i suoi effetti sconvolgenti sugli equilibri degli ecosistemi appaiono tanto giganteschi quanto assolutamente incalcolabili e imprevedibili a chiunque abbia qualche dimestichezza con  la questione della complessità, e con quella dei cicli vitali di Gea.  Ci s’incammina in territori inesplorati con cieca disinvoltura, ignorando ogni principio di precauzione.

Cominciamo dunque a vedere come se ne parla. “La geoingegneria – detta anche ingegneria del clima – è un vasto insieme di metodi e tecnologie che mirano ad alterare deliberatamente il sistema climatico al fine di alleviare l’impatto de cambiamenti climatici”.(1) Si notino il verbo “alterare”, l’avverbio “deliberatamente” e il verbo “alleviare”. L’autore, o gli autori, del rapporto AR5  appaiono impegnati soprattutto a “dire e non dire”. Ma noi siamo incuriositi dal  procedere zoppicante della loro rivelazione. Queste attività possono avere conseguenze di altro genere, oltre a quella di “alterare” il clima?  Loro si limitano a rilevare che “ulteriori conseguenze non possono essere avanzate, dato che il livello di comprensione scientifica delle tecniche SRM e CDR è ancora basso”; non senza mancare di aggiungere che “ci sono anche molte altre questioni (politiche, etiche e pratiche) che coinvolgono la geoingegneria, che vanno oltre lo scopo di questo rapporto”.
Dunque pare che quegli scienziati che hanno scritto il Quinto Rapporto non ne sappiano molto, sebbene siano già in grado di vedere le “altre questioni”, tra cui quelle politiche, etiche e pratiche, che sono connesse alla geoingegneria. In ogni caso il rapporto tra geoingegneria e SRM è stabilito in modo chiarissimo.

Ma è poi vero che se ne sa così poco? Non pare. Infatti il riconoscimento diretto e ufficiale della geoingegneria era avvenuto in realtà già nel giugno 2011 quando l’IPCC organizzò a Lima l’Expert Meeting on Geoengineering (2) e l’Expert Meeting on Economic Analysis, Costing Methods and Ethics  (3).  I titoli dicono che si è entrati nell’analisi dei costi, degli effetti, delle tecniche di realizzazione di qualche cosa  che rimane  per il momento, assai “nebuloso”. La parola è esattamente pertinente, come vedremo entrando nei dettagli. Va ricordato qui che l’IPCC è organizzato in tre Gruppi di lavoro, il WG I (scienza dei cambiamenti climatici), il WG II (impatti, adattamenti e vulnerabilità), il WG III (Mitigazione dei cambiamenti climatici). A partire dal 1990 l’IPCC ha pubblicato 5 rapporti, l’ultimo dei quali, il citato AR5 (prodotto del WG I) è solo parzialmente disponibile come bozza, mentre i testi degli altri due WG saranno disponibili solo nei primi mesi del 2014. Ma raccapezzarsi non sarà facile. Per esempio il capitolo 7, intitolato “Nuvole e Aerosol”, è uno scritto di 147 pagine, scritte da 19 autori in 35 paragrafi, su cui ha lavorato un editor per farne una sintesi. Comunque il titolo ci dice subito che si sta trattando di aerosol. E come si fanno gli aerosol? Presumibilmente non spruzzando l’aria a mano, con bombolette come quelle per il dopo barba.  Magari si fanno con gli aerei? Non è che sono proprio quelli che si vedono in cielo, e che lasciano scie non solo molto lunghe, ma tendenti ad allargarsi in grandi veli che coprono, dopo qualche ora, grande parte del panorama?

Ma qui, appunto, emergono molte novità clamorose. Cos’è questo “management”, questo controllo? Nient’altro che un tentativo di oscurare il sole con un’opportuna “tendina” tecnologica.  Si è già detto che questa conclusione è il risultato del rifiuto di sottoporre a qualsiasi modifica il sistema economico che ormai ci domina. Ma solo dei pazzi possono pensare che  “alterare” macro-equilibri dell’ecosistema possa non comportare  elevati rischi e mettere a repentaglio certo la vita di centinaia di milioni di individui. Invece questa evidenza non sembra il dato prevalente nelle menti degli autori dell’ultimo rapporto dell’IPCC. I quali, al contrario,  tengono in alta considerazione il SRM. Non tutti, per la verità. In alcuni passaggi dei documenti citati emerge –  a fatica ma emerge, trapela  –  qualche ammissione, qualche preoccupazione. Ma i testi finali dicono che la comunità scientifica, che affronta, in nome delle Nazioni Unite, questi problemi, è in maggioranza incline a seguire le orme di Edward Teller, lo scienziato americano che dedicò la sua vita intera alla produzione di armi di distruzione di massa. Sono infatti suoi i primi e più sbalorditivi lavori “scientifici” sull’uso di aerosol diffondenti in quota allo scopo di aumentare la riflettività (albedo) della Terra. Questo dato ripropone una domanda che aleggia sull’intero processo decisionale: quanto alto è il grado di libertà di questi lavori “scientifici”? Qual’è la libertà di azione degli scienziati di cercare soluzioni nell’interesse dell’Uomo e quanto essi sono invece oggetto di molte attenzioni affinché l’interesse dell’Uomo sia messo in coda dietro quello più cogente – in tutti i sensi – delle corporations?

Ciascuno dia la risposta che crede a questa domanda. Noi ci limitiamo a leggere i documenti. In diversi paragrafi del Capitolo 7 del rapporto citato, gli autori partono dal dato, sconsolante, che la comunità umana sta continuando a emettere quantità enormi di gas serra nell’atmosfera. Le cifre producono capogiri. Nel 2013 siamo arrivati a 395 ppm (parti per milione in volume) di CO2 nell’atmosfera. Solo nel 2010, nonostante la crisi economica,  questo dato è aumentato del 5,9%. Questi livelli di emissione sono i più alti mai raggiunti nella storia umana e costituiscono il 49% in più rispetto al 1990, anno cui faceva riferimento il protocollo di Kyoto. “Gli scienziati hanno calcolato che per mantenere l’aumento della temperatura entro i 2 gradi centigradi l’umanità ha ancora a disposizione un budget di circa 600 miliardi di tonnellate di CO2 di energia” (4). Solo nel 2010 ne abbiamo prodotti 32 miliardi di tonnellate. Di questo passo ne avremo per 20 anni al massimo. Il che significa che non c’è alcuna possibilità di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi. In base alle previsioni del Climate Interactive , “la concentrazione di CO2 “equivalenti” (cioè incluso il contributo degli altri gas ad effetto serra) avrà raggiunto nel 2052 il livello 538 ppm. Il livello del mare sarà di 36 cm più alto che nel 2000, il che equivale a 56 cm in più rispetto all’epoca preindustriale. Gli oceani, che in condizioni naturali sono alcalini (pH circa 8,2) hanno già raggiunto oggi un valore di 8,05, destinato a diminuire a 7,97 (5).  Dunque, poiché la temperatura alla superficie si avvia inesorabilmente e rapidamente a superare la soglia (considerata dalla comunità scientifica come di grave allarme) dei +2 gradi centigradi, non resta che aumentare il più possibile le attività di SRM. Cioè aumentare le irrorazioni di aerosol nell’atmosfera.

Così è scritto nel rapporto IPCC: “Fintantoché le concentrazioni di gas serra continuassero ad aumentare, si richiederebbe un aumento proporzionale di SRM, esacerbandone gli effetti collaterali”. Si parla di “aumento proporzionale”, cioè non si parte da zero. Cioè la SRM è già in azione? E quali sarebbero gli “effetti collaterali”? Su questo si mantiene il silenzio.  Domanda: ma, dunque, queste irrorazioni già si fanno ed è questione di “aumentarle”? Oppure si tratta di progetti per un futuro indeterminato, da implementare quando il disastro sarà già avvenuto? Trovare nei documenti una chiara risposta al quesito è impossibile. Non c’è. C’è scritto il contrario: che non sono mai state fatte prove “in vivo” (6). “Teoria,  modelli, studi e osservazioni suggeriscono che alcuni metodi di SRM, se praticabili, sono in grado di compensare sostanzialmente un aumento della temperatura globale e parzialmente alcuni altri impatti dovuti al riscaldamento globale, ma la compensazione del cambiamento climatico causato dai gas serra sarebbe, con alta probabilità, imprecisa. I metodi dell’SRM non sono stati implementati né testati. La ricerca sull’SRM è nella sua fase iniziale, anche se sfrutta le conoscenze di come il clima risponde in generale a variazioni forzate di parametri.”

Strano, anzi stranissimo, perché abbiamo appena letto che un’escalation delle attività di SRM avrebbe effetti collaterali sulla salute umana e sull’ambiente  (7)  Da dove si deducono queste conclusioni se non ci sono state implementazioni? Si suppone soltanto? Oppure si sa con buona approssimazione che ci siano “numerosi effetti collaterali, rischi e difetti” nei sistemi di Solar Radiation Management? Il rapporto così procede, dosando con estrema cura ogni parola: “Diverse linee di evidenza indicano che questo produrrebbe una piccola ma significativa diminuzione delle precipitazioni a livello mondiale (con differenze più grandi su scala regionale) se si vuole mantenere costante la temperatura della superficie del pianeta.”. “Linee di evidenza”? Cosa vuole dire? E quale sarebbe la “piccola ma significativa” diminuzione delle precipitazioni “a livello mondiale”? E cosa accadrebbe su scala regionale, dove le differenze “saranno più grandi”? Qui gli scienziati si trasformano improvvisamente in apprendisti stregoni. Giocano con le precipitazioni “a livello mondiale” con una straordinaria disinvoltura. Quali effetti sulla vegetazione, sulle correnti marine, sui venti? Tanto più che gli stessi autori, poco oltre, presi all’improvviso da qualche angoscia ma senza darlo troppo a vedere, aggiungono:  “Inoltre, con grande probabilità, un aumento dell’SRM a livelli considerevoli comporterebbe il rischio che un’interruzione delle stesse, per qualsiasi motivo, risulti in un rapido aumento (entro un decennio o due) delle temperature superficiali a valori coerenti con la concentrazione di gas serra, il che sottoporrebbe a forte sollecitazione i sistemi sensibili ai cambiamenti climatici. Infine, l’SRM non sarebbe in grado di  compensare l’acidificazione degli oceani dovuta all’aumento di CO2.”  In ogni caso si aggiunge che “la compensazione del cambiamento climatico (.) sarebbe con alta probabilità imprecisa”.

Stiamo leggendo righe terrificanti sia per quello che non dicono, sia per quello che dicono. Ma “stranamente”, malgrado i contributi al report provengano da tanti scienziati di diversi paesi, nel testo non sembra trovare spazio nessuna netta critica verso l’SRM: se ne continuano a elencare i benefici, mescolati ai dubbi per non essere la tecnica sufficientemente conosciuta, e al massimo si esprimono alcune preoccupazioni, ma il bilancio viene sempre presentato come positivo. E’ evidente che non c’è una soluzione al problema “politico” e che gli scienziati stanno navigando a vista tra diverse impossibilità: quella di dire la verità al grande pubblico; quella di fermare il riscaldamento climatico con i trucchi contabili delle grandi corporations; quella di bloccare gli “effetti collaterali” su popolazioni, vegetazione, equilibri ecosistemici.
Intanto, se si alzano gli occhi al cielo, si vedono dovunque spettacoli di strisce che non possono essere di “condensa” perché avvengono in zone del cielo e ad altezze che non hanno nulla a che vedere con quelle degli aerei di linea. Cosa sono? Chi paga per far volare quegli aerei (sempre più simili a droni, negli ultimi tempi)? Chi decide dove e quando e su quali territori farli volare? Chi produce, trasporta, fornisce i materiali per gli aerosol di cui parlano con tanta circospezione anche i documenti dell’IPCC? Se si trattasse di una benemerita azione per proteggere le nostre società dal riscaldamento climatico, perché mai non rendere noto a tutti il programma e le spese relative? Invece, a prima vista sbalorditivamente, ogni tentativo di ricevere risposte a queste domande viene dovunque seguito da  drastici dinieghi, o da imbarazzati silenzi.  Il che vuole dire una sola cosa: che si tratta di un programma segreto, anzi segretissimo, che non deve essere assolutamente rivelato. Complottismo?

Per dimostrare che questa è un’accusa ridicola basta ritornare alla strategia di Edward Teller.  Fu lui a lanciare un appello globale per “salvare il pianeta” dal riscaldamento. Tutto si può dire di Teller salvo che fosse un ingenuo sognatore. Era semmai un dottor Stranamore eccezionalmente pratico. Si pose il problema di compensare le variazioni climatiche, fossero essere antropogeniche o dovute a variazioni delle attività solari. “Se si volesse – scriveva nel 2002 – mantenere il clima globale al suo livello attuale di temperatura (..) allora la modifica intenzionale delle proprietà radiative fondamentali della Terra (controllo attivo del forcing radiativo dei profili di temperatura dell’atmosfera e degli oceani) è una mossa ovvia. Infatti questo è probabilmente da tutti i punti di vista l’approccio più pratico a questo particolare problema”. Teller non parlava a vanvera. Faceva calcoli precisi. Arrivò a proporre un investimento di 1,7 miliardi di $ che, lasciati in time deposit, avrebbero prodotto in 50 anni interessi sufficienti a finanziare l’operazione. Teller ne prevedeva addirittura benefici effetti collaterali. Creiamo un tale fondo – scriveva – e “procediamo con le attività del genere umano, come abbiamo fatto fino ad ora. Tutte le piante della Terra saranno più produttive dato che avranno un più abbondante nutrimento di CO2  e saranno meno esposte alla radiazione solare ultravioletta, i bambini potranno giocare al sole senza paura, e continueremo a goderci il clima di oggi, i cieli più blu e i migliori tramonti fino alla prossima glaciazione”.

E’ lo scenario di uno dei maggiori scienziati del XX secolo che, in tutta la sua attività, mostrò sempre, invariabilmente, una totale indifferenza per le perdite di vite umane e per i danni ambientali prodotti dalle sue proposte. Una vita che è un intero campionario di progetti assassini: la partecipazione alla costruzione dell’atomica che fu sganciata su Hiroshima e Nagasaki; il contributo decisivo alla bomba a fusione d’idrogeno; l’Operazione Vomere (Operation Plowshare  1961-1973) sugli usi civili delle esplosioni nucleari, che si proponeva di “creare un clima più favorevole allo sviluppo delle armi nucleari e ai test su di esse” e che, sotto l’egida della Atomic Energy Commission, produsse ben 27  esplosioni nucleari, insieme a sottoprogetti che oggi sarebbero considerati criminali, come quello di scavare una nuova via d’acqua attraverso il Nicaragua, che avrebbe preso il nome di Pan-Atomic Canal. Naturalmente mediante esplosioni nucleari a cielo aperto;  fino al progetto della Strategic Defense Initiative di Ronald Reagan.

In tutte queste avventure scientifico-tecnologiche Edward Teller dimostrò sempre un’altra assoluta indifferenza:  quella nei confronti della “complessità”, cioè della estrema varietà di effetti che gli esperimenti, e le imprese che egli propugnava, avrebbero potuto produrre. In questo egli fu figlio assai produttivo della scienza assoggettata al potere dell’intero secolo XX: scienza specialistica, scienza separata dal contesto, scienza cieca. Famosa rimase l’esplosione atomica da 104 chilotoni di Yucca Flat, nel Nevada, che spostò 12 milioni di tonnellate di terra,  alzò  una nuvola radioattiva di 12.000 piedi di altezza, e che fu una delle cause che provocarono la chiusura del Progetto Vomere dopo le proteste dell’opinione pubblica. Poteva essere di altro genere la sua attenzione verso la biosfera? Naturalmente no. Del resto la sua totale mancanza di visione d’insieme è perfettamente espressa in quel “procediamo con le attività del genere umano come abbiamo fatto fin’ora”. Esplicita l’accettazione dell’esistente come unico contesto possibile. Non vede alternative, non le cerca, non le immagina. Dunque affronta la questione non dal punto di vista dei necessari cambiamenti del comportamento umano (economico e sociale), ma tentando d’imporre all’ecosistema gli effetti devastanti dello sviluppo umano insostenibile. In altri termini ciò che stiamo qui esaminando ci mostra tutta intera l’assoluta (e anti-scientifica e anti-umana) linea di comportamento tenuta dalla comunità scientifica in tutta questa materia, in tutti questi ultimi decenni. Affidare a costoro – lasciati senza controllo democratico mentre essi sono sotto il pieno controllo delle lobbies burocratico-corporative – è, lo ripetiamo, pura follia.

E si deve tenere conto che Teller non fu un personaggio eccentrico e marginale, ma lavorò sempre a strettissimo contatto con il governo degli Stati Uniti. “Abbiamo presentato -scriveva – quattro opzioni tecniche distinte e indipendenti per l’attuazione del ATRMF  (active technical management of radiative forcing) (.) Queste proposte sono state valutate in conferenze internazionali e in workshop specialistici per mezzo decennio. Suggeriamo quindi che il governo degli Stati Uniti avvii immediatamente un programma intensivo, che includa esperimenti nell’atmosfera appositamente progettati in scala ridotta (.) . Per gli evidenti impatti globali, che sono la conseguenza di qualsiasi tipo di sistema di gestione, auspichiamo che la partecipazione internazionale a questo programma sia la massima possibile”.

Questa “partecipazione internazionale” è in atto, ma è rigorosamente secretata. Lo dimostra il fatto che gli articoli di Teller (scritti insieme a R. Hyde e L. Wood , vedi (note 8, 9) li abbiamo trovati solo in forma di pre-print e sembra che non siano mai stati pubblicati su riviste internazionali. Il primo fu presentato a Erice, al “22-esimo seminario internazionale delle Emergenze Planetarie”. Il secondo, presentato a Washington, in occasione del Simposio dell’Accademia Nazionale d’Ingegneria, porta sulla copertina la dicitura “Approved for public release; further dissemination unlimited”. Che significa che il rapporto è stato “autorizzato” e che potrà circolare “senza ostacoli”.  Eppure non sembra che la sua circolazione sia stata molto estesa, nonostante la sua eccezionale importanza strategica. Forse, in seguito, si ritenne che fosse meglio che rimanesse confinato  in ambiti “responsabili”. In ogni caso tutto quanto andiamo qui raccogliendo smentisce le affermazioni già riportate secondo cui saremmo soltanto all’inizio di studi sul Solar Radiation Management (formula sintetica di quello che Teller chiamava ATMRF, cioè active technical management of radiation forcing) , di cui, per giunta, si saprebbe poco o nulla quanto a effetti locali, cumulativi o globali. In pieno allarme climatico, quindici  anni dopo queste analisi e proposte, non si sarebbe fatto quasi nulla?

La domanda, ovviamente, non ha ancora risposta definitiva. Ma bastano le osservazioni empiriche dei cieli per capire che, nel frattempo,  non “qualcosa” ma molto è stato fatto. Il fatto che la scienza e l’ufficialità lo neghino non modifica di un millimetro ciò che possiamo vedere ogni giorno alzando gli occhi. Altro che i cieli blu di cui cianciava Teller! Il sole appare sempre più “velato” sopra tutte le grandi città d’Europa, degli Stati Uniti, dell’America Latina. Se andiamo a rileggere le proposte di Teller, Hyde e Wood, troviamo che essi proponevano l’uso di vari tipi di aerosol, da irrorare in quota, costituiti di sostanze che producono una diffusione della radiazione solare, con angoli opportuni, per diminuire la potenza che raggiunge la superficie terrestre.

Abbiamo dunque più di una ragione per pensare che i suggerimenti di Teller siano stati accolti e messi in pratica dal governo degli Stati Uniti. Si tratterebbe di un programma di “difesa dell’ambiente” che sarebbe in atto con il consenso, con il contributo operativo ed economico dei governi alleati. Il punto inquietante è che nessun parlamento di nessuno stato, a cominciare dagli Stati Uniti, ha mai discusso la questione, né mai è successo che i cittadini siano stati informati di queste attività che dovrebbero salvare il nostro ambiente: se è vero che stanno facendo qualcosa di buono per noi, perché non ce lo illustrano chiaramente, perché non se ne discute? La risposta è semplice e cruda: perché coloro stessi che hanno avviato il programma (affidando evidentemente le irrorazioni a strutture militari) non sanno quali siano i famosi “effetti collaterali”. La netta e inquietante impressione che si ricava è che questa operazione, che procede ormai da diversi  anni con il silenzio colpevole di tutte le istituzioni, sia in realtà un’enorme operazione d’intelligence militare globale.

E facile comprendere che qui la “difesa dell’ambiente” non è di casa. Il principio dominante è uno solo: business as usual, procedere come si è sempre fatto, ad ogni costo. Anche a costo di nuocere alla salute delle popolazioni, alla preservazione delle specie, agli equilibri dell’ecosistema sulle terre e nei mari. E questa è la ragione principale che spiega la segretezza totale della realizzazione del piano. L’umanità, che è considerata non in grado di comprendere la gravità della situazione, dev’esserne tenuta all’oscuro. Per questo i potenti della Terra –  i “masters of the Universe” nella definizione che ne ha dato il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman –  hanno affidato ai militari un tale apparato.  Per questa ragione, cioè per scoprire cosa si sta facendo e si è già fatto, occorre studiare i materiali prodotti dai militari e dai loro centri di ricerca. Si scoprirà subito che non è affatto vero che poco o nulla è già stato sperimentato. Al contrario: da tempo giganteschi investimenti sono stati indirizzati al controllo del clima e all’uso di questo controllo a fini militari. Il confine tra geoingegneria e controllo climatico è tanto labile da essere quasi nullo.

Per illustrare questa affermazione basta citare, tra i tanti, un articolo particolarmente significativo: “Il tempo atmosferico come moltiplicatore di forza: possedere il controllo del tempo atmosferico entro il 2025”. Promotrice di questo studio fu, nel già lontano 1996, la Air University, che è in realtà una dépendance del Comando della Forza Aerea degli Stati Uniti, con sede nella Base aerea di Maxwell, in Alabama. L’articolo è parte di un enorme studio in cinque volumi intitolato “Air Force 2025”. Nel paragrafo Disclaimer si legge: “2025 è uno studio progettato in conformità con una direttiva dal capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare con il fine di esaminare i concetti, le capacità e le tecnologie necessari perché gli Stati Uniti rimangano in futuro la forza aerea e spaziale dominante. (..) Questa pubblicazione è stata valutata dalle autorità di sicurezza e di revisione delle politiche, come non classificata, ed è libera di circolare”.(10) Nell’Executive Summary del lavoro si legge quella che è una vera e propria dichiarazione d’intenti: “Nel 2025, le forze aerospaziali degli Stati Uniti potranno “possedere il clima”, capitalizzando le tecnologie emergenti e concentrandosi sullo sviluppo delle tecnologie usate nelle applicazioni belliche. Tale funzionalità offre ai combattenti gli strumenti per modificare il campo di battaglia in modi prima impossibili. (..) Lo scopo di questo lavoro è quello di delineare una strategia per l’utilizzo di un futuro sistema di modificazione del clima al fine raggiungere obiettivi militari (..). La modificazione del clima ci pone di fronte a un dilemma non dissimile da quello della scissione dell’atomo. Mentre alcuni segmenti della società saranno sempre restii a esaminare questioni controverse come la modificazione del clima, gli enormi benefici militari che potrebbero derivarne, vengono ignorati, con nostro rischio e pericolo.”

Si valutino con attenzione le ultime righe di questa citazione. Si parla di noi, “segmenti di società sempre restii a esaminare questioni controverse come la modificazione del clima”. Dobbiamo dunque non sapere ciò che “loro” stanno facendo. Dunque – continuano i militari, con il codazzo di scienziati da loro finanziati – “le attuali tecnologie, che matureranno nel corso dei prossimi 30 anni, offriranno, a chiunque abbia le risorse necessarie, la capacità di modificare la struttura climatica e gli effetti corrispondenti, almeno su scala locale. Le attuali tendenze demografiche, economiche e ambientali attuali creeranno tensioni globali che forniranno a molti paesi o gruppi la spinta necessaria per trasformare questa capacità, di modificazione del clima, in una risorsa.
Negli Stati Uniti, la modificazione del clima diventerà verosimilmente una parte della politica di sicurezza nazionale con applicazioni sia nazionali che internazionali. Il nostro governo persegue questa politica, secondo i suoi interessi, a vari livelli. Questi livelli possono includere delle azioni unilaterali, la partecipazione in un quadro di sicurezza come la NATO, l’adesione a un’organizzazione internazionale come l’ONU, o la partecipazione a una coalizione. Se partiamo dal presupposto che nel 2025 la nostra strategia di sicurezza nazionale includerà la modificazione del clima, il suo uso nella nostra strategia militare nazionale sarà la naturale conseguenza. Oltre ai significativi vantaggi che una tale capacità operativa potrebbe fornire, un altro motivo per perseguire la modificazione del clima è scoraggiare e contrastare potenziali avversari.”

Segue una tabella, della quale riportiamo alcune delle voci più significative:

Fiaccare le Forze Nemiche
Potenziare le Forze Amiche
Aumentare Precipitazioni
– Sommergere le Linee di Comunicazione
– Diminuire il Livello di Conforto e la Morale
Aumentare Precipitazioni
– Sommergere le Linee di Comunicazione
– Diminuire il Livello di Conforto e la Morale
Aumento dei Temporali
– Rendere impossibili le Operazioni
Modificazione dei Temporali
– Scegliere l’Ambiente per il Campo di Battaglia
Impedire le Precipitazioni
– Negare l’Acqua Potabile, Indurre la Siccità
 
Rimozione di Nebbia e Nuvole
– Impedire l’occultamento
Generazione di Nebbia e Nuvole
– Aumentare l’occultamento

Naturalmente nella tabella non è palesemente citato uno degli aspetti più inquietanti e militarmente più significativi, ovvero l’uso del controllo delle nuvole e delle piogge al fine di diffondere armi di distruzione di massa di tipo nucleare, chimico, batteriologico e radiologico (NBCR) che, è bene notare, malgrado la demonizzazione mediatica che si è fatta delle stesse, attribuendone l’uso a “paesi canaglia”, sono sempre state presenti negli arsenali di molti stati, a cominciare da quelli NATO.
Il lavoro “Weather as a Force Multiplier” precede di un anno l’articolo “Global Warming and Ice Ages” che Teller presentò a Erice nel ’97, dando una chiara e significativa risposta al call for contributions lanciato dalla Air University alla comunità scientifica in occasione dell’Air Force 2025. Il lavoro “Weather as a Force Multiplier” è citato dal Generale Fabio Mini nel suo articolo “Owning the weather: la guerra ambientale globale è già cominciata”, pubblicato sulla rivista Limes (11), che fa un quadro estremamente ampio e lucido delle nuove strategie di guerra.

Anche qui sottolineiamo alcuni passaggi politicamente sensibili. I militari USA prevedono esplicitamente sia  “azioni unilaterali”, sia  l’inclusione della NATO (cioè degli alleati) in questa strategia. Il che significa che esistono voci cospicue di spesa che sono state condivise con gli alleati, senza che i parlamenti ne siano stati informati. I militari USA prevedono inoltre che  le “tensioni globali” – quelle prodotte dalle attuali tendenze demografiche, economiche e ambientali –  forniranno a “molti paesi” la “spinta necessaria”. Questi “molti paesi” sono quelli più ricchi e meglio armati, che si preparano a dominare tutti gli altri nel mezzo di una crisi epocale.

Adesso è tutto più chiaro: sia a cosa serve la geoingegneria, sia perché noi non dovremmo impicciarcene (visto che siamo “segmenti” riottosi sarà bene che ci tengano all’oscuro), sia le modalità con cui i potenti si preparano a schiacciare tutti gli altri. A questo punto alzare gli occhi verso il cielo, vedere cosa stanno facendo coloro che ci comandano, e lavorare per smascherarli, diventa una necessità. Per continuare a vivere.

Note:

(1) IPCC AR5-WGI, Cap. 7, FAQ 7.3, pag 67.
(2) IPCC Expert Meeting on Geoengineering – Disponibile su:
http://www.ipcc.ch/pdf/supporting-material/EM_GeoE_Meeting_Report_final.pdf
(3): IPCC Expert Meeting on Economic Analysis, Costing Methods, and Ethics – Disponibile su:
http://www.ipcc.ch/pdf/supporting-material/CostingEM_Report_FINAL_web.pdf
(4)  Jorgen Randers, “2052- Scenari Globali per i prossimi quarant’anni”, Edizioni Ambiente, Milano 2013, pag130.
(5) Jorgen Randers, ibidem, pag 130.
(6) IPCC AR5-WGI, Cap. 7, pag 5
(7) IPCC AR5-WGI, Cap. 7, pag 5
(8) E. Teller, R. Hyde e L. Wood “Global Warming and Ice Ages”, 1997 https://e-reports-ext.llnl.gov/pdf/231636.pdf
(9) E. Teller, R. Hyde e L. Wood “Active Climate Stabilization: Practical Physics-Based Approaches to Prevention of Climate Change”, 2002  http://www.osti.gov/accomplishments/documents/fullText/ACC0233.pdf
(10) Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025, pag ii.
(11)  Owning the weather: la guerra ambientale globale è già cominciata”, Limes n° 6-2007
http://service.users.micso.net/FSI/Downloads/Owning_the_weather-Fabio_Mini.pdf

FONTE

[vedi anche]

https://www.nogeoingegneria.com/category/tecnologie/sunradiation-management/

https://www.nogeoingegneria.com/portfolio-view/edward-teller/

https://www.nogeoingegneria.com/effetti/politicaeconomia/perche-la-geo-ingegne

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