L’internet delle cose non è soltanto l’incubo descritto nell’articolo che segue. Il cosiddetto IoT ci rinchiuderà in una gabbia di onde elettromagnetiche e contaminazione costante senza via di uscita con ampie conseguenze. Il mondo smart è stato promosso con successo e avanza a passi da gigante.  L’intelligenza artificiale sa fare meglio di noi? Le macchine ci in-formeranno e ci guideranno?  

Il contatore elettronico di ultima generazione sta per entrare nelle nostre case e trasmetterà una mole di dati su di noi. Le nostre case sono obbligate a diventare ‘intelligenti’?  E NOI??  Buona lettura!

 

Di  Joshua Fairfield

I dispositivi con connessione Internet sono così diffusi e così vulnerabili che gli hacker hanno recentemente violato un casinò attraverso il suo acquario.

Come hanno fatto? Semplice: lacquario aveva sensori collegati a Internet che ne misuravano la temperatura e i livelli di pulizia. Gli hacker sono entrati nei sensori dell’acquario e da lì nel computer utilizzato per controllarli, a quel punto gli si sono spalancate le porte della rete del casinò. Gli intrusi sono stati in grado di copiare 10 gigabyte di dati da qualche parte in Finlandia.

Leggi anche: Cambia nome al tuo smartphone, ma anche al frigo: ora l’hacker passa dal wi-fi

Pensando alla storia di questo casinò, possiamo ben comprendere il problema che abbiamo con gli oggetti di uso quotidiano che hanno una connessione internet: non abbiamo il pieno controllo. E non è sempre chiaro chi lo abbia – anche se spesso programmatori e inserzionisti sono coinvolti.

Nel mio recente libro, Owned: proprietà, privacy e nuovo digiuno digitale, discuto di cosa implichi il fatto che il nostro ambiente disseminato di sensori come mai prima. (ndr più di quello che immaginate e che racconto l’autore di questo articolo)

I nostri acquari, le televisioni intelligenti, i termostati domestici abilitati all’uso di Internet, i Fitbits e gli smartphone raccolgono costantemente informazioni su di noi e sul nostro ambiente. Queste informazioni sono preziose non solo per noi, ma anche per le persone che vogliono venderci cose (ndr e semplicmente controllarci). Essi fanno sì che i dispositivi abilitati via Internet siano programmati per essere avidi nel condividere informazioni.

Leggi anche: Ecco cosa possono fare gli hacker con la tua webcam

Ad esempio, Roomba, l’adorabile aspirapolvere robotizzato. Dal 2015, i modelli di fascia alta hanno creato mappe delle case degli utenti, per navigare in modo più efficiente durante la pulizia. Ma come recentemente hanno riferito Reuters e Gizmodo, il produttore di RoombaiRobotpotrebbe pianificare di condividere quelle mappe con i suoi partner commerciali.

Le violazioni della sicurezza e della privacy sono integrate nei prodotti

Come Roomba, altri dispositivi intelligenti possono essere programmati per condividere le nostre informazioni private con gli inserzionisti su canali secondari di cui non siamo a conoscenza. In un caso ancora più intimo di Roomba, un dispositivo per il massaggio erotico controllato dallo smartphone, chiamato WeVibe, ha raccolto informazioni su quanto spesso, con quali impostazioni e in quali orari venisse utilizzato. L’applicazione WeVibe ha inviato tali dati al suo produttore – che ha accettato di pagare un accordo di risarcimento multi-milionario quando i clienti hanno scoperto e obiettato l’invasione della privacy.

Leggi anche: Privacy online: sempre più persone usano i servizi VPN. Cosa sono, come funzionano e quali scegliere

Questi canali secondari rappresentano una grave falla nella sicurezza. Il produttore di computer, Lenovo, ad esempio vendeva i propri computer con un programma preinstallato chiamato “Superfish“. Il programma consentiva a Lenovo – o alle società che lo pagavano – di inserire segretamente inserzioni mirate nei risultati delle ricerche web di utenti. Il modo in cui lo faceva era davvero pericoloso: deviava il traffico dei browser web senza che l’utente ne fosse al corrente, comprese comunicazioni web che gli utenti pensavano crittografate in modo sicuro, come le connessioni verso banche e negozi online per transazioni finanziarie.

Il problema alla base è la proprietà

Un motivo fondamentale per cui non abbiamo il controllo sui nostri dispositivi è che le aziende che li producono sembrano pensare – e sicuramente agiscono di conseguenza – che siano ancora di loro proprietà, anche dopo che li abbiamo acquistati. Una persona può acquistare una bella scatola piena di elettronica che può funzionare come smartphone, sostiene questa teoria, ma acquista solo una licenza per utilizzare il software interno. Le aziende sostengono di essere ancora proprietarie del software, e visto che lo posseggono, possono anche controllarlo. È come se un concessionario vendesse un’auto, ma rivendicasse la proprietà del motore.

Leggi anche: Dispositivi IoT: un esercito di potenziali zombie nelle mani degli hacker. Un esperto spiega come difendersi

Questo tipo di accordo sta distruggendo il concetto fondamentale di proprietàJohn Deere ha già detto agli agricoltori che non sono loro i veri proprietari dei trattori, ma solo della licenza del software – e quindi non possono riparare da soli le proprie attrezzature agricole e neppure portarle in un negozio di riparazioni indipendente.

Gli agricoltori stanno protestando, ma forse le persone sono disposte a lasciare correre quando si tratta di smartphone, che spesso vengono acquistati con un piano di pagamento a rate.

Quanto tempo ci vorrà prima che ci rendiamo conto che stanno cercando di applicare le stesse regole alle nostre case intelligenti, alle televisioni, ai nostri salotti e camere da letto, ai bagni smart e alle autovetture controllate da internet?

Un ritorno al feudalesimo?

Il problema del controllo della proprietà ha una lunga storia. Nel sistema feudale dell’Europa medievale, il re possedeva quasi tutto e i diritti di proprietà dipendevano dal rapporto con il re. I contadini vivevano su una terra concessa dal re a un signore locale e i lavoratori non avevano nemmeno i propri attrezzi per l’agricoltura o per altri mestieri come la carpenteria e la forgiatura dei metalli.

Nel corso dei secoli, le economie occidentali e i sistemi giuridici si sono evoluti in quello che è il nostro moderno accordo commerciale: le persone e le imprese private spesso acquistano e vendono oggetti loro stesse, e posseggono terreno, strumenti e altri oggetti. A parte alcune regole di governo fondamentali come la tutela dell’ambiente e la sanità pubblica, la proprietà non prevede nessuna limitazione.

Questo sistema implica che un produttore di automobili non può impedirmi di dipingere la mia auto di rosa shocking o di farmi cambiare l’olio in una qualsiasi officina di riparazione a mia scelta. Posso anche modificare o riparare la mia auto. Lo stesso vale per la mia televisione, i miei attrezzi agricoli e il mio frigorifero.

Tuttavia, l’espansione dell’IoT sembra riportarci a qualcosa di simile a quel vecchio modello feudale, in cui le persone non possedevano gli oggetti che usavano ogni giorno. In questa versione del ventunesimo secolo le aziende utilizzano la legge sulla proprietà intellettuale – intesa a proteggere le idee – per controllare gli oggetti fisici che i consumatori ritengono di possedere.

Leggi anche: IoT (Internet delle cose) e Big data, nuovi pericoli per la democrazia?

Controllo della proprietà intellettuale

Il mio telefono è un Samsung Galaxy. Google controlla il sistema operativo e le Google Apps che fanno funzionare bene uno smartphone Android. Google le cede in licenza a Samsung, che fa le sue modifiche all’interfaccia Android sublicenzia il diritto di utilizzare il mio telefono a me – o almeno questo è quello che Google e Samsung sostengono. Samsung stringe accordi con un sacco di fornitori di software che vogliono prendersi i miei dati.

Ma questo modello è imperfetto, a mio avviso. Abbiamo bisogno del diritto di aggiustare ciò che è di nostra proprietà. Abbiamo bisogno del diritto di allontanare gli inserzionisti invadenti dai nostri dispositivi. Abbiamo bisogno della capacità di bloccare i canali secondari che passano informazioni agli inserzionisti, non solo perché non amiamo essere spiati, ma perché le porte secondarie rappresentano rischi per la sicurezza, come mostrano le storie di Superfish e dell’acquario. Se non abbiamo il diritto di controllare la nostra proprietà, vuol dire che non è realmente di nostra proprietà. Siamo solo “servi della gleba digitali“, che usiamo le cose che abbiamo acquistato e pagato secondo il capriccio del nostro “feudatario” digitale.

Sebbene le cose sembrino difficili ora, c’è speranza. Questi problemi diventano rapidamente degli incubi per la reputazione delle aziende coinvolte. E c’è un serio supporto bipartisan sul diritto-a-riparare che restituisce alcuni poteri di proprietà ai consumatori.

Gli ultimi anni hanno visto progressi ‘nelle azioni per il recupero della proprietà nei confronti dei ‘baroni digitali. Quello che è importante è riconoscere e respingere ciò che queste aziende stanno cercando di fare, esercitando energicamente e collettivamente i nostri diritti di utilizzare, riparare e modificare le nostre proprietà “intelligenti” e sostenendo gli sforzi per rafforzare tali diritti. L’idea della proprietà è ancora potente nella nostra immaginazione culturale, e non morirà facilmente. Questo ci dà una finestra di opportunità. Spero che la sfrutteremo.

Joshua Fairfield è Professore alla Facoltà di Giurisprudenza della Washington and Lee University.

Questo articolo è tradotto da The Conversation. Per leggerlo in lingua originale vai qui.

https://it.businessinsider.com/linternet-delle-cose-ci-sta-riportando-al-medioevo-trasformandoci-in-servi-della-gleba-digitali/

Questa finestra di opportunità vuol essere rassicurantem ma pare una grande illusione. L’internet delle cose non è soltanto l’ incubo disegnato da Joshua Fairfield. Si sta rinchiudendoin una gabbia di onde elettromagnetiche e contaminazione costante di cui nessuno vuole sapere e con possibilità di intrusione non meno gravi.Prima che scivoli via è un mondo da riporre nelle nostre mani, piuttosto che delegare alle intelligenze artificiali che ci rendono disabile , capaci solo di premere bottoni, e forse nemmeno più questo.

FONTE https://it.businessinsider.com/linternet-delle-cose-ci-sta-riportando-al-medioevo-trasformandoci-in-servi-della-gleba-digitali/

IMPORTANTE!: Il materiale presente in questo sito (ove non ci siano avvisi particolari) può essere copiato e redistribuito, purché venga citata la fonte. NoGeoingegneria non si assume alcuna responsabilità per gli articoli e il materiale ripubblicato.Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.