Negli ultimi anni, grazie al progresso tecnologico nei materiali e nei sistemi uncrewed, stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione nel campo della condotta delle operazioni sottomarine.
La progettazione e l’ingresso in servizio di una nuova generazione di droni sottomarini, spesso dotati di un certo grado di intelligenza artificiale, capaci di raggiungere profondità mai raggiunte prima, ha aperto la strada sia allo sfruttamento delle risorse presenti sul fondo – come noduli polimetallici – sia al confronto/contrasto negli abissi, che passa anche verso l’attacco a infrastrutture come i cablaggi sottomarini che, come sappiamo, sono altamente vulnerabili ad azioni di sabotaggio/spionaggio e un bersaglio altrettanto altamente pagante per la mole di dati globali che passa attraverso di essi.
Serve definire il dominio underwater
Chi scrive ritiene, da tempo e per questi motivi, che nel mondo militare occorra necessariamente la definizione di un nuovo dominio, quello dell’underwater.
Attualmente, sono infatti cinque domini in cui si svolgono le operazioni: terra, aria, mare, cyber e spazio. La definizione di dominio in ambito militare non è univoca, e in generale essi possono essere classificati in base al modo in cui vengono condotte le operazioni. Quella che si avvicina di più a ciò che nella dottrina militare si intende per dominio è “una regione caratterizzata distintamente da qualche caratteristica fisica” a cui si può aggiungere “e dove operano assetti governati da determinate e peculiari caratteristiche”. Ovviamente nei conflitti moderni i domini spesso si sovrappongono, ma per chiarire meglio questa distinzione torna utile pensare alle differenze tra il dominio cyber, uno spazio virtuale governato dalle leggi dell’informatica, e quello spaziale, in cui sono preponderanti alcune leggi della fisica e dove lo scontro può essere di tipo cinetico o nello spettro elettromagnetico (microonde/laser), ma dove altre leggi che regolano altri domini (la portanza o la spinta di Archimede ad esempio) non sono valide.
La NATO definisce l’ambiente sottomarino una “dimensione”, ovvero uno spazio fisico in cui operano assetti appositamente deputati a farlo e in cui si determinano gli effetti da realizzare che influenzano gli attori dell’ambiente operativo di riferimento (in questo caso il mare inteso come Sea Warfare). Permanere in questa definizione, con quanto consegue in ambito dottrinario, è però anacronistico: nonostante l’Alleanza Atlantica abbia stabilito una task force per la minaccia subacquea (la Task Force X), ancora manca un approccio didattico per le operazioni prettamente sottomarine moderne, che come detto, sono caratterizzate da nuovi strumenti e tecnologie per un ambiente completamente diverso da quello in cui solitamente si operava.
Il battente d’acqua in cui si effettuano le operazioni è infatti aumentato guadagnando un ordine di grandezza (da centinaia di metri a migliaia di metri), quindi si è entrati in un ambiente con caratteristiche fisiche diverse rispetto alle acque più superficiali. La pressione sui fondali abissali, ad esempio, è molto maggiore rispetto a quella che incontrano i sottomarini (che navigano tra i 300 e i 600 metri di profondità), la temperatura e la salinità variano, anche in funzione dell’attività geotermica e dell’andamento delle correnti, portando con sé differenti quote di aloclino e termoclino, superfici molto importanti per la navigazione subacquea perché permettono a un mezzo sottomarino di “nascondersi” ai sistemi di rilevamento acustico. Maggiori profondità significa anche dover comunicare in modo diverso rispetto a quanto fatto sino a oggi. Definire un dominio underwater, significa quindi cogliere queste importanti differenze che plasmano un nuovo campo di battaglia, dove peraltro la stessa legislazione è lacunosa, quando non direttamente assente.
La guerra sottomarina del futuro
Ma come sarà la guerra sottomarina del futuro?
In apertura abbiamo parlato di cablaggi sottomarini, e riteniamo che questi, insieme alle altre infrastrutture sottomarine già esistenti – come le condotte di idrocarburi o le testate di pozzi deep water – saranno al centro del contrasto cinetico. Ad essi si aggiungeranno, e si stanno già aggiungendo, le banche dati e i server per le intelligenze artificiali generative che abbisognano di una notevole capacità di raffreddamento che è possibile garantire solo sfruttando le acque marine per evitare di consumare enormi quantità di energia.
In un futuro non troppo lontano, è anche plausibile che per lo sfruttamento di risorse minerarie bentoniche saranno costruite stazioni intermedie di raccolta/stoccaggio sui fondali completamente automatizzate, mentre in un futuro più remoto è ragionevole pensare che l’umanità stessa dovrà affidarsi ai fondali marini per la propria sussistenza alimentare, scoprendo nuove tipologie di coltivazioni algali.
Queste risorse, queste strutture, dovranno essere necessariamente difese perché bersagli appetibili per un conflitto anche all’interno della “zona grigia” in cui si effettuano le azioni della Hybrid Warfare.
Sarà un dominio operativo caratterizzato da veicoli sottomarini uncrewed, con sempre maggior ricorso all’intelligenza artificiale. Questi mezzi saranno sfruttati quindi per tutta la panoplia delle operazioni: dalla situational awareness all’attacco, passando per il trasporto e i sistemi di difesa attiva.
Un drone sottomarino, del tipo “planante”, con intelligenza artificiale nel software dei sistemi di rilevamento acustico può, ad esempio, rilevare e classificare molte più sorgenti sonore rispetto ai sistemi precedenti, e la possibilità di averne in gran numero date le dimensioni compatte, significa avere una rete di ascolto mobile in grado di sorvegliare le profondità a 360 gradi, ma soprattutto di sfruttarne la mobilità per saturare una particolare zona che merita attenzione. I sensori di questo tipo potranno essere anche fissi sul fondale, e inviare le comunicazioni con tecnologia quantistica. Restando nel settore quantistico, vedremo l’affinarsi e il diffondersi dei sonar quantistici, in grado di rilevare oggetti sommersi a distanze di un ordine di grandezza superiore rispetto ai sonar classici.
Gli UUV, e ancora più gli XLUUV, non saranno più impiegati per compiti ISR ma avranno capacità di attacco cinetico autonome: nuovi capacità sensoristiche, insieme a un’IA sempre più affinata (ed esercitata), permetterà di riconoscere e colpire i bersagli designati in modalità man-out-of-the-loop. Un XLUUV, al pari di quanto si sta vedendo per i grandi UAV, avrà la possibilità di rilasciare piccoli UUV per i compiti più disparati, tra cui anche gli attacchi a sciami.
Considerando il dominio sottomarino come strettamente correlato con quello superficiale, il futuro sarà rappresentato da veicoli uncrewed/unmanned a cambiamento di ambiente, ovvero capaci di passare dalla navigazione aerea a quella in mare e anche sotto il mare. Non sarà comunque un teatro operativo in cui l’uomo verrà completamente escluso dal sistema, ma i suoi compiti saranno ridimensionati e soprattutto ulteriormente differenziati: le unità di superficie, così come i sottomarini, avranno sempre una parte centrale nelle operazioni, ma sarà anche (e soprattutto) di coordinamento delle operazioni con sistemi ucrewed. La guerra sottomarina del futuro, per riassumere, sarà per lo più automatizzata, condotta in tutto il battente d’acqua con particolare attenzione al benthos, e ancora una volta multidominio perché imprescindibile dalla condotta delle operazioni nell’ambiente superficiale e aereo, e quindi giocoforza anche litoraneo (anfibio se vogliamo), spaziale e cyber.
FONTE https://it.insideover.com/senza-categoria/il-futuro-della-guerra-sottomarina.html
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