L’articolo, precedentemente pubblicato in lingua inglese su questo sito, affronta una questione cruciale per la “sicurezza globale”: la possibilità che le neuroscienze e le neurotecnologie vengano sfruttate come armi, non solo per potenziare i soldati, ma anche per degradare le capacità cognitive della controparte. Le guerre cognitive sono ormai una realtà ufficiale e agghiacciante. La guerra del futuro potrebbe essere di chi saprà meglio manipolare, proteggere o degradare i cervelli degli avversari. La posta in gioco è altissima: la possibilità di influenzare direttamente il comportamento umano tramite la manipolazione fisica del cervello rappresenta una svolta epocale rispetto alle tradizionali operazioni psicologiche. Abbiamo imparato abbastanza sulla degradazione mentale, psicologica e spirituale attraverso le operazioni psicologiche, ma in tal caso possiamo ancora difenderci. Nel caso di interventi fisici diretti, la situazione diventa buia.
Di Dr. Shannon Houck, Col. John Crisafulli, Lt Col Joshua Gramm, Maj Brian Branagan
Il vecchio adagio “cambiare cuori e menti” potrebbe presto assumere un significato più letterale mentre ci confrontiamo con l’uso bellico delle neurotecnologie. Nel dicembre 2016, agenti della CIA e diplomatici americani e canadesi a L’Avana, Cuba, hanno riferito di aver sentito suoni pulsanti, a volte accompagnati da sensazioni di pressione alla testa. Sono seguiti sintomi neurologici come mal di testa, vertigini, difficoltà cognitive, affaticamento, perdita dell’udito e della vista. Oltre 40 dipendenti del governo statunitense sono stati colpiti; 24 sono stati diagnosticati con danni cerebrali. Non si è trattato di episodi isolati: segnalazioni simili sono emerse da personale statunitense in Cina, Russia, Uzbekistan e da agenti CIA in diversi paesi. Due casi distinti nell’area di Washington D.C. sono attualmente sotto indagine dopo che funzionari statunitensi hanno sofferto degli stessi sintomi improvvisi, uno avvenuto in un sobborgo di Arlington nel 2019 e l’altro nel prato ovale della Casa Bianca nel 2020. Più recentemente, secondo notizie di aprile 2021, funzionari del Dipartimento della Difesa hanno informato il Comitato dei Servizi Armati dichiarando di essere “sempre più preoccupati per la vulnerabilità delle truppe statunitensi in luoghi come Siria, Afghanistan e vari paesi del Sud America”.
Non è stata dichiarata alcuna causa ufficiale e sono in corso molteplici indagini. Tuttavia, le prove degli incidenti di Cuba suggeriscono che si trattasse di attacchi mirati. Il dottor James Giordano (guarda il video in fondo alla pagina), neuropatologo e uno degli scienziati nominati dal Dipartimento di Stato per indagare sui casi di Cuba, ha affermato nel suo briefing del 2018 al SOFWERX: “Questo è intenzionale, è diretto, sembra essere un beta test di qualche tipo di neuroweapon funzionante”. Questa conclusione lascia molte domande aperte: chi ha coordinato ed eseguito questo beta test? Quali neuroweapon sono stati usati? Quali attori statali e non statali possiedono o presto possiederanno capacità avanzate di neurowarfare? Gli stessi attori sono responsabili degli attacchi all’estero e ora anche in patria? Studiosi e operatori ipotizzano varie possibilità, indicando anche la Russia, ma al 2021 non ci sono risposte definitive. E la domanda più importante resta: quali attacchi di neurowarfare ci attendono e come dobbiamo prepararci?
Attualmente, gli operatori delle Forze Speciali (SOF) non ricevono alcuna formazione diretta sulla neurowarfare (e la maggior parte non conosce nemmeno il concetto), e la ricerca pubblicata è sorprendentemente limitata. Delle poche pubblicazioni accademiche sul tema, solo una manciata affronta direttamente la neurowarfare. Le SOF sono in una posizione unica per affrontare le minacce complesse e dinamiche poste dalla neurowarfare, ma sono attualmente impreparate ad affrontare la sfida, in parte per una mancanza di consapevolezza generale. Sebbene il Comando delle Operazioni Speciali degli Stati Uniti (USSOCOM) dia priorità alla ricerca e all’innovazione neuroscientifica, soprattutto per il potenziamento cognitivo, si sa molto meno sulle neuroweapon che causano degradazione cognitiva.
In linea con la priorità USSOCOM 2020 “Innovazione per le minacce future”, questo articolo mira a colmare questa lacuna fornendo raccomandazioni operative: (1) implementare immediatamente la formazione in tutto il comparto SOF; (2) investire nella ricerca su (a) degradazione cognitiva causata da neuroweapon, e (b) rilevamento, interruzione e targeting delle neuroweapon; (3) sviluppare una dottrina sulla neurowarfare. In definitiva, il SOCOM deve adottare un approccio proattivo sviluppando “professionisti neuro SOF” in grado di navigare strategicamente in questo nuovo spazio di battaglia. Per fornire le basi necessarie a queste raccomandazioni, definiamo prima la neurowarfare, ne discutiamo brevemente l’uso nella difesa e sicurezza nel tempo, e poi dettagliamo il significato critico per le SOF oggi.
Cos’è la neurowarfare?
La neurowarfare è l’eliminazione strategica di un avversario tramite l’uso di neuroweapon che “prendono di mira il cervello o il sistema nervoso centrale per influenzare lo stato mentale, la capacità mentale e, in ultima analisi, il comportamento della persona in modo specifico e prevedibile”. Come la cyberwarfare, può essere condotta in modo difensivo o offensivo. In difesa, può prevenire conflitti prima che inizino, modellando atteggiamenti e percezioni. In attacco, può “manipolare la situazione politica e sociale in un altro stato”, destabilizzando l’avversario, da sola o insieme a un’azione militare. Le operazioni psicologiche condividono obiettivi simili ma agiscono tramite la comunicazione, di solito sul lungo periodo. Le neuroweapon manipolano fisicamente il cervello e ottengono effetti immediati.
Neurowarfare: passato e presente
La modifica cerebrale in ambito difensivo e di sicurezza non è nuova. Negli anni ’50 e ’60, sotto il progetto MKUltra, la CIA condusse esperimenti umani nel tentativo di sfruttare il controllo mentale tramite ipnosi e droghe sperimentali, coinvolgendo oltre 80 istituzioni. Il programma era una risposta alle paure di “lavaggio del cervello” sovietico e cinese. Durante la guerra del Vietnam, alcuni soldati americani assumevano agenti farmaceutici come codeina e dexedrina per aumentare la vigilanza e attenuare la vulnerabilità. La dexedrina è ancora oggi usata e approvata dall’US Air Force come meccanismo di potenziamento cognitivo.
Ciò che rende nuova la modifica cerebrale oggi sono i rapidi progressi tecnologici nelle neuroscienze. Nel XXI secolo, la ricerca neuroscientifica, insieme a biotecnologia, nanotecnologia e intelligenza artificiale, sta aprendo la strada a nuove industrie, con potenziali sviluppi commerciali. La maggior parte della ricerca avviene in università e settore privato; dal 2013, l’iniziativa americana BRAIN ha stanziato oltre 1,3 miliardi di dollari per comprendere meglio il cervello umano. Il mercato delle neurotecnologie era già stimato oltre 150 miliardi di dollari nel 2013, con una crescita prevista in Asia e Sud America superiore a quella occidentale entro il 2020. Gli Stati Uniti non sono soli in questi sforzi e dovranno mantenere l’attenzione per restare leader in ricerca e sviluppo.
Il ritorno sull’investimento è evidente: USSOCOM sta diventando sempre più abile nello sviluppo dell’operatore “iper-abilitato” (HEO), un professionista SOF potenziato da tecnologie che aumentano la consapevolezza situazionale, riducono il carico cognitivo e accelerano il processo decisionale. Tuttavia, questi stessi progressi, se usati per la degradazione cognitiva, rappresentano un rischio.
Potenziamento cognitivo vs degradazione
Le neurotecnologie sono una lama a doppio taglio, offrendo opportunità sia per il potenziamento che per la degradazione cognitiva. Il potenziamento avviene tramite:
neurofarmacologia (farmaci mirati al cervello),
stimolazione cerebrale (correnti elettriche su aree specifiche),
interfacce cervello-computer (BCI), che collegano il cervello a computer per programmare comportamenti o controllare dispositivi esterni.
Queste tecnologie possono migliorare memoria, concentrazione, motivazione e consapevolezza situazionale, riducendo gli effetti negativi di stress, dolore, mancanza di sonno e ricordi traumatici. Secondo un rapporto RAND del 2020, le BCI potrebbero aiutare i futuri combattenti a prendere decisioni più informate in tempi più brevi e a interagire meglio con sistemi robotici. L’esercito americano sta persino sviluppando la “telepatia sintetica”, per permettere ai militari di comunicare solo con il pensiero. Ma nelle mani di un avversario, tutte queste tecnologie possono essere usate per la degradazione.
Le neuroweapon degradano cognitivamente il bersaglio in vari modi:
agenti biochimici che influenzano azioni ed emozioni di nemici e civili,
armi a energia diretta (laser, impulsi elettromagnetici, armi a radiofrequenza/acustiche) che compromettono le funzioni cerebrali,
armi informatiche/software che manipolano il cervello tramite impianti o a distanza.
Il Dipartimento della Difesa ha riconosciuto i benefici delle neurotecnologie per i soldati, ma ora serve lo stesso impegno per comprendere la degradazione cognitiva e prevedere le evoluzioni della neurowarfare, specie considerando le priorità dichiarate degli avversari degli Stati Uniti. Ad esempio, la Cina mira a dominare le neuroscienze entro il 2030 e probabilmente militarizzerà queste tecnologie. Nonostante l’attenzione per la “Grande Competizione di Potere”, la neurowarfare riceve ancora poca attenzione. Le SOF devono strategizzare ora per contrastare questa minaccia e prevedere gli sviluppi futuri.
Cosa significa per le SOF?
La Grande Competizione di Potere riguarda accesso e influenza, proprio come le SOF. Come durante la Guerra Fredda, la competizione tra un ordine mondiale guidato dagli USA e uno cinese o russo si giocherà più in periferia che in scontri diretti: proprio dove operano le SOF. Essere sensori umani e sintonizzati sulle dinamiche globali richiede operatori innovativi, adattabili e specializzati. Le SOF dovrebbero assumere un ruolo guida nella neurowarfare per diversi motivi:
Sono piccole, specializzate e abituate a condizioni incerte e dinamiche, come la neurowarfare.
Hanno una presenza globale in oltre 140 paesi, quindi sono sia coinvolte che esposte a nuove forme di guerra.
Il lungo addestramento e le competenze specialistiche rendono le SOF bersagli di alto valore per gli avversari.
Le SOF hanno forti partnership inter-agenzia sviluppate in 20 anni di operazioni antiterrorismo, utili anche nella neurowarfare.
Sono già all’avanguardia nello sviluppo tecnologico e nel potenziamento cognitivo.
Il USSOCOM può essere un’organizzazione pioniera, fungendo da laboratorio di incubazione per sviluppare competenze e capacità da esportare poi al resto della forza a costi ridotti.
Raccomandazioni per USSOCOM
1. Formazione e addestramento nell’impresa SOF.
La consapevolezza delle minacce attuali ed emergenti è fondamentale per la prontezza della forza. Serve una formazione formalizzata ora. Tutti i componenti USSOCOM trarrebbero beneficio da una formazione generale sulla neurowarfare che copra cos’è, perché conta, effetti sul cervello e segnali di allarme. Una formazione più approfondita è necessaria per chi lavora in intelligence, operazioni psicologiche e cyberwarfare, includendo neuroscienze dell’influenza, applicazioni di potenziamento e degradazione cognitiva, capacità attuali e future delle neuroweapon e analisi di casi di attacchi.
Nel lungo termine, sarà fondamentale sviluppare “Neuro SOF” professionisti all’avanguardia nelle neuroscienze della guerra. La Naval Postgraduate School, ad esempio, potrebbe essere il punto di raccordo tra le sfide strategiche e operative della neurowarfare. Come per il dominio cyber, servono esperti tecnici in grado di pensare il terreno e sviluppare soluzioni innovative. Le istituzioni di formazione militare dovrebbero includere neuroscienziati qualificati per colmare le lacune nei curricula dei futuri leader militari.
2. Ricerca sulle neuroweapon: degradazione cognitiva
Per competere in questo campo, USSOCOM deve investire nella ricerca sulla degradazione cognitiva tanto quanto fa per il potenziamento. Questo significa rendere la ricerca sulla degradazione cognitiva una priorità documentata e finanziata. Questi sforzi sono reciprocamente vantaggiosi: il benessere e la performance degli operatori vanno considerati in modo olistico, costruendo capacità di potenziamento e protezione. Oggi la forza è vulnerabile agli attacchi di neuroweapon, anche perché mancano risposte a domande di base: come rilevare e interrompere le neuroweapon? Come attribuire con certezza gli attacchi? Quali operatori sviluppare come “neuro SOF” e con quali competenze? In quali condizioni le SOF dovrebbero usare neuroweapon contro gli avversari, se mai?
Similmente al concetto di “operatore iper-abilitato” delle SOF, il ramo acquisizioni del USSOCOM, SOF Acquisition, Technology, and Logistics (SOF AT&L), è sufficientemente flessibile e reattivo da poter restare costantemente aggiornato sugli sviluppi del settore privato e trasmettere rapidamente le informazioni alla forza. Le possibilità e i potenziali casi d’uso della neurowarfare sono praticamente infiniti e dipenderanno dalle tecnologie che verranno sviluppate, perciò è essenziale mantenere una relazione stretta tra questi ambiti. Questa incertezza, in un contesto di accelerazione neurotecnologica, sottolinea quanto sia fondamentale che le SOF siano guidate da una dottrina per orientare le scelte future.
3. Sviluppare una dottrina
Come in tutti i campi del conflitto e della competizione, anche le azioni del USSOCOM nel dominio della neurowarfare dovrebbero essere guidate da una dottrina. Al momento, non esistono leggi nazionali o accordi internazionali che limitino l’uso bellico del cervello umano. Sebbene i trattati ONU contro le armi biologiche e chimiche suggeriscano che in futuro potrebbero arrivare divieti anche in questo campo, le neuroweapon ricadono in un vuoto normativo e regolatorio. Come già avvenuto per lo sviluppo nucleare, la scienza spesso avanza più rapidamente delle riflessioni politiche ed etiche sull’uso, una dinamica nota come “dilemma di Collingridge”. Man mano che le neuroweapon si diffonderanno, le sfide legali ed etiche da affrontare diventeranno centrali. Le SOF hanno maturato competenze nell’ottenere effetti precisi e mirati sul campo di battaglia, e ciò probabilmente avrà implicazioni simili anche per la neurowarfare.
Considerazioni aggiuntive
Sebbene ci siamo concentrati sul ruolo unico che le SOF e il USSOCOM possono e dovrebbero avere nella neurowarfare, la realtà è che questa nuova forma di conflitto richiederà, in ultima analisi, un approccio “whole-of-government”, coinvolgendo non solo il Dipartimento della Difesa ma anche altre agenzie e il Consiglio di Sicurezza Nazionale. La questione più difficile – e probabilmente la più controversa – riguarda le serie implicazioni morali ed etiche legate all’eventualità che gli Stati Uniti sviluppino capacità offensive di neuroweapon. Gli Stati Uniti dovrebbero perseguire una capacità offensiva, anche se dovesse emergere accidentalmente da ricerche del settore privato? Se sì, che tipo di armi sarebbero moralmente accettabili e come dovrebbero essere impiegate? Dovrebbero essere riservate solo a obiettivi di massima priorità, o arriveremo a un punto in cui le neuroweapon saranno impiegate di routine insieme alle forme tradizionali di guerra? Non è compito di questo articolo entrare nel merito di tale dibattito, ma riconosciamo la serietà e la gravità con cui accademici e decisori politici dovranno affrontare il tema.
Conclusione
La trasformazione della neurotecnologia in arma pone sfide uniche in un ambiente strategico in cui la competizione tra grandi potenze è centrale. Man mano che le potenze competono per l’influenza, è probabile che le neuroweapon, capaci di colpire direttamente il cervello per influenzare le azioni degli avversari, vengano impiegate con frequenza crescente. Il USSOCOM deve adottare un approccio proattivo. Troppo spesso, le misure reattive costringono le forze statunitensi a rincorrere, come sta accadendo oggi nel dominio informativo. Non dovremmo più concepire la mente umana come un bersaglio solo per l’influenza psicologica tramite operazioni di comunicazione a lungo termine; la neurotecnologia apre la strada a un’influenza tramite la modifica fisica del cervello, capace di produrre cambiamenti psicologici quasi immediati. Le SOF devono decidere ora come operare in questo nuovo dominio.
FONTE https://www.nogeoingegneria.com/news-eng/neurowars-and-neurowarfare/
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