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Sembra paradossale, di fronte alla gravità delle guerre, parlare di azioni militari sostenibili dal punto di vista ambientale. Ma lo fanno i militari stessi.
Nel suo The World Climate and Security Report 2021”, l’International Military Council on Climate and Security (IMCCS) – un team di militari di alto grado in pensione – afferma che «La difesa rimane il singolo più grande consumatore di idrocarburi – come carburante e gas – nel mondo».
L’IMCCS, sottolinea che la lunga durata di vita delle attrezzature militari, come le navi da guerra, significa che la difesa sarà prigioniera dei combustibili fossili per molti anni a venire e che «Questo è il motivo per cui è imperativo iniziare ora investendo massicciamente nella ricerca e nello sviluppo di combustibili a emissioni zero e sistemi di propulsione per veicoli militari su terra, mare e aria», sottolineando che «Eventuali progressi tecnologici potrebbero vantaggi anche per settori civili, come l’aviazione». (1)
E magari regalare le vecchie armi in modo che vengano velocemente distrutte per poter resettare l’arsenale.
È assurdo concentrarsi sull’inquinamento da CO2 e trascurare tutto il vero inquinamento: chimico, radioattivo, elettromagnetico. È proprio in questi campi che i militari hanno un ruolo fondamentale. È assurdo che oggi l’inquinamento sia uguale alla CO2. Ma stiamo facendo questo gioco, è utile e aiuta a rivelare le cose.
Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, ex ministro dell’ambiente della Norvegia ed ex inviato speciale Onu per i cambiamenti climatici, da tempo sta sollecitando pubblicamente la NATO a dare maggiore priorità ai cambiamenti climatici e, in un intervento apparso sulla stampa nel settembre 2020 scriveva: «Mentre il pianeta si riscalda, il nostro clima diventa più selvaggio, più caldo, più ventoso e più umido, mettendo le comunità sotto pressione, poiché le fonti di cibo, acqua dolce ed energia sono minacciate. Lo possiamo vedere oggi nella regione africana del Sahel, dove il cambiamento climatico sta guidando la migrazione. Nell’Artico, dove mentre il ghiaccio si scioglie, le tensioni geopolitiche si surriscaldano. O qui in Europa, dove le inondazioni e gli incendi da record aumentano di anno in anno». (1)
Tralasciamo qui il fatto che la natura come arma o l’uso di eventi naturali come arma fa parte dell’arsenale militare. Tra questi strumenti vi sono incendi, tempeste, fenomeni atmosferici, inondazioni, siccità, terremoti, che sono stati vietati nell’uso militare in un accordo, il noto ENMOD. Ciò che viene citato ad alto livello come proibito non sono certo fantasie, ma effettive possibilità di applicazione.
Torniamo alle emissioni, che in questo momento sono considerate il male di tutti i mali e sembrano minacciare il futuro dell’umanità. Vanno menzionate le emissioni delle forze a terra, in cielo e nello spazio (razzi) impegnate in tempo di pace e di guerra.
Le emissioni militari non sono mai state menzionate nei negoziati sul clima, né tantomeno in quelli sulla pace e sul disarmo. Nessun accordo internazionale sul clima, compresi gli accordi di Parigi e la COP26, le include.
Cito: L’Unione Europea, che, collettivamente, possiede il secondo insieme di forze armate del mondo, segnala solo alcune emissioni dovute a problemi di sicurezza nazionale: ad esempio, non sono incluse le emissioni indirette generate dalla produzione di sistemi d’arma militari. Secondo un rapporto del 2021 del Gruppo di monitoraggio con sede nel Regno Unito, le sole emissioni militari di quest’ultimo sono almeno tre volte superiori agli 11 milioni di tonnellate di CO2 segnalate nel 2018. Nel frattempo, poiché i ricercatori hanno affermato che le emissioni annuali delle Forze armate statunitensi, le più grandi al mondo, se adeguatamente conteggiate, ammontano a circa 23,5 mila kilotonnellate di CO2 nel 2017, si considera che la macchina da guerra statunitense sia la più grande consumatrice istituzionale di idrocarburi del pianeta. Secondo una stima, le migliaia di pozzi petroliferi dati alle fiamme durante la guerra del Golfo del 1991 rappresentavano il 2-3% delle diffusioni globali. Eppure, si è mostrato scarso interesse a limitare tali emissioni, fuori misura. Più recentemente, la situazione ha iniziato a cambiare, con la NATO che ha esortato gli Stati membri a diventare climaticamente neutrali entro il 2050. Il Gruppo di monitoraggio ha pubblicato, di recente, un rapporto che mostra che la rendicontazione regolare e trasparente, finora scarsa, di tutte le emissioni dirette e indirette sarà vitale per il raggiungimento dell’obiettivo di zero netto della NATO, includendo le emissioni Scope 3[1], come la ricostruzione post-conflitti. (2)
Anche il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti si sta ‘impegnando’ sulle questioni ambientali. Il 7 ottobre 2021, il Pentagono aveva emesso il suo “Piano di adattamento al clima”.
Sicuramente questi non sono passi in questa direzione: Biden dopo i miliardi per armare Kiev vuole continuare ad armare anche Taiwan.
Regna incontrastato un clima di guerra.
Le emissioni delle forze armate contribuiscono in modo rilevante alla devastazione ambientale. Quanto sia grande questo contributo non è ancora chiaro e, senza l’attenzione del pubblico, rimarrà tale. Per questo motivo abbiamo lanciato www.militaryemissions.org, che permette a chiunque di vedere i dati sulle emissioni militari che i 60 principali finanziatori militari comunicano alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Spoiler: la maggior parte delle forze armate non comunica i propri dati sulle emissioni – questo deve cambiare.
Si tratta di un progetto congiunto co-prodotto con il CEOBS (ceobs.org) e con Concrete Impacts (concreteimpacts.org), finanziato dall’UKRI-ESRC e dalle università di Lancaster e Durham.
FONTI
(1) https://greenreport.it/news/clima/la-nato-e-il-cambiamento-climatico-una-svolta-obbligatoria
(2) https://www.treccani.it/magazine/atlante/societa/Le_conseguenze_ambientali_guerra_ricostruzione.html
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