Guerre ambientali e alterazioni climatiche

 

Una Convenzione Onu del 1977 vieta l’uso militare, o di altra ostile natura, di tecniche di modificazione ambientale con effetti a larga diffusione, di lunga durata o di violenta intensità. I militari lo sanno, ma allo stesso modo attraverso la tecnologia hanno sviluppato la capacità di condizionare l’ambiente. Uragani, tornado, terremoti e tsunami alterati o addirittura provocati dall’uomo sono oggi una possibilità reale.

Lo studio dell’Aeronautica militare statunitense Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025 del 1995 delineava i piani da sviluppare per conseguire nell’arco di 30 anni il controllo del tempo meteo a livello globale. Secondo il generale italiano Fabio Mini, massimo esperto in guerre ambientali, gli obiettivi in esso delineati non parlavano di possedere il clima, ma di possedere in un determinato luogo, in un determinato momento il controllo del meteo, lo spazio atmosferico, per condurre operazioni belliche. Per esempio irrorando le nubi con ioduro d’argento o altre sostanze chimiche, vedi bombardamenti nei Balcani. Nel 1946 Thomas Leech, scienziato e professore israeliano-neozelandese, ha lavorato in Australia per conto dell’Università di Auckland con fondi americani e inglesi, ad un progetto per provocare piccoli tsunami artificiali

Quasi 60 anni dopo, i militari americani dalla base Diego Garcia sapevano dello tsunami che stava colpendo l’Indonesia e la Malaysia il 26 dicembre 2004, ma il segnale d’allarme che andava da 25 minuti a 4 ore non venne comunicato istantaneamente ai due Paesi asiatici ma solo successivamente e in modo errato tanto da portare come conseguenza migliaia di morti. Ed è qui che viene fuori un altro concetto molto diffuso negli ambienti militari: quello del denial of information, negare una informazione e non condividerla oppure negarla a sé stessi. Dalla fine della seconda guerra mondiale sono stati condotti vari esperimenti che hanno inciso sulle modificazione climatiche. Nel 1958 vennero fatti esplodere degli ordigni nucleari lungo le fasce di Van Allen per cercare di alterare le comunicazioni satellitari. Le conseguenze furono disastrose. Quattro anni prima il 1 marzo del 1954 il Pentagono fece evacuare una parte dei soldati americani dalle isole e dagli atolli più vicini a Bikini. All’ora X condusse l’esperimento “Bravo” con l’esplosione di una delle prime bombe a idrogeno. Successivamente verranno fatte esplodere altre cinque la cui potenza complessiva sarà 3.000 volte superiore a quella di Hiroshima. Durante la guerra in Vietnam il massiccio utilizzo dell’agente orange venne tenuto in parte nascosto alle milizie inclusa la popolazione vietnamita. Si calcola che siano andati perduti almeno 30.000 km2 di foresta sia per l’effetto diretto dei defolianti, sia a causa della degradazione del suolo.

In Italia una delle zone più interessate alle alterazioni del ciclo idrogeologico e a modificazioni micro-climatiche è la Sardegna, alla quale lo Stato italiano sottrae circa il 60% dell’intero territorio statale per destinarlo ad attività militari. La Regione ospita il poligono terrestre, aereo e marittimo più grande d’Europa, Salto di Quirra, 130 km2 a terra e 28.400 km2 a mare. Ma di  recente un altro caso è emerso fuori in un’altra regione: il Molise, dove presso l’azienda Fonderghisa di Pozzilli venivano fusi rottami di mezzi militari contaminati, impiegati nei conflitti balcanici. Una vera e propria bomba all’uranio.

Roberto Colella Giornalista, esperto in Geopolitica e Scienze della Difesa e della Sicurezza

Sono un giornalista di 33 anni animato da stimoli forti che mi spingono a seguire come giornalista le truppe in zone di guerra. Amo raccontare l’inenarrabile trascorrendo del tempo insieme ai personaggi delle mie storie. Il vero reporter credo sia una persona umile che deve farsi accettare tra la gente. Scrivo e prendo sempre appunti per articoli o future pubblicazioni. Ho un Master in Geopolitica e uno in Criminologia ed Intelligence nel contrasto al terrorismo. Ho seguito gli eventi legati alla guerra e al post conflict in Burundi, Ruanda, Kosovo, Palestina, Libano, etc. collaborando con diverse testate tra cui alcune settoriali come Informazioni della Difesa, Rivista Militare, Limes (Gruppo l’Espresso)

FONTE

Fin qui quindi un giornalista ufficiale. Non è molto. E’ il massimo che ha da offrire il Fatto

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