IL PERIODO CALDO ROMANO A CONFRONTO CON QUELLO ATTUALE


Scrive un articolista pochi giorni fa: Anche i Romani ebbero problemi col clima, ma anziché monopattini costruirono acquedotti. Negli ultimi anni l’Europa sta attraversando le estati più calde dall’Impero Romano a tutt’oggi. Così almeno ci dicono gli esperti e così ci assillano i catastrofisti del clima. A confermarlo, ultimamente, è anche uno studio apparso nel 2016 su Environmental Reaserach Letters Journal. Lo studio rivela che, dal 1986, le temperature medie estive sono superiori di 1,3°C rispetto a quelle di 2.000 anni fa. Lo studio coordinato da Jurg Leterbacher, coinvolgeva 40 ricercatori e venne compiuto 6 anni fa su anelli delle piante, dipinti, annotazioni e documenti storici redatti da medici, sacerdoti e monaci. Ma non temete perchè, ancora una volta, è emerso anche che i problemi col clima che stiamo vivendo sono ciclici nel corso della storia europea. CONTINUA 

In questo contesto, vorrei riportare un articolo di Donato Barone che aveva presentato un altro studio, ovvero “La variabilità climatica a breve termine durante il “periodo classico romano” nel Mediterraneo orientale”.

Il Periodo Caldo Romano a confronto con quello attuale

Pubblicato da Donato Barone il 26 Aprile 2012

Quando ho sentito parlare per la prima volta di riscaldamento della Terra ero un adolescente e correvano gli anni ’70 del secolo scorso. Una supplente di un mio insegnante assente lesse, da una rivista in suo possesso, che la Terra, in futuro, avrebbe aumentato la sua temperatura. Nel corso degli anni, quello che sembrava un allarme isolato, è diventato sempre più pressante fino a influenzare pesantemente la nostra esistenza. Ho iniziato ad interessarmi in modo costante di queste problematiche da quasi due anni e, quello che più mi ha colpito, è stata l’idea che il riscaldamento che oggi registriamo sia “senza precedenti”.

Uno dei motivi per cui non ho remore a dichiarare il mio scetticismo in merito all’ipotesi del riscaldamento globale di origine antropica (AGW), deve ricercarsi proprio nel concetto di “senza precedenti”. Sulla base di quanto ho letto sino ad oggi, infatti, mi sono reso conto che non esistono prove incontrovertibili che le temperature che oggi misuriamo siano le più alte in assoluto. Altri dubbi sono stati generati dal fatto che l’unico responsabile di tale incremento di temperatura sia la CO2 di origine antropica, cioè l’uomo.

Lo scorso mese di dicembre su “Quaternary Science Reviews” è stato pubblicato un articolo a firma di Liang Chen et al. dal titolo molto eloquente:

Short term climate variability during “Roman Classical Period” in the eastern Mediterranean

In tale articolo vengono pubblicati i risultati di uno studio effettuato nel mar Adriatico, con il quale gli autori hanno ricostruito le condizioni climatiche ed ambientali dell’area nel Periodo Romano Classico (tra il 60 a.C. ed il 200 d.C., per la precisione). Tali condizioni, secondo gli autori, sono state ricostruite “con elevata risoluzione temporale”. Si tratta, ovviamente, di dati di prossimità. I ricercatori hanno notato che “le fluttuazioni dello stato trofico dello strato d’acqua superficiale del mar Adriatico sono correlate alle portate dei fiumi settentrionali ed orientali italiani, che a loro volta sono strettamente legate alle precipitazioni in Italia.” Stretta correlazione, inoltre, è stata individuata tra le temperature locali della superficie marina e le temperature atmosferiche.

 

Lo studio riguarda l’associazione tra diversi organismi: la ciste Lingulodinium machaerophorum, l’alga d’acqua dolce Concentricystes ed altri organismi resistenti alla degradazione aerobica. Lingulodinium machaerophorum è la ciste di un dinoflagellato mobile, autotrofo, (Lingulodinium polyedrum costituente del fitoplancton neritico), che popola le acque calde e poco turbolente. Esso è responsabile delle grandi fioriture che, periodicamente, flagellano le nostre coste e che i media attribuiscono al cambiamento climatico. Nella foto a sinistra, tratta dal lavoro citato, sono rappresentate le cisti utilizzate da Chen et al. nel loro studio.

Gli studiosi dell’Università di Brema hanno utilizzato i resti fossili di queste cisti rinvenuti negli strati in un pozzo scavato nel Golfo di Taranto, di cui si conosce in modo piuttosto preciso la successione temporale degli strati. Questo pozzo si trova in prossimità della costa salentina sud-occidentale in un punto ove convergono le correnti provenienti dallo Ionio e la parte terminale del pennacchio di scarico del fiume Po. La particolare conformazione del Golfo di Taranto, inoltre, crea le condizioni ideali per la formazione degli accumuli sedimentari che hanno consentito di ottenere lo spettacolare record di dati proxy studiato da Chen et al..

Misurando il rapporto tra le concentrazioni delle cisti di dinoflagellati, quelle delle alghe di acqua dolce e di alti micro organismi, rinvenuti nei reperti stratigrafici derivati dal pozzo in questione, gli studiosi sono riusciti a calcolare con buona precisione le temperature che caratterizzavano la regione nel periodo studiato. Le due mappe, tratte dall’articolo di Chen et al., indicano l’andamento delle correnti marine, il pennacchio di scarico del fiume Po e la posizione del pozzo da cui sono state derivate le serie fossili.

Sulla base dei risultati ottenuti essi sono dell’avviso che nel periodo esaminato (60 a. C. – 200 d.C.), la temperatura dell’aria e quella della superficie marina dell’Italia meridionale non erano molto diverse da quelle attuali. Anzi, secondo i risultati ottenuti dal gruppo di ricerca, tra il 60 a.C. ed il 90 d.C. esse erano più alte di quelle di oggi. Dopo il 90 d.C. le temperature cominciarono a scendere raggiungendo, intorno al 200 d.C., valori simili a quelli del 1800.

Le conclusioni dello studio, però, non si fermano qui. Secondo Chen et al., infatti, nella successione stratigrafica possono essere individuati degli andamenti ciclici delle temperature della superficie del mare (SST) e delle portate dei fiumi che si immettono nel mar Adriatico. Tali ciclicità seguono periodi di 7-8 ed 11 anni e si accordano molto bene con altre ciclicità individuate nelle anomalie delle concentrazioni dell’isotopo 14C individuate nei campioni esaminati. Poiché la concentrazione di questo isotopo del carbonio dipende dall’irradiazione solare, i ricercatori sono dell’avviso che questi cicli (14C, SST, temperature atmosferiche) sono legati ai cicli solari ed alle variazioni della NAO.

Oltre alla variabilità climatica ciclica, inoltre, i dati proxy sono in buona correlazione con fenomeni non ciclici: si sono individuate diminuzioni di temperatura in corrispondenza delle eruzioni vulcaniche del Vesuvio del 79 d.C. e del 172 d.C. oltre che con quelle registrate in altre parti del mondo e catalogate da varie ricerche scientifiche.

Questo lavoro, inoltre, non è né isolato né innovativo. Studi condotti nel 2005 sulle stalagmiti delle Alpi sud-orientali dimostrano che durante il Periodo Romano Classico le temperature erano uguali se non superiori a quelle attuali.

Ricostruzione climatica degli ultimi 17.000 anni da una stalagmite della Grotta Savi (Trieste, Italia)

L’articolo illustra lo studio con cui i ricercatori hanno ricostruito il clima negli ultimi 17.000 anni sulle Alpi Orientali. Essi, analizzando il rapporto isotopico del 18O in una stalagmite prelevata nella Grotta Savi, alle pendici del Monte Stena in Val Rosandra (Carso Triestino), hanno potuto stimare la quantità d’acqua che alimentava la stalagmite e, quindi, la piovosità media annua e l’evapotraspirazione in superficie. I risultati ottenuti sono rappresentati nel grafico seguente (tratto dall’opera citata).

Correlazione tra gli isotopi della stalagmite SV1 e l’anomalia media annua della temperatura ricostruita per l’arco Alpino (dati da Luterbacher et al. 2004, media mobile 11 anni). Nella parte alta del grafico sono riportate le posizioni delle datazioni U/Th della stalagmite con i rispettivi margini di errore (2σ). (LIA = Piccola Età Glaciale; MWP = Periodo caldo Medievale; MCP = Periodo freddo Medievale; RWP = Periodo caldo età romana).

In questo grafico “il leggero trend positivo degli isotopi dell’ossigeno si può interpretare come un progressivo e lento riscaldamento per tutto l’Olocene, con temperature massime durante l’epoca Romana tra il 400 AC e il 50 AD (Roman Warm Period = RWP) e un forte riscaldamento negli ultimi 200 anni. Negli ultimi 2000 anni il periodo più freddo risulterebbe l’intervallo tra 1500 e 1850 AD, corrispondente alla Piccola Età Glaciale (Little Ice Age = LIA), mentre nel periodo medievale si distinguono un momento freddo tra il 900 e il 1200 AD (Medieval Cold Period = MCP) e un intervallo caldo tra il 1200 e il 1350 AD (Medieval Warm Period = MWP)”.

Anche questo lavoro dimostra, ancora una volta, che in passato il nostro pianeta ha sperimentato temperature più alte di quelle attuali. In particolare nel Periodo Romano Classico le temperature possono essere considerate del tutto uguali a quelle attuali se non superiori.

La causa di questo aumento di temperatura non è conosciuta, ma certamente non dipende dalla CO2 antropogenica. Qualcuno potrà obiettare che gli studi riguardano un’area ristretta e che le temperature globali potevano essere diverse da quelle locali. E’ un’obiezione valida, ma ciò non toglie che circa 2000 anni fa le temperature nel Mediterraneo orientale erano praticamente identiche a quelle odierne. Che poi si trattasse di un fatto locale è piuttosto opinabile in quanto nella regione mediterranea i risultati di altri studi avvalorano le tesi esposte da Chen et al. e da Borsato et al..

Ad analoghe conclusioni, inoltre, pervengono i risultati di altri studi condotti sull’estensione dei ghiacciai alpini nel Periodo Romano Classico da Holzhauser et al. (2005) e Giraudi (2009). Essi sostengono che i fronti glaciali, in tale epoca, si trovavano a quote maggiori delle attuali e, pertanto, questo fatto è indice di temperature atmosferiche più alte di quelle attuali. Altri dati che avvalorano l’ipotesi di un Periodo Romano Classico caratterizzato da temperature simili o superiori a quelle di oggi si possono ricavare da studi condotti sui pollini, in Georgia, da Kvavadze e Connor (2005).

Possiamo pertanto concludere che i cicli solari, le oscillazioni della NAO e le eruzioni vulcaniche sono alcune tra le principali forzanti del clima regionale. In parole povere (questa, però, è una mia considerazione) il Periodo Caldo Romano dimostra due cose:

  1. Non è assolutamente vero che le temperature attuali sono “senza precedenti”.

  2. Il Periodo Caldo Romano ha fatto registrare temperature se non superiori almeno pari a quelle attuali ed il riscaldamento (come il successivo raffreddamento) sono stati determinati da cause del tutto naturali.

Unica cosa che rende differente il periodo caldo attuale dagli altri è la velocità con cui il riscaldamento si è verificato: essa è stata maggiore che in tutti gli altri casi di riscaldamento registrati negli ultimi tremila anni.

FONTE

Un altro studio troviamo qui: DURANTE L’IMPERO ROMANO IL MAR MEDITERRANEO ERA PIÙ CALDO DI 2° C

Questo forte riscaldamento durante il periodo romano è quasi coerente con altri documenti marini dell’Oceano Atlantico”, afferma il team nel loro documento di ricerca, pubblicato su Scientific Reports .  

Il Mar Mediterraneo era più caldo di 2° C durante l’impero romano rispetto alle temperature medie attuali. L’Impero coincise con un periodo di circa 500 anni, dal 1 d.C. al 500 d.C., che fu il periodo più caldo degli ultimi 2000 anni.  Alcuni scienziati affermano che la caduta dell’impero romano potrebbe essere stata favorita dalle condizioni climatiche successive più fredde e siccitose. 

Questo senza ombra di dubbio non era un problema all’ epoca romana

LA GEOINGEGNERIA ALL’ORIGINE DEL CAOS CLIMATICO E DELLA CATASTROFE PLANETARIA

 

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Maria Heibel

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