Domani si chiuderà la COP23 di Bonn. Non credo che ci saranno sedute supplementari, per cui entro la fine della settimana potrò finalmente annunciare la chiusura della Conferenza delle Parti del 2017 e tracciare un primo sommario bilancio della stessa. Stasera vorrei darvi qualche notizia in più, ma devo registrare ancora una volta l’assenza di notizie. La maggioranza degli organi sussidiari o gruppi di lavoro ha completato i lavori ed ha emesso una serie di dichiarazioni. Manca ancora all’appello il documento finale del gruppo di lavoro che si occupa delle finanze, ma questo era scontato.
Fino ad oggi vi ho angustiato con questi gruppi di lavoro e con i loro documenti. Stasera voglio mostrarvi la struttura della COP23 mediante un organigramma che ho reperito nel sito dell’UNFCCC, dedicato alla Conferenza delle parti. Si tratta di uno schema semplificato in quanto mancano tutti i gruppi in cui si sfilacciano gli organi sussidiari.


Allo stato degli atti posso dire che i documenti prodotti dai gruppi di lavoro generano un quadro generale caratterizzato da luci ed ombre, più ombre che luci a mio giudizio. In tutti traspare un apparente ottimismo: ci si felicita e congratula per la disponibilità dimostrata dalle Parti nel corso dei lavori, si sottolinea lo spirito di collaborazione, si esprime qualche preoccupazione circa alcuni aspetti delle trattative e invariabilmente si rimanda tutto alla plenaria finale, ad altri documenti ed ad ulteriori trattative da portare avanti nei prossimi mesi e nelle prossime COP. Esemplare mi sembra la risoluzione del gruppo che ha lavorato sul punto 10/e dell’agenda. Consiglio a tutti i lettori di leggerlo: è molto breve, ma consente di avere un’idea della frustrazione che ti viene quando cerchi di capire che cosa diavolo hanno fatto a Bonn per dieci giorni migliaia di delegati e funzionari. Fino ad ora dono stati emessi circa trenta documenti tra cui alcuni molto importanti relativi al finanziamento dei progetti di mitigazione ed adattamento. Anche questi documenti brillano, però, per la loro vacuità. Degno di nota mi è sembrato quello relativo al punto 10/c dell’agenda. Si tratta di un documento relativo al funzionamento del Fondo Verde dell’UNFCCC. Dalla lettura delle due o tre paginette che lo formano, appare chiaro e lampante il meccanismo di funzionamento del sistema: i fondi sono amministrati da un Consiglio piuttosto indipendente rispetto agli organi decisori politici ed il cui operato non è neanche di livello elevato, per ammissione esplicita delle Parti che hanno preso parte ai lavori del gruppo. Anche per questo documento consiglio una lettura: sarà molto istruttiva. E potrei continuare, ma la falsariga è sempre la stessa.

Non ci resta, quindi, che aspettare la risoluzione finale della COP23 che, ad oggi, è ancora tutta da scrivere, ma, molto probabilmente, è già scritta fin da prima che la Conferenza iniziasse e tenuta ben celata dai solerti funzionari delle Nazioni Unite.

Nel frattempo The Guardian ha pubblicato due articoli dedicati alla COP23. In uno di essi si riportano le dichiarazioni di Lord Stern, autore del famigerato rapporto Stern che diede la stura alla corsa alla mitigazione. Nel rapporto egli “dimostrava” che prevenire il cambiamento climatico, costava meno che far fronte agli oneri dei danni provocati dal cambiamento climatico stesso. Nell’articolo Stern sostiene che la COP23 è un “Trump test”, cioè essa serve a dimostrare quanto incide l’assenza degli USA nel raggiungimento degli impegni dell’Accordo di Parigi. Detto in altri termini gli osservatori cercano di capire dagli esiti della Conferenza, se gli Stati sono in grado di far fronte alla defezione degli USA aumentando i loro impegni e, quindi, compensando le perdite.

Ho la netta impressione che quella di Bonn sarà ricordata come la COP di Trump perché le luci della ribalta sono state sempre accese su Bloomberg e Brown, non per la loro importanza, ma per il fatto che erano visti come uno scongiuro nei riguardi di Trump.

Nell’altro articolo viene annunciata la nascita di un’associazione di 19 Nazioni, tra cui l’Italia, che si sono ufficialmente impegnate ad abbandonare l’uso del carbone nella produzione di energia elettrica. In questo elenco brilla l’assenza della principale paladina della decarbonizzazione del mondo, cioè della Germania. Perché la Germania chiede a tutti di abbandonare il carbone, ma si guarda bene dal farlo. Per questo la Merkel è stata ferocemente attaccata dal WWF tedesco che le rinfaccia tutta l’ipocrisia del suo intervento di ieri.

Stessa sorte è toccata alla Gran Bretagna le cui posizioni sono state ridicolizzate da una ONG (Friends of the Earth UK) che ha stigmatizzato la dissonanza tra le posizioni da primi della classe nella lotta al cambiamento climatico dei politici britannici e le politiche a favore del gas da fracking.

E per finire una chicca. Vi ricordate del mio post sul Dialogo di Talanoa? Ebbene oggi è stato pubblicato un documento in cui il dialogo è stato pianificato in tutti i dettagli da qui alla COP del 2018. Tale documento evidenzia la maniacale cura con cui gli Organi delle Nazioni Unite pensano di pianificare tutto ciò che esiste sulla faccia della Terra. In questo caso siamo veramente al paradosso: vengono addirittura formulate le domande che le Parti devono porsi, in modo da fornire le risposte che poi saranno tradotte in decisioni politiche. E dal tipo di domande si intuisce chiaramente anche la risposta da che esse dovranno fornire. Vedere per credere.

FONTE http://www.climatemonitor.it/?p=46468

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