La tecnocrazia e le città smart controllate hanno una lunga storia. Walt Disney e le sue fantasie sono da considerare in questo contesto. EPCOT, la sua città del futuro mostra il suo obiettivo di una città gestita in modo altamente tecnologico. Si vedeva come un sovrano autocratico della città: l’avrebbe posseduta attraverso le sue società e avrebbe quindi stabilito tutte le regole.

Epcot: cosa c’è da imparare oggi sulla città utopica di Walt Disney

Di Patrizia Ferlini

… La città utopica è radiale

Disney era assillato dal problema della vivibilità delle città americane.

Sovraffollamento, criminalità e inquinamento erano gli ostacoli che voleva superare attraverso la tecnologia e l’urbanistica, in modo da garantire un futuro migliore ai suoi nipoti e alle generazioni future.

Per farlo si è immerso in un intenso studio sui libri di architettura e ingegneria, supportato da professionisti del settore e raccogliendo materiale dai progetti di espansione di aziende come General Electric e Ibm.

Nella sua mente, Epcot sarebbe stata dunque una città modulare che fa da precursore a quelli che saranno i movimenti New Urbanism americano degli anni ’80 e del Rinascimento urbano europeo degli anni ’90.

La città utopica è scalabile

Epcot si sviluppava sulla carta in modo radiale. In questo modo, la presenza di cerchi concentrici avrebbe consentito l’espansione in funzione delle necessità interne del sistema abitativo e commerciale.

Al centro di tutto si trovavano le strutture adibite all’accoglienza dei visitatori. Uno spazio pubblico ben separato da quello residenziale che non doveva venire a contatto con questa sorta di mondo esterno se non per motivi lavorativi.

L’area centrale della città utopica era sede di un palazzo di 30 piani con funzione di hotel, sala convegni, spazi dedicati allo sport e attività commerciali. Nulla era lasciato al caso e ogni negozio e ristorante era pensato a tema, per non stancare gli ospiti e offrire loro sempre nuovi stimoli.

Epcot, la comunità del futuro che non funziona, con i cittadini come clienti

Per realizzare la sua utopia, Disney acquistò un grande appezzamento di terreno nel cuore delle paludi di Orlando, Florida.

Qui c’è abbastanza spazio per realizzare tutte le idee e i progetti che abbiamo in mente”, così giustificò il piccolo regno ora di sua proprietà. Secondo le sue visioni utopistiche il tutto sarebbe diventato un’esposizione permanente e abitata, costituita da 20mila lavoratori.

Il progetto non prevedeva contratti di vendita, ogni abitante non poteva diventare proprietario delle residenze per non incorrere nel rischio di renderlo legalmente ammesso alla vita politica della città.

La società Disney voleva avere libero accesso all’amministrazione e alla gestione dell’intero sistema, in accordo con le autorità della Florida che avevano concesso il loro via libera. I cittadini erano visti come clienti, solo chi aveva un lavoro poteva vivere a Epcot per consentire un ricambio generazionale e l’assenza di ghetti di nullafacenti, pensionati e disoccupati.

Monorotaie e people mover

I mezzi di trasporto erano banditi dalla vista.

A Epcot, la comunità del futuro, tutto ruotava attorno alla monorotaia e ai peoplemover, in costante e perenne movimento, mentre le macchine e i camion adibiti al trasporto alimentare e commerciale erano riservati alle gallerie sotterranee appositamente costruite per eliminarli dalla superficie.

Un sistema a confine tra il drastico e l’autoritario, anche se non esattamente una novità vista la stima che Disney nutriva verso i regimi totalitari europei dell’epoca.

Una mescolanza che sfocia nella cinematografia con le nette somiglianze alla pellicola The Truman Show. Forse Epcot non ha avuto successo tra gli investitori per il significativo budget necessario alla sua edificazione, o forse qualcuno ha avuto come l’impressione di trovarsi in una situazione ai limitidell’umano.

Cosa resta di Epcot oggi

Il progetto non venne mai realizzato nella sua interezza, ma alcune parti di esso è possibile ritrovarle in diverse zone della Florida. Il caso della città ideale non venne accantonato con l’abbandono di Epcot come comunità del futuro.

In scala ridotta lo si può ammirare nella realtà di Celebration. Molto simile alle città americane edificate seguendo i dettami del neourbanesimo, si basa sulla modernità dei servizi e si avvale del supporto della tecnologia per estirpare la criminalità e i disordini tramite un sistema di controllo a fibre ottiche. O almeno così si credeva, prima che nel 2010 venne registrato il primo caso di omicidio.

L’efficienza energetica, civica e sanitaria di Celebration venne a mancare, rimarcando il concetto di città utopica ben lontana dalla realtà dei fatti. I 4 miliardi investiti nella costruzione di questa mezzaluna circondata da foreste, campi da golf e case in stile coloniale, mediterraneo e vittoriano non sono stati sufficienti a portare avanti questa idea di utopia urbanistica.

Il concetto di esposizione permanente è stato però applicato al parco che prende il nome dal progetto iniziale: l’Epcot Center. Un grande parco giochi diviso in due macroaree, una dedicata allo sviluppo tecnologico volto a creare una società migliore e l’altra come centro di cultura internazionale.

Piccoli compromessi che celano all’apparenza la realtà di un sistema dove la Disney continua a mantenere il controllo burocratico e politico di un territorio dove i lavoratori del complesso meccanismo non possono possedere nulla, hanno diritti limitati, opinabili leggi da rispettare, ma continuano a muoversi su delle tecnologiche monorotaie sospese in aria. Il mondo delle favole esiste, ma forse non è a Epcot, la comunità del futuro. 

FONTE articolo integrale https://www.internimagazine.it/architettura/citta/epcot-walt-disney/

Disney aveva una grande fede in un futuro super-tecnologizzato (1) e lo mostrò in un film del 1945, prodotto dalla Westinghouse Electric:The Dawn of Better Living(L’alba di una vita migliore). Da questa sua visione di un mondo migliore è nata Tomorrowland, aperta nel 1955 a Disneyland e vetrina per sponsor come: Monsanto Company, American Motors, Richfield Oil, Boy Olandese Vernice ed altri. Monsanto creò diverse attrazioni a Tomorrowland, per esempio nel 1957 una House of the Future completamente di plastica, con clima controllato e cibo cotto a microonde. La “casa del futuro” anni cinquanta anticipa la casa domotica o “intelligente”, funzionante tramite pulsanti. Ma la ingegnerizzazione raggiunse orizzonti ben più ampi di quelli di una casa temperata a comando. L’obiettivo ambizioso era la terra da “far funzionare meglio” e Disney fu portavoce e promotore. La svolta è avvenuta negli anni cinquanta. Partì una roadmap indirizzata verso la conquista dello spazio. 

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