Questa imagine è stata generata con l’AI. 

Sì, la mancata revisione della Convenzione Enmod, che dovrebbe avvenire ogni cinque anni, è diventata una patata bollente. Nel 2023 non è stata effettuata alcuna revisione. È probabile che il dibattito su questo tema si intensifichi prima o poi nei prossimi anni, soprattutto alla luce delle nuove tecnologie con impatti significativi sullo stato dell’ambiente e delle persone. Che si tratti di atti di guerra dichiarati o occulti o di operazioni “civili”, è importante valutare ciò che viene effettivamente fatto al pianeta e ai suoi abitanti, che spesso è un danno cumulativo.
Perché ENMOD non è stato rivisto nel 2023?
Ci possono essere diverse ragioni per cui non è stato fatto, come la mancanza di consenso. Gli Stati membri potrebbero non aver trovato un accordo sugli emendamenti alla Convenzione. Ciò potrebbe essere dovuto alla difficoltà della valutazione e degli interessi in gioco. Le nuove tecnologie sono in larga misura guidate dal complesso militare-industriale. Gestire certe contraddizioni sta diventando sempre più difficile e la situazione si fa sempre più imbarazzante. Probabilmente è anche per questo che la discussione su ENMOD viene evitata. Tuttavia, dobbiamo pretendere che tale dibattito venga riaperto e ampliato.

L’analisi dell’autrice dell’articolo seguente sul ruolo della geoingegneria in una versione rinnovata dell’ENMOD rimane all’interno di una narrazione ufficiale. Il suo punto di vista è in genere condiviso nei circoli accademici e ignora le attività attuali che manipolano il tempo e il clima. I fatti però sono ormai innegabili. Non si tratta solo dei rischi teorici qui menzionati, ma di realtà che devono essere integrate nel campo visivo.

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DALL’ENMOD ALLA GEOINGEGNERIA: L’AMBIENTE COME ARMA DI GUERRA. PERCHE’ L’ENMOD NON E’ STATO AGGIORNATO?

Con l’accelerazione dei cambiamenti climatici, (ndr cause da esaminare ad ampio raggio)  cresce la pressione per lo sviluppo di nuove tecnologie in grado di sottrarre CO2 all’atmosfera o di bloccare il calore del sole. Alcune delle tecnologie in discussione potrebbero avere effetti imprevedibili (ndr: alcuni sono già visibili)  che non rispettano i confini nazionali (ndr: anche dentro i confini non rispettano l’ambiente e le persone).

Sappiamo anche che le infrastrutture civili critiche sono spesso prese di mira nei conflitti e che gli attori statali e non statali cercano da tempo di manipolare l’ambiente per ottenere vantaggi tattici. Con queste premesse, Gabriela Kolpak esamina se il dispiegamento delle tecnologie di geoingegneria potrebbe  creare nuove minacce alla pace e alla sicurezza ambientale.

Introduzione

I danni ambientali collaterali sono stati a lungo considerati una conseguenza inevitabile dei conflitti armati. Tuttavia, esistono anche numerosi esempi di manipolazione intenzionale dell’ambiente da parte delle parti in guerra, in cui l’ambiente stesso diventa un’arma. Questo blog esamina casi di guerra ambientale come le politiche della “terra bruciata” e la militarizzazione delle infrastrutture, per poi analizzare come le nuove tecnologie capaci di modificare l’ambiente possano contribuire a futuri rischi per la sicurezza o essere strumentalizzate nei conflitti.

Terra bruciata e infrastrutture ambientali

Le politiche della “terra bruciata” sono tattiche militari mirate a distruggere un’area privandola di qualsiasi elemento di valore per il nemico o i civili, come cibo, acqua, rifugi, risorse naturali e infrastrutture civili critiche. L’Unione Sovietica utilizzò questa strategia durante il ritiro dall’Ucraina nella Seconda Guerra Mondiale per rallentare l’avanzata tedesca rendendo la regione inutilizzabile. La stessa tattica fu impiegata in Afghanistan negli anni ’80 per contrastare i Mujaheddin. Esempi simili persistono oggi, come la devastazione punitiva di aree agricole nel nord dell’Iraq da parte dello Stato Islamico e gli incendi e sversamenti di petrolio da esso provocati.

Le parti in conflitto sfruttano spesso l’ambiente circostante per vantaggi militari, incluso l’uso strategico di infrastrutture idriche o impianti industriali pericolosi. Con l’aumentare della dipendenza delle società da tali infrastrutture, le conseguenze del loro uso ostile diventano sempre più gravi.

Un esempio è la militarizzazione delle infrastrutture idriche. Dighe, stazioni di pompaggio o condotte possono essere attaccate per sottomettere la popolazione o utilizzate attivamente contro il nemico, ad esempio deviando corsi d’acqua o inondando territori. Questo tipo di guerra ambientale è emerso nel conflitto israelo-palestinese, con il targeting intenzionale da parte di Israele delle condutture e dei sistemi fognari a Gaza. Tali tattiche risultano attraenti anche per gruppi armati non statali.

Utilizzo dell’ambiente nei conflitti

La manipolazione ambientale durante i conflitti non è una novità. Storicamente, è stata attuata in modi diversi: dalla modificazione meteorologica all’alterazione fisica di paesaggi naturali. Al di fuori dei conflitti, la modificazione ambientale è spesso usata per mitigare rischi o migliorare l’accesso alle risorse. Tuttavia, con l’avanzare della tecnologia, anche le ambizioni dei belligeranti sono cresciute.

Negli anni ’60-’70, durante la Guerra Fredda, le superpotenze esploravano tecniche di modificazione ambientale (EMT) per generare terremoti, tsunami, cicloni o alterare clima e correnti oceaniche. Sebbene molti esperti dubitassero della fattibilità di queste EMT, i conflitti asimmetrici odierni – che coinvolgono sia attori statali che non statali – mostrano una tendenza verso metodi di guerra sempre più inventivi. In un contesto di crescente disordine internazionale e soluzioni tecnologiche per il clima, assistiremo a un ritorno delle EMT come armi o minacce? Per rispondere, è necessario tornare agli anni ’70, quando le EMT erano più discusse.

La Convenzione ENMOD

La Convenzione sul divieto di uso militare o di qualsiasi altro uso ostile delle tecniche di modificazione ambientale (ENMOD), entrata in vigore nell’ottobre 1978, ha l’obiettivo di:

*«impegnare ogni Stato Parte a non ricorrere all’uso militare o ad altri usi ostili di tecniche di modificazione ambientale con effetti diffusi, di lunga durata o gravi, come mezzo di distruzione, danno o lesione verso qualsiasi altro Stato Parte»*¹.

ENMOD definisce una EMT come *«qualsiasi tecnica per alterare – tramite la manipolazione deliberata di processi naturali – la dinamica, composizione o struttura della Terra, inclusa la sua biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera, o dello spazio esterno»*².

Approvata nel 1976 dall’Assemblea Generale ONU (risoluzione 31/72), ENMOD è *«il primo e unico trattato internazionale a regolare specificamente i mezzi e i metodi della guerra ambientale»*³. Nacque in risposta alle preoccupazioni per tattiche militari distruttive, come l’uso statunitense di cloud seeding (inseminazione delle nuvole) e dell’erbicida Agente Arancio in Vietnam, che coincise con la nascita del movimento ambientalista moderno.

Nel 1972, proposte di limitare le EMT per i loro impatti imprevedibili emersero nel Senato USA. Due anni dopo, l’URSS propose all’ONU una convenzione per vietarne l’uso ostile, portando alla creazione di ENMOD e mettendo sotto i riflettori le tattiche distruttive degli USA in Indocina⁴.

Limiti e ambiguità di ENMOD

L’articolo III(1) chiarisce che ENMOD si applica solo all’uso militare o ostile delle EMT:

*«Le disposizioni della presente Convenzione non ostacolano l’uso di tecniche di modificazione ambientale per scopi pacifici e non pregiudicano i principi e le norme di diritto internazionale relativi a tale uso»*⁵.

Questa clausola ha limitato il potenziale della Convenzione nel regolare le EMT al di fuori dei conflitti. Il problema è che alcune EMT, sebbene utilizzate per fini pacifici, possono avere effetti transfrontalieri percepiti come ostili da altri Stati. ENMOD non affronta questa ambiguità tra “ostile” e “pacifico”, un vuoto rilevante oggi, con l’interesse crescente nelle EMT per affrontare la crisi climatica.

La formulazione dell’articolo I dell’ENMOD rende inoltre poco chiaro se gli EMT siano vietati sia nei conflitti armati internazionali che in quelli non internazionali (NIAC). Come sottolineato dalla Commissione di diritto internazionale (ILC) nel suo studio in corso sulla Protezione dell’ambiente in relazione ai conflitti armati (PERAC), l’ENMOD specifica che il danno o la lesione causati dall’uso ostile o militare di un EMT devono essere arrecati a un altro “Stato parte”.6 È quindi discutibile se l’ENMOD comprenda l’uso degli EMT nei NIAC che costituiscono la maggior parte dei conflitti armati contemporanei.

Durante la sessione 2019, la CDI ha adottato 28 principi preliminari sul PERAC, incluso il principio 19 sulle EMT:

*«Gli Stati, in conformità con i loro obblighi internazionali, non devono impegnarsi in usi militari o ostili di tecniche di modificazione ambientale con effetti diffusi, di lunga durata o gravi come mezzo di distruzione, danno o lesione verso qualsiasi altro Stato»*⁷.

Sebbene il principio 19 riguardi solo gli Stati, questi principi rappresentano un progresso nel diritto internazionale, imponendo a Stati e attori non statali di proteggere l’ambiente durante i conflitti. Tuttavia, gli obblighi si limitano alle situazioni di conflitto armato, escludendo l’uso “pacifico” delle EMT.

L’ascesa della geoingegneria

Il ritmo allarmante del cambiamento climatico e delle emissioni che lo alimentano ha spinto a considerare soluzioni tecnologiche note come geoingegneria. Il rapporto del 2011 del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) definisce la geoingegneria come *«un ampio insieme di metodi e tecnologie che mirano ad alterare deliberatamente il sistema climatico per mitigare gli impatti del cambiamento climatico»*⁸.

Le tecnologie di geoingegneria (GT) si dividono in due categorie: gestione della radiazione solare (SRM) e rimozione dell’anidride carbonica (CDR). La SRM cerca «di compensare gli effetti delle crescenti concentrazioni di gas serra riducendo la quantità di radiazione solare assorbita dalla Terra». Ciò include tecniche per aumentare l’albedo (la luce solare riflessa), come iniettare aerosol solfati nella stratosfera, spruzzare aerosol di sale marino per schiarire le nuvole e aumentarne la riflettività, illuminare superfici terrestri o installare pannelli deflettori spaziali⁹.

La CDR, invece, mira *«ad affrontare le cause del cambiamento climatico rimuovendo i gas serra dall’atmosfera»*¹⁰. Tra i metodi proposti vi sono soluzioni terrestri (riforestazione, potenziamento dei pozzi di carbonio naturali, tecniche basate su biomassa e cattura/stoccaggio del carbonio), marittime (fertilizzazione oceanica per aumentare l’assorbimento di CO₂) e chimiche (cattura diretta dall’aria, alterazione chimica accelerata).

La geoingegneria come minaccia alla sicurezza

L’implementazione su larga scala delle GT comporta incertezze sui loro effetti e rischi. Una volta attivate, l’impatto preciso sui sistemi naturali – regionali e globali – rimane sconosciuto. Come per le EMT, esiste il rischio che le GT siano utilizzate per scopi ostili. Strumenti utili alla società potrebbero diventare bersagli di attacchi intenzionali in conflitti, essere militarizzate (ad esempio alterando le condizioni ambientali di un’area) o sequestrate. Progetti di CDR su piccola scala, in particolare, sono più vulnerabili alla cattura.

Un’ulteriore incertezza riguarda i rischi ambientali per Paesi terzi. Lo sviluppo di GT avanzate sarà costoso, limitandone l’uso ad attori statali o privati ricchi. I Paesi più poveri, pur non potendovi accedere, subirebbero comunque conseguenze transfrontaliere potenzialmente dannose. Interventi climatici globali richiederebbero coalizioni internazionali, ma squilibrate a favore degli interessi dei partecipanti privilegiati, perpetuando ingiustizie climatiche¹¹. Raggiungere un consenso sarà complesso, soprattutto se alcuni Stati traggono vantaggio dal cambiamento climatico.

Ad esempio, la SRM potrebbe alterare i modelli meteorologici, riducendo la radiazione utile per la salute vegetale, umana e l’energia solare. Simulazioni numeriche potrebbero essere utilizzate per progettare soluzioni favorevoli ai Paesi ricchi, emarginando le voci dei meno potenti. Il solo proporre tali soluzioni potrebbe inasprire tensioni tra Stati. Inoltre, errori nelle simulazioni – probabili data la mancanza di dati osservativi – potrebbero portare a conseguenze impreviste. Se attuate senza consenso o sotto pressione, queste tecnologie potrebbero essere percepite come atti di guerra, esacerbando conflitti esistenti o scatenandone di nuovi.

Progetti di geoingegneria inizialmente pacifici ma dannosi rientrerebbero nell’uso non intenzionalmente ostile delle EMT. Tuttavia, né ENMOD né i principi della CDI regolano tale scenario, lasciando un vuoto normativo.

L’interesse crescente nelle GT rischia anche di distogliere gli Stati dagli impegni di riduzione delle emissioni. I Paesi ricchi, dotati di strumenti per resistere temporaneamente al clima, potrebbero abbandonare gli sforzi per affrontare le cause profonde del riscaldamento globale¹¹. In questo modo, la geoingegneria non curerebbe la crisi climatica, ma mitigherebbe solo i sintomi di un sistema basato su consumo eccessivo, disuguaglianza e ingiustizia ambientale.

Il dibattito attuale: regolamentazione e responsabilità

Come strumenti potenzialmente utili, le GT richiedono un consenso internazionale sulla loro regolamentazione. Alcuni sostengono che gli strumenti giuridici esistenti possano guidare i progetti globali¹², rendendo superflua una nuova legislazione, purché sia adottato un quadro normativo adeguato¹³.

Poiché gli effetti di molte GT superano i confini statali, resta incerto come e da chi saranno governate¹⁴. Anche la scelta del forum per discuterne è controversa. Una risoluzione sulle GT alla Quarta Assemblea Ambientale ONU (UNEA) del 2019 è stata bloccata da USA, Arabia Saudita e Brasile, che contestavano il ruolo proposto per il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP). Gli USA hanno insistito che la responsabilità spettasse all’IPCC.

Il fallimento della risoluzione non è dovuto solo al disaccordo sul forum, ma anche agli interessi divergenti di Stati, gruppi di advocacy e enti privati. La regolamentazione della CDR e della SRM è affrontata in modo distinto: quest’ultima è percepita come più rischiosa e controversa. Considerare insieme le due categorie, come fatto nella risoluzione, è controproducente. Il successo della governance futura dipenderà dal riconoscere questa differenza. Nonostante il fallimento, la risoluzione ha aperto spazio a ulteriori discussioni, confermando però la difficoltà di raggiungere un consenso su tecnologie così controverse.

Poiché molte GT non sono ancora testate empiricamente, il dibattito sulla governance riguarda anche ricerca e sperimentazione. Test su larga scala richiederanno cooperazione multilivello, mentre quelli transfrontalieri solleveranno questioni di giurisdizione.

Altri nodi cruciali sono l’applicazione delle norme e la responsabilità. Gli Stati saranno vincolati dai loro obblighi legali internazionali, ma il rispetto delle regole non è garantito. Inoltre, le attività di geoingegneria coinvolgeranno attori privati. Come potranno Stati e non-Stati essere ritenuti responsabili di danni ambientali transfrontalieri secondo il diritto internazionale?

Conclusione

Il cambiamento climatico minaccia la pace e la sicurezza internazionali. Sebbene le GT possano apparire una soluzione attraente, la loro esplorazione non è priva di rischi. Una volta avviate, sarà possibile mantenere il controllo su tecnologie così invasive? E come reagirà la comunità internazionale alle conseguenze non intenzionali del loro utilizzo?

Prima di un dispiegamento su larga scala, la comunità globale dovrà affrontare questioni etiche, tecniche, di sicurezza e governance per le quali non è preparata. Allo stesso modo, le soluzioni che garantiscano giustizia ambientale ed equità intergenerazionale appaiono remote. Ma con un clima che cambia rapidamente, il tempo stringe. Senza un impegno serio nella mitigazione, la comunità internazionale potrebbe essere costretta a considerare seriamente le GT.

Gli esempi storici di ambiente e infrastrutture usati come armi sono numerosi. Pertanto, la possibile militarizzazione delle GT non può essere ignorata, e qualsiasi sviluppo futuro deve tener conto di questi rischi.

Gabriela Kolpak è una neolaureata in Sicurezza e Diritto Internazionale presso l’Università di Manchester.

NOTE
1. Articolo I, Convenzione ENMOD.
2. Articolo II, Convenzione ENMOD.
3. C. Maogoto & S. Lacey, Environmental Warfare and the Need for a New Convention, 2018.
4. J. von Braun, Militarizing the Environment: Climate Change and the Security State, 2021.
5. Articolo III(1), Convenzione ENMOD.
6. Report CDI, 2019.
7. Progetto di principio 19, CDI.
8. Rapporto IPCC, 2011.
9. Definizioni tecniche tratte da studi sul SRM.
10. IPCC, 2011.
11. Analisi critica sul rischio di abbandono delle politiche di mitigazione.
12. Argomentazioni a favore del diritto internazionale esistente.
13. Proposte per quadri normativi adattativi.
14. Dibattito sulla governance multilaterale delle GT.

TRADUZIONE A CURA DI NOGEOINGEGNERIA

FONTE https://ceobs.org/from-enmod-to-geoengineering-the-environment-as-a-weapon-of-war/

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LA CONVENZIONE ENMOD È UN CAVALLO DI TROIA

 

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