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La prossima generazione di centrali elettriche orbiterà intorno alla terra? Nel 2009, il Giappone ha annunciato con grande enfasi che nel 2030, saremmo in grado di catturare i raggi del sole dallo spazio prima del loro arrivo sulla terra. Altri progetti (da NASA e EADS , per esempio) sono in competizione per essere i primi a sbarcare il  “Santo Graal” dei progetti spaziali. Tutti si basano sullo stesso principio, previsto per la prima volta nel 1941 da Isaac Asimov (nel suo racconto “Reason”) e di nuovo nel 1968, dall’ingegnere americano Peter Glaser: i pannelli solari catturano i raggi, trasformano l’energia in elettricità e la trasferiscono sulla terra attraverso microonde. Le prime idee del Solar Powered Satellite Project iniziarono a concretizzarsi intorno al 1978. Anche se è stato proposto come un programma energetico, aveva notevoli implicazioni militari. LEGGI QUI

 Utopia o realtà? 

Cosa si ipotizza: 
– Un flusso microonde ad alta intensità mal gestite potrebbe causare gravi danni, sia materiali che umane.
– Il potenziale della centrale elettrica come arma di distruzione di massa costituisce un ostacolo geostrategico alla sua costruzione.
– La quantità di energia solare presente sulla superficie terrestre è sufficiente: se ricopriamo il 5% del deserto con pannelli solari , vedremo soddisfare tutti i nostri bisogni energetici.
– L’orbita geostazionaria è molto movimentata. Una stazione come questa potrebbe disturbare i satelliti nelle vicinanze.
– Il progetto richiede forti investimenti e la sua redditività non è ancora stata testato.
Così rispondono:
– Il costo totale del progetto giapponese non è proibitivo. Gli scienziati dicono che potrebbe addirittura essere redditizio se il prezzo del petrolio sale sopra 150 dollari al barile. Attualmente è di circa 110 dollari.
– Anche le forze armate potrebbero essere interessate a questo tipo di tecnologia.
– Non ci sono restrizioni in materia di energia solare sulla terra (presenza di nuvole,  problema  legato al ciclo giorno/notte, meno alterazione e molto più spazio).
– La quantità di energia solare generata sarebbe otto volte maggiore rispetto a quella ottenuta sulla terra con la stessa superficie.
– Un prototipo sperimentale è già stato progettato da in genieri americani. Questo piccolo modello di funzionamento genera 20 watt di energia elettrica e orbita 150 km sopra la superficie terrestre.
– Ci sono stati notevoli progressi scientifici nel campo della trasmissione di microonde, problematica principale del progetto. Ora possiamo trasmettere l’elettricità in remoto e in modalità wireless oltre i 15 km. VEDI 
http://www.edisonstart.it/news/una-stazione-di-energia-solare-nello-spazio

A CHI INTERESSA E TANTO?

Le forze armate americane hanno a disposizione competenze, attrezzature e fondi per rivoluzionare la produzione energetica globale in chiave sostenibile (ndr Greenwashing) Da sempre la United States Navy ha investito nella ricerca sulle rinnovabili con una particolare attenzione al solare, per poter ricaricare dispositivi anche nelle aree desertiche e nei posti più sperduti in cui si compiono gran parte delle missioni di guerra. I fossili non sono mai stati grandi amici dei militari, costantemente alla ricerca di fonti rinnovabili e meno costose da sfruttare in contesti bellici…

Di recente (ndr recente quanto?) il Dr. Paul Jaffe, ingegnere spaziale presso il Naval Research Laboratory, ha avviato un progetto per produrre energia solare nello spazio, al costo finale, molto competitivo, di 10 centesimi per chilowattora. Al momento l’unico nodo da sciogliere per raggiungere l’obiettivo riguarda le modalità di trasmissione dell’energiaPer quanto riguarda la produzione di energia solare nello spazio la tecnologia utilizzata nelle missioni spaziali è già disponibile. Lo stesso vale per le attrezzature necessarie ad assemblare i pannelli solari nello spazio: i robot che possono assolvere a questo compito non mancano di certo. VEDI QUI  http://www.greenstyle.it/energia-solare-nello-spazio-il-progetto-della-us-navy-78200.html  

Come funziona l’impianto fotovoltaico spaziale

Da qualche anno l’Agenzia spaziale giapponese (JAXA) e il colosso Mitsubishi hanno unito le forze per realizzare un progetto estremamente ambizioso: mandare in orbita un gigantesco impianto fotovoltaico che produrrà energia elettrica e la trasmetterà sulla Terra attraverso un sistema di trasmissione senza fili. La centrale spaziale dovrebbe diventare realtà nel 2031, al termine di un percorso complesso, puntellato da numerose incognite anche di natura economica, come vi avevamo raccontato qui.

Intanto, però, i ricercatori hanno raggiunto un nuovo traguardo: i test per la  trasmissione dell’energia attraverso un sistema wireless hanno dato esito positivo. Il passo avanti è piccolo ma sostanziale, e fornisce linfa vitale a quello che si configura come il più ambizioso programma sulle energie rinnovabili delle prossime due decadi.

I PROGRESSI DI UN PROGETTO MONSTRE. La portata del progetto si intuisce già da alcuni numeri. La centrale fotovoltaica spaziale avrà un diametro di almeno 4 chilometri e peserà oltre 10mila tonnellate. Verrà installata a 36 mila chilometri di altezza, producendo 1 gigawatt (GW) di corrente che alimenterà le case giapponesi grazie a una tecnologia a microonde che costituisce una delle maggiori sfide per gli scienziati. Ma che proprio in questi giorni ha fatto registrare incoraggianti progressi.

Attraverso il citato sistema a microonde, la JAXA è infatti riuscita a inviare una radiazione da 1,8 chilowatt (kW) a una rectenna (una speciale antenna che converte direttamente le microonde in corrente continua) posta a 55 metri dalla sorgente del segnale. Stando all’Agenzia spaziale giapponese, è la prima volta che una così grande quantità di energia viene trasferita con precisione millimetrica. Parallelamente, Mitsubishi è riuscita a far viaggiare nell’aria un fascio da 10 kW per oltre 500 metri, usando delle grosse antenne progettate per porre maggiore attenzione sulla potenza e sulla distanza.

I test non erano ottimizzati per misurare l’efficienza, quindi né JAXA né Mitsubishi hanno fornito dati che consentano di fare valutazioni in quel senso. Per ora ci si può solo basare sulle stime partorite dalla JAXA un anno fa: un fascio di microonde da 1,6 chilowatt dovrebbe generare un output di circa 350 watt a 50 metri di distanza.

MICROONDE: PERCHÉ? In teoria, esiste un altro metodo per la trasmissione a lunga distanza di energia in modalità wireless: il laser. Il quale possiede anche un apparente vantaggio: può operare a lunghezze d’onda molto piccole (nell’ordine dei micrometri) e quindi essere trasmesso e ricevuto da apparecchi di dimensioni relativamente contenute. Tuttavia, questa strada è stata giudicata impraticabile proprio a causa delle alte frequenze: un fascio laser troverebbe grosse difficoltà nel superare l’atmosfera terrestre, poiché verrebbe ad esempio assorbito o disperso dalle molecole d’acqua presenti nelle nuvole. Detto in parole semplici: funzionerebbe solo in condizioni di bel tempo. Il problema non sfiora invece le microonde, che sono radiazioni elettromagnetiche con lunghezze d’onda che arrivano fino a 10 centimetri.

 

UN’ IDEA CHE PARTE DA LONTANO. La realizzazione dell’impianto fotovoltaico spaziale, presuppone lo sviluppo dei cosiddetti Solar Power Satellite (SPS), dei collettori solari in orbita geosincrona, che mediante effetto fotovoltaico dovrebbero generare energia dal Sole 24 ore al giorno (o quasi). I concept della tecnologia girano nei corridoi della NASA fin dagli anni ’70, ma nonostante siano stati condotti numerosi studi in materia, nessuno di questi satelliti ha mai visto la luce, a causa dei costi e dei numerosi ostacoli tecnici. Quello di JAXA potrebbe quindi essere il primo SPS a volare nello spazio: per raggiungere il loro obiettivo gli scienziati giapponesi stanno lavorando al momento su due progetti differenti.

IL PROGETTO BASE. L’idea più semplice prevede l’uso di un pannello quadrato di due chilometri per lato. Il modulo ha due facce: quella superiore è rivestita di materiale fotovoltaico e serve per catturare la luce e trasformarla in elettricità, mentre quella inferiore è disseminata di antenne di trasmissione, che traducono l’elettricità in microonde da inviare sulla Terra. Sopra la “centrale solare”, a una distanza maggiore dalla Terra,  c’è una piccola stazione di controllo, collegata al mega-pannello attraverso quattro cavi lunghi 10 chilometri. Attraverso un sistema di stabilizzazione a gradiente di gravità (gravity gradient stabilization) la stazione di controllo fa da contrappeso al pannello, equilibrando l’attrazione gravitazionale della Terra e affievolendo la forza centrifuga: in questo modo il satellite rimane in orbita stabile intorno al pianeta, con un conseguente risparmio di milioni di dollari in carburante.

Il problema di questo SPS è che non produce energia in modo costante. Il pannello fotovoltaico ha infatti un orientamento fisso e la quantità di luce solare che lo colpisce varia notevolmente durante l’orbita geostazionaria.

IL PROGETTO AVANZATO. Per risolvere il dilemma della raccolta solare, l’Agenzia spaziale giapponese ha messo a punto anche un concept più avanzato, che contempla l’uso di due enormi specchi riflettenti, in mezzo ai quali è posizionato un satellite dotato di due moduli fotovoltaici e delle antenne per le microonde (per rendere l’idea, una sorta di sandwich). Gli specchi, che indirizzano i raggi del sole verso le celle fotovoltaiche 24 ore al giorno, sono in volo libero, ovvero non sono legati fra loro o connessi al gruppo di trasmissione.

In alto a sinistra, il progetto base, in cui il pannello è agganciato alla stazione controllo. In alto a destra, il progetto avanzato, che prevede l’uso di due specchi in volo libero che indirizzano la luce solare su altrettanti moduli fotovoltaici. In basso, il segnale pilota che parte dalla Terra e viaggia verso lo spazio, per indicare con precisione al SPS dove indirizzare il fascio di microonde. | JOHN MACNEILL/JAXA

Per avere un futuro questo progetto dovrà mettere in conto lo sviluppo di un sofisticato piano di volo, che permetta ai tre corpi artificiali di rimanere in formazione. A tale proposito, lo spunto di base potrebbe arrivare dal sistema che regola le manovre di docking (l’aggancio delle sonde) sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS).

TRASFERIMENTO A DISTANZA. Il processo prevede più passaggi. Nello spazio la luce solare viene convertita in corrente elettrica continua (DC), che viaggia per migliaia di chilometri sotto forma di microonde, fino ad arrivare a Terra. Qui, le radiazioni captate dalla rectenna vengono ritradotte in corrente continua; questa, grazie a un convertitore, viene infine trasformata in corrente alternata (AC), pronta per entrare nella rete elettrica.

Il trasbordo senza fili è, come già detto, uno dei passaggi più delicati. Le microonde vengono inviate da una serie di antenne lunghe circa 5 metri, ognuna delle quali dotata di miriadi di antenne più piccole – in totale, per produrre 1 GW di energia, il SPS ne servono circa 1 miliardo. Per fare in modo che il fascio arrivi a destinazione sulla Terra gli scienziati ipotizzano l’utilizzo di un segnale pilota, che viaggi in direzione dello spazio indicando alle microonde la “strada” che conduce con precisione alle antenne riceventi (le quali coprono un’area di diversi chilometri).

LA ROADMAP. JAXA sta progettando di testare il primo SPS, che sarà di dimensioni contenute e trasmetterà solo pochi chilowatt, entro il 2018. I passi successivi consisteranno in una versione da 100 megawatt per il 2021, e una ancora più evoluta da 200 MW entro il 2028. La messa in orbita dell’impianto pilota da 1 gigawatt è invece fissata per il 2031, penultima tappa prima del definitivo lancio commerciale nel 2037.

COTTI A PUNTINO? Per i profani, la domanda è più che lecita: il flusso di microonde non cuocerà ogni cosa che troverà sul suo cammino? Ebbene: non sarebbe nemmeno in grado di scaldare il caffè. Il flusso che parte dal SPS avrà una densità di potenza di un chilowatt per metro quadro, quasi uguale a quello della luce del sole. Poiché per le microonde il valore limite per la salute dell’uomo è fissato a 10 watt per metro quadro, nelle vicinanze delle antenne riceventi gli addetti ai lavori dovranno semplicemente indossare delle tute protettive, una precauzione non più necessaria già a 2 chilometri di distanza dal sito.

FONTE http://www.focus.it/scienza/energia/impianto-fotovoltaico-spaziale-giapponese

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