China e Stati Uniti hanno annunciato sabato 3 settembre l’intenzione di ratificare l’accordo sul clima Cop21. Nei prossimi mesi, anche l’India dovrebbe ratificare l’accordo Cop21. La Russia ha avviato il processo di ratificazione, mentre non lo hanno ancora ratificato il Brasile e il Canada. L’Unione europea ha fatto sapere che avrà bisogno di molto tempo affinché Bruxelles decida di quanto ciascuno dei 28 stati membri debba ridurre le emissioni di carbone fossile. Il testo prevede di bloccare a partire dal 2020 la crescita della temperatura “ben al di sotto dei due gradi” e impegna i paesi a sforzarsi a non superare gli 1,5 gradi.

Il pianeta è salvo! Come non parlarne?

By Guido Guidi

E’ praticamente su tutti i media: appena prima dell’apertura del G20 di Hangzhou, i padroni di casa cinesi e l’ospite d’onore, il presidente degli Stati Uniti, hanno ratificato l’accordo siglato a Parigi l’autunno scorso. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite è accorso in Cina per l’occasione, ritirando direttamente dalle mani dei due presidenti i documenti di ratifica. Subito dopo ha dichiarato che il dibattito sul clima è finito, ennesima OPA della politica sulla scienza. Con questi atti, fatte salve le differenze che possono sussistere tra i due paesi in termini di gerarchia delle fonti del diritto, quanto stabilito a Parigi entrerà nelle rispettive legislazioni nazionali. La più grande democrazia e la più potente tirannia del pianeta hanno trovato quindi un punto di accordo sulla necessità di salvare il pianeta, anzi, secondo il presidente Obama, lo hanno fatto. E, per di più, lo hanno fatto scambiandosi le parti.

Il presidente USA ha infatti firmato ritenendo quello di Parigi un “accordo esecutivo” e non un trattato internazionale, evitando così di sottoporre la decisione alle camere, conscio del fatto che gli sarebbe stato difficile ottenere un voto favorevole. Che poi possa o meno arrivare con la nuova presidenza è nella fase calda dell’annuncio, un dettaglio. Quello cinese ha consegnato “la proposta di rivedere e ratificare l’accordo di Parigi“, sottoscritta a porte chiuse dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo. Quale di questi processi sia stato più democratico lo lascio decidere a voi.

Al di là degli squilli di tromba, qualcuno sa cosa hanno effettivamente ratificato i due paesi, augurandosi al contempo che altri accorano a fare altrettanto per raggiungere il numero di 55 paesi ratificanti e il 55% delle emissioni globali necessario a far entrare in vigore l’accordo? Qualche tecnico probabilmente sì, tutti gli altri, quelli che giustamente apprendono le cose dal flusso delle notizie probabilmente no. Ci aiuta a capirlo un breve documento appena diffuso dalla Global Warming Policy Foundation (si, lo so, è un think tank di chiaro orientamento scettico, ma se credete, in alternativa, si può sempre andare a leggere il trattato vero e proprio). Secondo la GWPF quello che è stato ratificato è un “assegno in bianco” per le emissioni a disposizione di Cina e India, ovvero delle due realtà nazionali (e globali) che più di tutte le altre avranno un ruolo fondamentale nella bilancia delle emissioni di gas serra negli anni a venire. Perché assegno in bianco? Beh, perché, al di là del fatto che la ratifica stessa è di fatto anche una “proposta di rivedere“, quel che è stato già visto è piuttosto chiaro:

  1. Art 2(1)(a) Questo accordo, nel rafforzare l’implementazione della Convenzione [UNFCCC], incluso il suo obbiettivo, tende a rafforzare la risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per sradicare la povertà, includendo: (a) Mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C oltre i livelli pre-industriali e perseguire gli sforzi di limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C oltre i livelli pre-industriali, riconoscendo che questo ridurrebbe in modo significativo l’impatto dei cambiamenti climatici.

  2. Art 2(2) Questo accordo sarà implementato riflettendo l’equità e il principio delle responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive possibilità alla luce di diverse circostanze nazionali…

  3. Art 4(7) Quanto effettivamente i paesi in via di sviluppo implementeranno i loro intendimenti [in termini di riduzione delle emissioni] nell’ambito della Convenzione […] terrà pienamente conto del fatto che lo sviluppo sociale ed economico e l’eradicazione della povertà sono le prime e indiscutibili priorità delle Parti dei paesi in via di sviluppo.

  4. Art 4(4) I paesi in via di sviluppo dovrebbero continuare a condurre stabilendo a livello economico degli obbiettivi di riduzione delle emissioni assolute. I paesi in via di sviluppo dovrebbero continuare ad aumentare gli sforzi nella mitigazione e sono incoraggiate a muoversi nella direzione della riduzione di emissioni o di obbiettivi di limitazione in termini economici alla luce delle diverse circostanze nazionali.

Dunque, gli obbiettivi numerici sono meramente dei simboli politici, non essendo definiti da alcuna robustezza scientifica. Non possediamo il termostato del pianeta (né lo possiede l’UNFCCC) e, anche lo avessimo, i famosi ‘intendimenti’ di ogni nazione su cui si basa l’accordo, portano a livelli di emissioni che causerebbero un aumento della temperatura ben superiore ai 2°C…ma andiamo oltre. Il punto cruciale è la ripetizione, anzi, il rafforzamento di un concetto base del Protocollo di Kyoto, quello che ne ha causato il fallimento: la riduzione delle emissioni nei paesi in via di sviluppo non è perseguibile a danno della crescita economica, da cui dipende l’eradicazione della povertà (per fortuna!). E a nulla serve aver mascherato questa endemica debolezza (o cosciente cavallo di Troia) dell’accordo, con intendimenti di riduzione dell’intensità di carbonio, ossia di quel metodo di calcolo delle emissioni che le lega al PIL. Infatti, dovendo e potendo continuare a perseguire una crescita economica necessaria a sradicare la povertà nei loro paesi, Cina e India semplicemente abbatteranno l’intensità di carbonio dei loro processi produttivi al contempo continuando ad aumentarne il volume, con il risultato che le emissioni totali aumenteranno. E questo lo prevede l’accordo.

Quindi, le nazioni che emettono già ora di più di tutti gli altri, o continueranno a farlo come India e Cina, oppure dovranno prima o poi fare i conti con la volontà popolare interna al loro territorio, come nel caso degli USA, con uno dei due candidati alla presidenza che ha già fatto sapere che lo straccerà (qualora dovesse accadere, essendo quel candidato di altra parte politica, sarà interessante vedere se il ricorso all’autorità presidenziale basterà alla controparte ;-). E tutti gli altri?

Tra tutti gli altri ci siamo anche noi, che abbiamo fatto delle grandi promesse come Unione Europea, ponendo degli obiettivi anche più stringenti di quelli di Parigi, ma che dovremo ratificare l’accordo a livello nazionale. L’Italia, per esempio, ha fatto sapere che lo farà al più presto.

E qui è impossibile non ripensare all’articolo uscito sul Foglio che abbiamo segnalato e commentato qualche giorno fa: altre risorse economiche, tante, che se ne andranno per far fronte a problemi tutti da definire, con i problemi reali – rischio sismico e rischio idrogeologico – che tanto per cambiare staranno al palo. Un esempio banale. Leggiamo sul Messaggero qualche giorno fa che le procure delle aree interessate dal sisma del centro Italia hanno aperto un altro filone d’inchiesta, riguardante i ‘furbetti della residenza’. Si tratterebbe di quanti cioè (sembra tanti) che hanno chiesto di trasferire la residenza nei comuni colpiti nei giorni successivi al disastro. Motivo, accedere, come residenti e proprietari di prime case ai fondi per la ricostruzione che arriveranno. Già, perché se la casa è invece seconda, nel paese dove la proprietà degli immobili è una iattura o praticamente un reato, la ricostruzione non spetta. Anche i ricchi piangano, si leggeva sempre sul Foglio. Ma, fosse solo questo. In realtà ciò significa che la ricostruzione sarà ancora una volta un calvario, come è stato ed è tutt’ora per L’Aquila. Infatti nei centri storici le case sono contigue, quando non appartenenti allo stesso stabile o comunque costruite una sull’altra e una addosso all’altra. Quindi se hai la fortuna di avere un vicino proprietario di prima casa come te la potrai ricostruire, altrimenti dovrai aspettare che il ricco di turno smetta di piangere perché le tasse che paga non sono l’assicurazione che i cittadini sono tutti uguali. Di ricostruire se ne parlerà quando troverà i soldi da qualche parte. Documentarsi per credere. E, tutto questo, perché la coperta è corta. Non abbastanza però, da permetterci di firmare un assegno in bianco sul clima a quanto pare!

FONTE http://www.climatemonitor.it/?p=42170

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