Contadini contro industrie. Città opposte alla campagna. E Stati lacerati al loro interno. I nuovi conflitti per l’oro blu.

di Giovanna Faggionato

Quando a marzo il governo cinese ha annunciato un nuovo piano decennale di urbanizzazione da 5 mila miliardi di dollari, gli investitori finanziari hanno alzato in aria i calici. Pronti a celebrare l’economia in espansione da tre decenni e le fabbriche che producono merci 24 ore al giorno.
In pochi, però, hanno pensato alle nuove preoccupanti tensioni ambientali di cui la Repubblica popolare cinese è l’incubatore ideale.
CAMPAGNE CONTRO CITTÀ. La pancia di Pechino rumoreggia con la cadenza dei martelli pneumatici e fagocita abitanti in fuga dalle campagne al ritmo di 500 mila all’anno.
Le industrie assorbono l’acqua una volta destinata ai campi, l’inquinamento ha raggiunto livelli insostenibili, i fiumi sono contaminati. E gli analisti segnalano che il rischio di un conflitto per le risorse idriche tra campagna e città, tra le comunità contadine e l’esercito degli operai urbani, è in aumento costante.
SENZA ACQUA IN 1,2 MILIARDI. Il problema non è solo cinese, come la celebrazione della Giornata dell’acqua, il 22 marzo, si propone di ricordare.
Nel mondo oggi circa 1,2 miliardi di persone, un quinto della popolazione complessiva, vive in zone di cosiddetta scarsità idrica. E 500 milioni sono a rischio di diventarlo.
Altri 1,6 miliardi di abitanti del pianeta, inoltre, sono costretti a razionare l’acqua perché serviti da infrastrutture inadeguate o per problemi di approvvigionamento.
LA NUOVA GUERRA DI CLASSE. «Meno acqua c’è, più aumenta il rischio di guerre per contendersela anche all’interno degli stessi Stati, per esempio tra gruppi sociali con interessi economici differenti», ha spiegato a Lettera3.it Peter Gleick, cofondatore e presidente del Pacific Institute di Oakland, in California, un centro di ricerca e consulenza sulla sostenibilità ambientale con progetti specifici sulle risorse idriche.
Secondo l’uomo, che l’emittente britannica Bbc ha definito «un visionario dell’ambiente», la prossima lotta di classe, insomma, è destinata a essere scatenata dall’oro blu. Una nuova versione della guerra per la risorsa che da decenni sconvolge il pianeta.

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* I Paesi in cui ci sono stati scontri per il controllo dell’acqua dal 2010 al 2013.

L’impennata dei conflitti per l’oro blu: 41 tra il 2010 e il 2013

 

Peter Gleick, presidente del Pacific Institute, in California, uno degli enti non governativi più importanti sul fronte della battaglia ambientale.

Tra il 2010 e il 2013, il centro di ricerca coordinato da Gleick ha contato 41 guerre combattute anche per l’acqua: una in Oceania, sei in Asia, otto in America Latina, 11 in Africa e 15 nell’area mediorientale. Tutte scontri nati per motivazioni religiose, politiche ed economiche, ma sfociati poi in battaglie per l’oro blu.
Gli indipendentisti del Kashmir, per esempio, da anni sabotano gli acquedotti per rendere più incisive le loro lotte politiche. Mentre i latifondisti brasiliani hanno avvelenato le sorgenti della tribù indigena Guarani-Kaiow nella regione del Mato Grosso, allo scopo di occuparne poi i possedimenti.
IL RAPPORTO CLINTON SUL TERRORISMO. L’acqua è diventata persino una nuova arma del terrorismo: in Afghanistan i talebani chiudono i rubinetti alle scuole frequentate dalle donne. E nel 2012 l’allora segretario di Stato americano Hillary Clinton ha lanciato l’allarme, dopo aver commissionato un apposito studio sulle guerre dell’acqua ai servizi di sicurezza federali del National intelligence council.
Il rapporto sottolineava il rischio di conflitto nei vivai del terrorismo internazionale: il Nord Africa, gli Stati africani attraversati dal deserto del Sahel e il Medio Oriente, cioè le terre più aride e più minacciate dal cambiamento climatico.
L’INSTABILITÀ TRA SIRIA E ISRAELE. La guerra civile siriana, per esempio, è esplosa nel 2011 dopo una prolungata siccità: 1,8 milioni di persone sono state spinte a lasciare le campagne per riversarsi in città. Facendo aumentare l’importanza delle infrastrutture idriche e aumentando la tensione sociale.
In Siria l’acqua è sempre stata un problema da gestire con gli Stati confinanti: dei 28 milioni di metri cubi che entrano nel Paese attraverso i fiumi, solo 16 milioni sono assicurati da trattati bilaterali (dati Aquastat, database della Fao sull’acqua e l’agricoltura).
La destabilizzazione politica dell’area, quindi, rischia anche di lasciare i rubinetti a secco dei cittadini sopravvissuti agli orrori della guerra civile, se e quando dovesse finire.
«Il rischio idrico in queste aree è in crescita. E le probabilità di un nuovo conflitto, da sommarsi a tutte le tensioni soggiacenti, aumentano», ha tirato le somme Gleick. «La novità però è che il controllo dell’acqua sta diventando un problema anche in regioni in cui non lo è mai stato. Stati Uniti compresi».

La guerre civili dell’acqua in Cina, India e Usa

Getty images) L’estate del 2012 ha travolto gli Stati Uniti con la peggiore siccità in cinque decenni.

Difficile immaginare i cittadini americani che imbracciano le armi per difendere i propri rubinetti. Ma dispute e conflitti amministrativi negli Usa sono in aumento.
Gli Stati Uniti segnano il record di consumo procapite di acqua, con 1,58 miliardi di metri cubi all’anno (dati Fao). Ma cinque Stati – California, Idaho, Colorado, Texas e Illinois – sfruttano da soli il 30% delle risorse idriche di superficie.
California, Texas, e Idaho si dividono anche la metà delle acque sotterranee assieme a Nebraska, Arkansas e Florida. Tanto che quando nell’estate 2012 i contadini americani si sono trovati di fronte alla peggiore siccità degli ultimi 50 anni e i prezzi dei cereali si sono impennati, la tensione tra le diverse amministrazioni statali è arrivata alle stelle.
LA LOTTA TRA CAMPAGNE E SILICON VALLEY. Niente, però, in confronto a ciò che accade in India e in Cina, dove l’urbanizzazione a tappe forzate sta sconvolgendo rapidamente il sistema di ripartizione delle risorse idriche.
Nel Subcontinente l’agricoltura consuma ancora il 70% dell’oro blu, a fronte del 2% dell’industria e del 7% delle città. Ma gli equilibri cambiano in fretta.
Il Karnataka, lo Stato indiano dove si trovano Bangalore e la versione locale della Silicon Valley, ne ha già fatto esperienza.
I contadini bloccano il Paese regolarmente con scioperi e manifestazioni, lamentando di non avere abbastanza acqua per irrigare i campi e accusando l’industria idroelettrica di sottrarre loro risorse indispensabili. Una vera contesa da globalizzazione: da una parte le zappe dei coltivatori bruciati dal sole, dall’altra le turbine elettriche chiamate a nutrire la fiorente industria informatica.
Nel 2050 gli indiani si prevede tocchino quota 1,6 miliardi, le campagne sono chiamate a sfamare 500 milioni di bocche in più, ma il 55% della popolazione è destinata a vivere in città, anche se nelle baraccopoli di Bombay e New Delhi. E forse possono essere proprio i nuovi poverissimi ad alzare la voce.
Già oggi si calcola che i disgraziati delle megalopoli paghino fino a 50 volte in più un litro d’acqua rispetto ai vicini più ricchi.
CINA, IL DIVARIO NORD-SUD. Anche l’impero comunista cinese, pur idricamente quasi autosufficiente (solo il 7% dell’approvvigionamento viene da vie d’acqua esterne), è fondato su una profonda sperequazione.
Dal 2000 al 2005, parallelamente allo sviluppo industriale e alle migrazioni, il fabbisogno di acqua della popolazione cittadina è passato da 34,7 miliardi di metri cubi a 67,5 miliardi (dati Fao). Ed entro il 2015, circa un quinto del consumo quotidiano di acqua si prevede sia destinato al funzionamento delle centrali idroelettriche.
«In un certo senso», ha spiegato Gleick, «la divisione tra contadini e popolazione urbana è un conflitto di classe. Il problema è che le città saranno sempre in grado di pagare l’acqua più dei contadini. E l’ambiente non può proteggersi da solo in questo sistema perché non ha denaro».

La doppia natura dell’acqua, tra merce e bene comune

 

L’accesso all’acqua è riconosciuto dall’Onu come un ‘diritto umano’.

La gestione delle risorse idriche dà dunque ai governi una nuova missione.
L’accesso all’acqua è stato riconosciuto come diritto umano nel 2011 dalle Nazioni unite. Ma, oltre a garantire a tutti un bene fondamentale, i leader del mondo devono imparare a razionalizzare le risorse.
Nel 2020, secondo le stime, la popolazione mondiale si prevede raggiunga infatti quota 7,7 miliardi. La produzione di cereali è chiamata a sfamare quasi 1 miliardo di persone in più: poter irrigare i campi diventa fondamentale per riuscirci. Ma le imprese è possibile che continuino a esigere il loro tributo di oro blu.
DAL 2011 DIRITTO RICONOSCIUTO. «All’orizzonte si intravede un conflitto tra la natura economica e non economica dell’acqua», ha concluso Gleick.
«I governi dovrebbero distribuire gratuitamente le risorse idriche necessarie alle fasce di popolazione che non possono partecipare al mercato. Ma dovrebbero anche riservarne una parte all’agricoltura e all’ambiente, perché l’ecosistema non ha denaro per proteggersi».
Trovare il compromesso tra due necessità, oggi più che mai, è una missione da leader illuminati.

Venerdì, 22 Marzo 2013

 

http://www.lettera43.it/politica/le-nuove-guerre-per-il-controllo-dell-acqua_4367587530.htm

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