… Ecco quindi il dilemma fondamentale della nostra epoca: “Noi siamo inferiori a noi stessi”. Siamo incapaci di farci un’immagine di ciò che noi stessi siamo stati capaci di fare. In questo senso siamo “utopisti a rovescio”: mentre gli utopisti non sanno produrre ciò che concepiscono, noi non sappiamo immaginare ciò che abbiamo prodotto.” Guenther Anders, filosofo austriaco

L’uomo è antiquato

Recensione del libro di Guenther Anders

Die Antiquiertheit des Menschen [lett. l’antiquatezza dell’uomo] … è un testo fondamentale… L’attualità di molte delle sue pagine gli fa meritare il titolo di classico del pensiero contemporaneo, e fa pensare a esso come al controcanto tecnologico e ultraradicalizzato degli studi sul totalitarismo compiuti dalla ex moglie dell’autore, Annah Arendt.

Per Anders la nostra età della tecnica ci porta a vivere in un “totalitarismo morbido” globale. L’uomo è antiquato è uno dei non molti testi del passato secolo in cui si respira in ogni frase un’urgenza etica che riporta in vita, in maniera filosofica, le antiche tradizioni profetiche, e ci riconduce al centro di una scena inquietante, chiusa da estremi fatali e decisivi. Ma questo e, come suggerisce Costanzo Preve nella sua introduzione, la critica di Anders alla “retorica della modernizzazione” da un lato e la “critica alla retorica della complessità” dall’altro, fanno di lui un filosofo insopportabile che l’establishment accademico preferisce ignorare, viste le difficoltà a ripresentarlo in forma “commestibile” attraverso processi di edulcorazione verbale.

Anders descrive un mondo in cui la macchina e gli oggetti prodotti in serie sono diventati i protagonisti della storia, il luogo in cui ogni essere umano è ‘gettato’ e costretto a vivere in qualità di essere totalmente inadeguato ai nuovi tempi. Non stupisce quindi che Anders annoveri tra i maggiori filosofi del nostro secolo autori di narrativa come Huxley, Orwell o Lem, tra i pochi scrittori in grado di intravedere il problema posto dall’età della tecnica. Se la prima rivoluzione industriale è consistita nell’introduzione del macchinismo, se la seconda si riferisce alla produzione dei bisogni, la terza rivoluzione industriale è per Anders quella che produce l’alterazione irreversibile dell’ambiente e compromette la sopravvivenza stessa dell’umanità.

Questi sconvolgenti cambiamenti hanno coinvolto la vita dell’uomo nella sua complessità, tanto che i contorni di tre ambiti come quelli morale, estetico e politico si sono fatti evanescenti. Per Anders non è possibile più affrontare questi temi secondo le categorie che abbiamo ereditato dalla grande tradizione filosofica, religiosa, letteraria, o scientifica. Per esempio, non è più possibile parlare di libertà senza tener conto della silenziosa, e paradossalmente invisibile, irruzione del pubblico nella nostra vita a discapito di ogni residuo angolo di privatezza. Il nostro diventare un pubblico televisivo domestico equivale alla scomparsa della vita privata. Anders descrive la nostra impossibilità di avere un’esperienza diretta del mondo, che sia priva dei fantasmi che giungono nelle nostre case attraverso la televisione. Il vero problema morale concerne il rischio del soffocamento di ogni impulso morale a opera della tecnica e dei suoi connotati particolari: “le nostre stesse azioni ‘morali’ e ‘immorali’, che lo vogliamo o no, vagano prive di radici nell’oceano dell’essere, moralmente indifferente, per così dire sotto forma di ‘fiori metafisici recisi'” (v. I, p. 77). “Ancor oggi nelle etiche accademiche gli impianti di sterminio sono un oggetto del futuro non ancora scoperto” (v. I, p. 249). “L’addetto al campo di sterminio non ha “agito”, ma, per quanto orrendo ciò possa apparire, ha lavorato. E dato che scopo e risultato del suo lavoro non lo riguardano, dato che il suo lavoro in quanto lavoro è considerato sempre ‘moralmente neutrale’, ha sbrigato una faccenda ‘moralmente neutrale'” (ivi, p. 299). Viviamo in un’epoca in cui è neutralizzata la differenza tra agire violento e mansuetudine, un’epoca che ci preclude il “diritto alla cattiva coscienza” e che atrofizza la nostra capacità di provare il senso di colpa (v. II, p. 60). L’uomo è ormai troppo antiquato per potere, anche solo potenzialmente e ipoteticamente, condurre un’autentica vita etico-morale, e gli stessi filosofi sono troppo “antiquati” per comprendere appieno quello che ci sta accadendo. I nostri apparati testuali e concettuali, il nostro vocabolario, sono inadeguati. Di qui il tono provocatorio, spesso “eccessivo” di Anders (come ha detto Pier Paolo Portinaro, “quello della deformazione, dell’esagerazione è anche il metodo di Anders”), e di qui i suoi frequenti riferimenti al suo fondamentale scritto, erede “tecnologico” delle satira swiftiana: il romanzo filosofico Die molussiche Katakombe, pubblicato solo nel 1992 a Monaco.

Quelli di Anders sono gli eccessi di chi cerca una visuale esterna a un mondo capillarmente tecnicizzato anche nelle diramazioni culturali considerate più “elevate” e immuni dalla tendenza fondamentale del tempo. Nella visione andersiana, l’umanità, come Gregor Samsa, si è lentamente adattata alla mostruosità di un’alienazione che la investe in ogni istante e in ogni particolare della sua vita. Quella di Anders appare una descrizione “kafkiana al contrario” nel suo intento di mostrare la completa alienazione della vita nella nostra quotidiana “normalità”. Il metodo di Anders, corrispondente a quella che egli chiama la sua “filosofia d’occasione”, è un mirabile tentativo di scoprire, a partire dai dettagli del nostro stile di vita di ogni giorno, il processo sottostante: una disumanizzazione in fase talmente avanzata da coinvolgerci totalmente e da impedirci di esserne consapevoli (la nostra “cecità all’apocalisse”). A questo proposito è eloquente l’estrema scarsità di traduzioni e studi relativi a Anders in lingua inglese e quindi negli Stati Uniti (il paese in cui Anders ha vissuto a lungo, facendo i lavori più disparati compreso naturalmente l’operaio ai nastri), e che servono per lui da modello principe in cui può essere letto più chiaramente il libro dell’avvenire (tanto che talora sorge il dubbio: in quali passi del testo Anders sta parlando della cultura dell’età della tecnica, e dove invece egli sta parlando degli aspetti più deteriori della cultura e della società statunitense? È possibile una distinzione?). Parlare di antiquatezza dell’uomo e disumanizzazione non è certo espressione di un moralismo superficiale. Questa disumanizzazione appare una realtà riconoscibile nella vita di ciascuno di noi, senza eccezione. Anders propone in quest’opera il controcanto concreto e pratico-morale della filosofia della tecnica di Heidegger, il cui rifiuto di affrontare direttamente il problema morale del nostro tempo è presentato da Anders come la conseguenza (e non come la critica) di un atteggiamento moralistico (v. II, p. 6). La tensione morale sottesa a quest’opera è lontano dal confondersi, come talora in Heidegger, con un atteggiamento da semi-esteta, sebbene presenti diversi punti deboli ed esagerazioni che avrebbero richiesto una maggiore accuratezza.

Questo testo è una trattazione sui limiti di tutte le facoltà dell’uomo alla luce dell’età della tecnica; sono riconoscibili, espressi in termini assai simili, ma con esempi illuminanti e con meno tecnicismi, quasi tutti i temi di Psiche e techne, (1999), un testo in larghissima misura debitore dell’opera di Anders, come ha riconosciuto l’autore Galimberti.
I limiti sono interpretati come una molteplicità di dislivelli tra l’anima dell’uomo e le forme della sua prassi: tra immaginare e fare, tra sentire e agire, tra coscienza e conoscenza. Questa serie di dislivelli conduce non solo alla totale impossibilità di una personalità armoniosa (v. I, p. 50-52), ma ad una situazione in cui “nessuno di noi ‘sa’ in un senso realmente adeguato all’effettiva realizzazione: il comandante in capo né più né meno dell’ultimo fantoccino, il presidente né più né meno dell’ultimo operaio” (v. I, p. 279).

La parte del testo che appare la meno convincente e che fatico a fare combaciare con la mia esperienza personale, stranamente, è la lunga parte prima, che presenta, con un’argomentazione accurata ma tendenziosa, la tesi del sopraggiungere di una nuova varietà di vergogna (la “vergogna prometeica”), la vergogna dell’uomo di fronte ai suoi stessi prodotti. Questa tesi dovrebbe costituire uno dei capisaldi del libro. Non sempre convincente appare poi l’associazione diretta tra conformismo ed età della tecnica (non è il conformismo qualcosa di cooriginario all’essere umano in quanto tale e alla struttura mimetica del suo sviluppo cognitivo-affettivo?). Ma queste parti non compromettono la solida e coerente struttura interna del testo, che è una ricerca esemplare, che offre un notevole numero di scottanti intuizioni, molte immagini originali e genuinamente provocatorie di noi stessi. Uno specchio deformante, molti direbbero, ma Leonardo ci ha insegnato che una caricatura può essere più veritiera di un ritratto realistico. Quest’opera apre ulteriormente gli spazi problematici esplorati dai precedenti filosofi della tecnica, e lo fa in un linguaggio il più delle volte concretissimo e accessibile anche a un pubblico di non specialisti (quindi è maggiormente triste pensare che quest’opera probabilmente continuerà a restare abbastanza estranea a un pubblico diverso da quello specialistico, per la scarsa attenzione dei media oltre che in ragione del prezzo elevato). Fare tesoro delle intuizioni in essa contenute, potrebbe permetterci di stabilire letteralmente un nuovo quadro della situazione (non solo in filosofia, ma anche in discipline che vanno dalla sociologia alla psicologia alla teologia) una visuale senza precedenti sullo stato degli esseri umani e di ciò che chiamiamo la nostra umanità.

INDICE

Vol. I
Un filosofo controvoglia, di Costanzo Preve. 

Cronologia
Introduzione
Parte prima. Della vergogna prometeica
Parte seconda. Il mondo come fantasma e come matrice
Il mondo fornito a domicilio. Il fantasma. La notizia. La matrice. Un tuffo in questioni di ordine più generale
Parte terza. Essere senza tempo. A proposito di En attendant Godot di Beckett
Parte quarta. Della bomba e delle radici della nostra cecità all’apocalisse
Prime constatazioni terrorizzanti. Ciò che la bomba non è. L’uomo è inferiore a se stesso. Lo sviluppo della fantasia morale e la plasticità del sentimento. Radici storiche della cecità all’apocalisse. Annichilazione e nichilismo. Parole di conclusione. Appendice. Note

Vol. II
Prefazione
Introduzione. Le tre rivoluzioni industriali
L’apparenza. Il materialismo. I prodotti. Il mondo umano. La massa. Il lavoro. Le macchine, I. Le macchine, II. L’antropologia filosofica. L’individuo. Le ideologie. Il conformismo. La frontiera. Il privato. Il morire. La realtà. Tesi per un simposio sui mass media. La libertà. La storia, I. La tecnica come soggetto della storia. La storia,

II. La modernità è antiquata. La storia,

III. Il mondo sirenico. La fantasia. Il “giusto”. Il tempo e lo spazio. La serietà. Sugli happenings. Il “senso”. L’uso. Il non-potere. Il male. Riflessioni metodologiche conclusive. Note

AUTORE

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Anders con Hannah Arendt 

Günther Anders (pseudonimo di Günther Stern) nacque a Breslavia nel 1902. Laureato in filosofia nel 1923, dopo studi condotti alla scuola di Husserl, emigrò per ragioni razziali nel 1933, trasferendosi prima a Parigi e poi negli Stati Uniti (New York e Los Angeles). Dopo essere stato il primo marito di Hannah Arendt, sposò nel 1945 la scrittrice Elisabeth Freundlich. Nel 1950 tornò in Europa, stabilendosi a Vienna dove morì nel 1992. È autore di un’opera ancora in parte inedita in cui l’interesse per la filosofia si alterna con quello per la letteratura. Sono famose le sue prese di posizione sulla bomba atomica (cfr. Essere o non essere La coscienza al bando entrambi Einaudi, 1961 e 1962), sulla guerra del Vietnam e su Černobyl. Disponibili in traduzione italiana anche: Opinioni di un eretico (Teoria, 1991); Patologia della libertà (Palomar, 1994); Noi, figli di Eichmann (La Giuntina, 1995) e Stato di necessità e legittima difesa (Cultura della pace, 1997).

LINK

http://www.history.ucsb.edu/faculty/marcuse/anders.htm

www.guenther-anders.net

FONTE http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2003-11/anders.htm

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