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Il film E noi come stronzi rimanemmo a guardare presentato alla Festa del Cinema di Roma, simpaticamente imperfetto e coraggioso, mette in guardia in forma tragicomica. Il regista dell’opera, evidentemente  ispirato dal film drammatico di Kennth Loach Sorry We Missed You e dal magnifico HER di Spike Jonze, percepisce che stiamo andando verso una dittatura della tecnologia che, come dice PIF alias Pierfrancesco Diliberto, “tira le persone sempre più in basso invece di metterle al centro”. “Non c’è spazio per la tristezza e la solitudine nel mondo di Fuuber”, è la filosofia dell’imprenditore del racconto, con evidente riferimento a una figura della vita reale. Quanto poco la fantasia di questa commedia a sfondo distopico si discosti dalla realtà diventa evidente nel guardare sia il film che il video di presentazione di Mark Zuckerberg, entrambi presentati poche settimane fa.
“Siamo all’inizio di un nuovo capitolo per internet, ed è anche un nuovo capitolo per la nostra azienda”. È così che Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook, ha annunciato il metaverso e la nascita del meta. Potrebbe essere un nuovo capitolo per tutta l’umanità. Il progetto: un futuro in cui le persone possono andare a lavorare, incontrarsi e passare il loro tempo libero utilizzando ologrammi che ci permettono di virtualizzare esperienze che una volta erano fisiche. Immaginate un mondo digitale in cui potete condurre la vostra  vita senza uscire di casa, incontrarvi con i vostri amici (avatar), ballare, assistere ad un concerto, viaggiare, volare stando sul divano della vostra stanza. Benvenuti nel “metaverso”.

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La distopia di Zuckerberg si chiama Metaverso

Ryan Zickgraf

Il fondatore di Facebook vuole inaugurare una nuova era di Internet in cui non c’è distinzione tra virtuale e reale, con nuove forme di proprietà e sfruttamento. E nessun modo di disconnettersi

Mentre i suoi colleghi Ceo del settore tecnologico cercano di aprire un’era di viaggi interplanetari di massa, il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg sogna l’espansione non nello spazio ma nel cyberspazio. I signori della Silicon Valley hanno chiuso con la realtà terrena. Solo che mentre Elon Musk e Jeff Bezos organizzano piani per andarsene fisicamente, Zuckerberg vuole programmare una migliore esperienza terrena, curata da Facebook.

A luglio, Zuckerberg ha annunciato che Facebook nel prossimo mezzo decennio si trasformerà in un’azienda «Metaverse». Il gigante dei social media vuole trasformarsi in una piattaforma che consuma e comprende ogni relazione di lavoro, commercio e intrattenimento che si mescolano sotto un unico grande tetto. Se sembra vago, è perché il Metaverso è un polpo con un numero quasi infinito di braccia e nessun singolo progetto, motivo per cui molti lo chiamano Web 3.0. È «il successore di Internet mobile», ha detto Zuckerberg a The Verge il mese scorso. «Puoi pensare al Metaverso come a un Internet incarnato: invece di visualizzare i contenuti, ci sei dentro».

Come parte del suo blitz mediatico iniziale su Metaverse, il mese scorso il capo con la felpa e il capuccio è apparso su Cbs News per mostrare tramite Horizon Workrooms cosa significhi effettivamente essere «dentro Internet». Workrooms, il tentativo di Facebook di superare Zoom, è un programma di teleconferenza coinvolgente in cui i colleghi indossano un casco Oculus VR e condividono uno spazio ufficio virtuale per, ad esempio, scarabocchiare note su una lavagna digitale usando gesti delle mani mentre i loro avatar imitano i propri movimenti. La demo sembra ridicolmente deludente (gli avatar da cartone animato assomigliano a quello che accadrebbe se Nintendo realizzasse un’app chiamata Wii Work), ma è facile capire perché il management potrebbe affollarsi in un ambiente di lavoro panottico gentile e dai colori vivaci dove è impossibile sfuggire allo sguardo del tuo capo, anche nella tua camera da letto.

Secondo Zuckerberg, Horizon Workrooms è solo un assaggio di ciò che verrà. «Tra cinque anni, le persone saranno in grado di vivere dove vogliono e lavorare da dove vogliono, ma si sentiranno presenti quando lo faranno», ha detto.

L‘idea del Metaverso si espande oltre il goffo inganno guidato dalla Cgi visto attraverso gli occhiali di un casco Oculus, ma il concetto di «essere presenti» potrebbe cambiare completamente nei prossimi anni (sebbene la cronologia di mezzo decennio di Zuckerberg sembri ottimistica). Molti degli architetti del Metaverso immaginano un futuro in cui le realtà fisiche, aumentate e virtuali convergono in un’unica realtà potenziata governata da un sistema di consumo economico e mediatico condiviso.

Il venture capitalist Matthew Ball ha delineato il concetto di Metaverse lo scorso gennaio con un saggio autorevole. «Il Metaverse rivoluzionerebbe non solo il livello dell’infrastruttura del mondo digitale, ma anche gran parte di quello fisico, così come tutti i servizi e le piattaforme su di esso, come funzionano e cosa vendono», ha scritto. In altre parole, il Metaverso creerebbe una nuova sfera di proprietà dei beni di consumo.

Immagina, ad esempio, di acquistare una skin a tema Rick e Morty per il tuo avatar digitale nel videogioco Fortnite. Attualmente è possibile, ma solo acquistando 1.500 V-Bucks della valuta di gioco di Fortnite. Vestirsi come Rick Sanchez funziona solo nel popolare sparatutto battle royale. Un’infrastruttura Metaverse ti consentirebbe teoricamente di trasferire l’abito digitale per indossarlo a un concerto online di Lady Gaga (previsto per Fortnite il prossimo anno) o durante un allenamento di gruppo Peloton con gli amici.

Mettiamo che hai preso lo scherzo troppo sul serio e il capo è infastidito dal fatto che ti presenti a un incontro nella vita reale come lo scienziato dei cartoni animati, che tutti vedono attraverso i loro occhiali smart Ray-Ban. Quindi decidi timidamente di scambiare il costume con valuta sotto forma di un token non fungibile (Nft) «Cool Cats» e una manciata di Dogecoin. O forse accade il contrario, e arrivi ad amarlo così tanto che non solo vuoi mantenere la pelle di Rick per sempre, ma metterla nel tuo testamento e trasmetterla ai tuoi figli quando morirai. Tutto questo e molto altro sarebbe possibile nel Metaverso. Se questa prospettiva sembra venire fuori dalle pagine di un romanzo di fantascienza, è perché lo è.

La gargoilificazione della società

Il termine Metaverso appare per la prima volta nel romanzo di Neal Stephenson del 1992 Snow Crash, che segue le avventure futuristiche di Hiro, un autista che consegna la pizza per conto della mafia che lavora come hacker, immerso in quello che viene descritto come «un universo generato dal computer che il suo dispositivo sta disegnando sugli occhiali e pompando nelle cuffie».

Il libro è stato a lungo una Bibbia per i sacerdoti dell’alta tecnologia. Stephenson viene venerato come un profeta, accreditato per aver inventato i concetti di avatar e criptovaluta oltre al Metaverso. Snow Crash una volta era una lettura obbligatoria per il team di gestione di Facebook. Stephenson è diventato amico di Bezos e nel 2014 è stato assunto dalla società di realtà aumentata Magic Leap per contribuire veramente a costruire il Metaverso.

Pare proprio che nessuno nella Silicon Valley abbia senso dell’ironia. Snow Crash è un romanzo distopico, non utopico. I regni digitali del Metaverso di Snow Crash sono ancora più insidiosi dei purgatori da parco giochi che ha contribuito a ispirare nelle offerte della cultura pop come i film Matrix o il romanzo Ready Player One. Ingoiare la pillola rossa in Matrix significa perforare il velo dell’illusione e vivere un mondo autentico. Allo stesso modo, in Oasis di Ready Player One è come essere collegato alla PlayStation più avanzata del mondo, dalla quale puoi facilmente staccarti.

Alcuni utenti accedono ed escono dai terminali in Snow Crash, ma i «gargoyle», una classe di personaggi che indossano sempre dispositivi che migliorano la realtà, non lo fanno mai veramente. Per i gargoyle, che abitano in ogni momento il Metaverso, non esiste «accedere» e «disconnettersi». Stephenson scrive: Non è divertente parlare con i gargoyle. Non finiscono mai una frase. Sono alla deriva in un mondo disegnato a laser, scansionano retine in tutte le direzioni, controllano chiunque si trovi nel raggio di un migliaio di metri, vedono tutto contemporaneamente alla luce visiva, agli infrarossi, al radar a onde millimetriche e agli ultrasuoni.

Realizzando progetti reali per inaugurare il Metaverso, la Silicon Valley sta cercando di trasformarci tutti in gargoyle. Il filosofo francese Jean Baudrillard aveva una parola per questa condizione: iperrealtà, dove realtà e simulazione si fondono così perfettamente che non c’è una chiara separazione tra i due mondi. Alla fine, ha ipotizzato, la differenza non avrebbe importanza perché le persone trarrebbero comunque più significato e valore dal mondo simulato.

Se il Metaverso non può essere separato dalla vita reale, allora il Metaverso è la vita reale, al punto che lo stesso termine Metaverso alla fine svanisce e la realtà costruita è resa invisibile. Considera il capitalismo qualcosa di simile alla versione occidentale di Windows, un sistema operativo che girava silenziosamente in background nell’era neoliberista. La Fine della Realtà potrebbe diventare la nuova Fine della Storia. Riuscite a immaginare il potere di coloro che tirano le fila di questa nuova realtà? Zuckerberg può.

Ready World One

Alcuni considerano il Metaverse come nient’altro che vaporware. Dopo l’annuncio di Zuckerberg, diversi critici, anche di sinistra, l’hanno liquidata come un «panzana digitale» o uno spacconata «per bambini», come ha sogghinato Gawker.

Una generazione fa, molti boomer e giovani della Generazione X si sono scrollati di dosso le notizie sull’arrivo di Internet originale o hanno riso all’idea che avrebbe cambiato la società per sempre. Lo so personalmente perché, nell’inverno del 1994, scrissi un servizio per il giornale del mio liceo dal titolo: «Cos’è Internet?» e ne ricevetti in cambio un sacco di sguardi confusi. Ma poi è successa una cosa divertente: i nerd hanno vinto e Internet ha davvero cambiato tutto.

Le prove che il Web 3.0 è in arrivo sono ovunque. Negli ultimi due decenni, abbiamo sempre più abbandonato gli spazi fisici e pubblici condivisi – quello che Baudrillard chiamava il «deserto del reale» – per le estasi dell’iperrealtà e le esperienze mediate attraverso gli schermi. Vi siete mai chiesti perché ormai abbiamo bisogno di usare la parola «vissuto» per qualificare l’«esperienza»?

Quando Vanity Fair ha chiesto a Stephenson dei suoi romanzi che predicono l’età attuale, lui ha detto: La pratica di andare in giro curvo con un rettangolo in mano è del tutto normale ora, e quando vedo qualcuno in macchina o camminare per strada a centinaia di piedi lontano, posso dire che stanno mandando messaggi solo osservando la sua postura.

Le politiche sulla pandemia di Covid-19 come la quarantena e il distanziamento sociale hanno accellerato il passaggio all’iperguida di una società digitalizzata. Durante il lockdown, l’utilizzo medio dei dispositivi digitali è aumentato di cinque ore al giorno, con gli utenti più assidui incollati ai propri dispositivi per circa 17,5 ore al giorno. Zoom ora ha 300 milioni di utenti, rispetto ai soli 10 milioni di dicembre 2019. Google, Facebook, Apple e Amazon – i Big Four dell’economia dell’informazione – sono ormai «troppo grandi per fallire», proprio come le grandi banche e i produttori di alto livello negli ultimi anni.

Anche molti gruppi di protesta come QAnon, i boogaloo bois e gli antifa hanno una qualità iperreale, come se emergessero dagli angoli marginali di Internet e scendessero per le strade come avatar online in costume che prendono vita. L’aumento di popolarità delle azioni meme guidate da Reddit, criptovaluta e Nft suggerisce che anche la nostra economia va in quella direzione, con Elon Musk in grado di fare o distruggere fortune con un singolo tweet. In un senso molto reale, il lavoro digitale, il gioco, lo shopping, la socializzazione e la politica stanno già sostituendo piuttosto che integrare i loro equivalenti del mondo fisico.

I videogiochi hanno già una qualità simile a Metaverse. Nel 2020, la star del rap Travis Scott ha tenuto cinque concerti virtuali a Fortnite, a cui secondo Epic Games hanno partecipato 27,7 milioni di giocatori. Circa 1,5 milioni di persone al giorno giocano ad Axie Infinity, un gioco in cui gli utenti sborsano centinaia di dollari reali per allevare creature simili a Pokémon sui loro Pc nella speranza di allevarne uno raro in grado di guadagnare grandi quantità di criptovalute. Un numero non trascurabile di giovani sta abbandonando l’economia formale per coltivare Axies tutto il giorno. Per dirla alla maniera di Twitter: la gig economy è stanca; la leisure economy è connessa. 

La Silicon Valley vede già le basi per il Metaverso, e forse con buone ragioni. Un cambiamento così fondamentale come questo «è sempre un processo iterativo pluridecennale – ha scritto Ball – e tuttavia, nonostante ciò, negli ultimi anni c’è un’inconfondibile sensazione che i pezzi fondamentali si stiano unendo in un modo che si sente molto nuovo e molto diverso».

Segreti del Metaverso

In definitiva, i titani della Silicon Valley come Bezos, Musk e Zuckerberg credono di essere i salvatori dell’umanità, non i cattivi. Sono fan ora cresciuti dello Star Trek originale di Gene Roddenberry, opera di fantascienza televisiva che immaginava lo spazio come una tela bianca per una società migliorata che favoriva l’esplorazione senza colonialismo, la diplomazia sulla guerra e il commercio senza l’avidità.

Bezos e Musk non sono così audaci da immaginare il socialismo spaziale. Sembrano essersi rassegnati al triste fatto che la terra sta morendo e, quindi, l’umanità ha bisogno di una capsula di salvataggio per un nuovo mondo coraggioso che opera sotto lo stesso vecchio capitalismo del libero mercato, solo con un’enfasi ancora maggiore sul concetto di «libero».

Ma mentre lo spazio da lontano è affascinante da studiare, come luogo in cui vivere, respirare e prosperare, be’, fa schifo. Forse è per questo che Mark Zuckerberg sta rinunciando a questa particolare corsa allo spazio e si sta concentrando sul Metaverso. Dopotutto, la storia di Facebook dimostra che è molto più facile colonizzare le menti rispetto a Marte.

Il marchio di tecno-utopismo di Zuckerberg non è nuovo. È un reboot dell’ideologia dei cyber-profeti post anni Sessanta che vedevano il World Wide Web come un potenziale regno infernale del liberalismo e della liberazione New Age, un viaggio quasi spirituale che ci avrebbe emancipato dai confini e dalle leggi e avrebbe spezzato le catene del corpo e della mente. Ma la sua versione è annacquata.

«Credo che il mondo sia migliore quando più persone hanno voce per condividere le proprie esperienze e quando i guardiani tradizionali come i governi e le società di media non controllano quali idee possono essere espresse», ha detto Zuckerberg nel 2019. Si noti che parla di libertà individuale di espressione e non di capitale e lavoro e nemmeno di democrazia. Questa è la forma di Internet che abbiamo ereditato: un centro commerciale digitale monopolistico invece che una comune. E la società che ha contribuito a produrre assomiglia a Snow Crash, non a Star Trek.

Un attento lettore del romanzo di Stephenson saprà che tutto ciò è tragico. Nel tetro universo di Snow Crash, il governo si è ritirato nell’irrilevanza e la terra è divisa in città-stato governate in franchising da grandi imprese. Il trionfo dell’anarco-capitalismo ha a sua volta portato le disuguaglianze alle stelle e deteriorato le condizioni materiali, mentre il Metaverso fornisce alle masse un rifugio – o almeno una distrazione – dalla società decaduta che le circonda.

*Ryan Zickgraf è un giornalista, vive in Alabama e dirige Third Rail Mag. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione. https://jacobinitalia.it/la-distopia-di-zuckerberg-si-chiama-metaverso/

IN QUESTO VIDEO MARK ZUCKERBERG SPIEGA COME FUNZIONA IL METAVERSE E COME SARANNO UTILIZZATE LE NUOVE TECNOLOGIE

 

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