‘La Guerra che verrà?’ era pubblicato su New Scientist (Australia) del 1976, evidenziando un’ altra volta la lunga storia della modificazione meterologica e climatica per scopi bellici.
QUESTA GUERRA E’ ARRIVATA.
Nel 1991, grazie alla “Glasnost”, fu svelato un programma di ricerca militare avviato dall’Unione Sovietica tra gli anni sessanta e settanta, destinato a provocare terremoti artificiali, causati mediante esplosioni nucleari sotterranee da sfruttare come arma di attacco preventivo, prima di un attacco convenzionale.
Si trattava del programma “Kontinent”, i cui esperimenti sono forse stati la causa di numerosi terremoti registrati negli Urali in quel decennio, di cui si ricorda quello del nono grado della scala Richter, che rase al suolo la città di Gasli. Per capire l’intensità di quel terremoto, anche il sisma sottomarino della notte del 25 dicembre scorso, registato nell’Oceano Indiano, fu del IX/Richter, causando le onde tsunami del più grande cataclisma che l’umanità ricordi. L’enorme numero di vittime, il devastante impatto sull’economia e sulla società dei paesi colpiti, fa ricordare che in passato vennero studiate tecniche per provocare cataclismi artificiali e di conseguenza, fa pensare alle preoccupazioni internazionali per mettere al bando le tecniche di modificazione dell’ambiente “per uso militare o per qualsiasi altro uso ostile” di cui è garante la Convenzione “Enmod” adottata a Ginevra il 18 maggio 1977.
Cercando tra le notizie riguardanti le modificazioni dell’ambiente, ho appreso che nel mese di luglio del 1975, direttore del Centro di Ricerche geografiche del Messico, aveva accusato il governo degli U.S.A. dichiarando che gli scienziati americani, il precedente ottobre, con l’uso di ioduro d’argento, avevano deviato il corso dell’uragano Fifì allo scopo di risparmiare la Florida che era allora in piena stagione turistica. L’uragano Fifì aveva quindi investito l’Honduras uccidendo diecimila persone. L’intervento dell’uomo nel campo della modificazione artificiale del tempo atmosferico e degli equilibri che regolano le forze della fisica terrestre va compiendo progressivi sviluppi rivolti a beneficio dell’umanità, ma le relative tecniche di applicazione, se impiegate senza il controllo di un organismo internazionale, possono condurre a conseguenze conflittuali fra i Paesi sui quali tali modicazioni ambientali si verificano. L’interesse militare per un loro possibile impiego operativo bellico è certamente vivo. Il carattere di conflittualità e il possibile impiego di manipolazioni meteorologiche e geofisiche in campo militare sono stati chiaramente messi in evidenza dal dossier redatto nell’ottobre 2003 per il Pentagono dai climatologi Schwartz e Randall, la cui commessa è costata 100mila dollari ( si veda: “Climi di guerra” C. Stracquadaneo – Analisi Difesa n. 46, giugno 2004).
Le proccupazioni internazionali verificatesi in questi ultimi anni, non sembrano stimolare una reazione ampia e determinata nella nostra società; fortunatamente non così nel mese di giugno 1975, quando le maggiori agenzie internazionali di stampa diedero ampia diffusione ad alcuni comunicati provenienti da Washington, Ginevra e Mosca che parlavano dell’esistenza di una nuova “Superarma”, presto identificata come “Arma meteorologica”, oggetto di negoziati al vertice fra le due più grandi potenze mondiali del tempo: Usa e URSS.
Dopo trenta anni dalla firma della Convenzione “Enmod”, sarebbe necessaria l’adozione di un protocollo aggiuntivo alla “Enmod” e di conseguenza la messa al bando dell’uso e di tutte le possibilità attuali e future dello sviluppo di apparati, che potrebbero trasformarsi in vere e proprie armi meteorologiche e geofisiche. Una simile iniziativa dovrebbe essere portata all’ordine del giorno da nazioni come l’Italia, che hanno aderito al Protocollo di Kioto e alla Corte Penale Internazionale per la repressione dei crimini di guerra e contro l’umanità.
In un testo del 1983 dal titolo “Guerre non convenzionali” – una volta riservatissimo poichè redatto per la Scuola di Guerra dell’Armata Rossa – si legge un capitolo: “Scatenamento di terremoti e maremoti”. La sua lettura è agghiacciante, viene spiegata la possibilità di scatenare un grosso sisma nella faglia di San Andreas, per mezzo di esplosioni convenientemente effettuate nel Mar della Cina e nel Mar delle Filippine. Quel testo, preconizzava agli studenti un attacco indiretto agli Usa e la distruzione, con tale sistema, delle importanti città di Los Angeles e San Francisco. Nello stesso libro si parla della possibilità di provocare artificialmente onde tsunami mediante una serie di esplosioni nucleari sottomarine convenientemente pianificate, per causare lo scivolamento di enormi masse di sedimenti e rocce. Purtroppo, in Russia gli esperimenti di geofisica non terminarono con la fine della Guerra Fredda e continuarono anche nella Repubblica post-sovietica.
Secondo quanto dichiarato dallo scienziato Giancarlo Bove, “abbandonati i test nucleari sotterranei, diventati ormai pericolosi per l’impatto ambientale e l’inquinamento provocato dalle esplosioni, i responsabili scientifici e militari si orientarono verso la TeleGeoDinamica e i sistemi d’arma a energia diretta EM (electronic pulse weapon) per concludersi definitivamente nel 1996”.
Durante il bipolarismo Est-Ovest entrambi i contendenti dedicarono consistenti risorse allo sviluppo di tecniche di modificazione dell’ambiente nalturale o addirittura operazioni militari con l’uso diretto di forze della natura, ma è doveroso chiedersi a che punto siano giunti oggi quegli studi e quali Stati siano attualmente in possesso di tecnologie per guerre ambientali. Esistono dunque possibilità reali di condurre guerre meteorologiche e geofisiche.
Le possibilità di azione sono certe; non si sa quale sia oggi l’intensità e l’ampiezza di tale operatività, ma basti considerare che negli anni settanta i progressi realizzati erano già giunti allo “stadio tattico”. Certamente il maremoto del 26 dicembre (ndr del 2004) non è addebitabile ad azioni umane, ma lo scenario dello Tsunami deve farci comprendere che ogni azione strategica sul clima ed ogni scatenamento di catastrofi geofisiche, possono destare molte preoccupazioni sulle possibili conseguenze in un campo così sensibile per l’umanità. Ecco perché si impone la necessità di un trattato, in seno all’ONU,che vieti non solo le operazioni militari che abbiano un impatto “durevole esteso e grave” sull’ambiente naturale o che si prefiggano di modificarlo per scopi ostili, ma è necessario un divieto assoluto, che interdica tutte le azioni di intervento artificiale sull’ambiente, che non siano confacenti con il benessere e la salute dell’uomo. I tempi sono ormai maturi per una norma internazionale che regoli le applicazioni pacifiche in questo settore e garantisca che le sue potenzialità vengano rese note e sviluppate esclusivamente per il massimo beneficio dell’umanità. Interventi artificiali sull’equilibrio delle forze che regolano la fisica terrestre, dirottando la furia dei cicloni tropicali per salvaguardare il proprio territorio o modificazioni del tempo atmosferico, incrementando le precipitazioni su territori deliberatamente scelti, potrebbero portare benefici enormi all’umanità, ma esistono problemi di diritto internazionale che potrebbero nascere a causa delle potenzialità conflittuali nelle operazioni di impiego di queste tecniche e problemi sull’uso di esse come arma bellica, con conseguenze distruttive imprevedibili e non più tollerabili.
Fonte: http://www.analisidifesa.it
LETTO QUI
LA MODIFICAZIONE DELL’AMBIENTE E DEL CLIMA A FINI MILITARI
Guerra fredda, clima rovente
Non è la prima volta che in tema di mutamenti climatici si evocano gli scenari più agghiaccianti.
All’inizio degli anni settanta, la stampa scientifica internazionale dedicò grandi spazi al progetto poco conosciuto di “immissione” e “interdizione” di talune azioni in ambiente meteorologico e geofisico a scopo militare.
Il giornale americano “Christian Science Monitor” scrisse, nel 1973, che “il Pentagono assegna annualmente più di due milioni di dollari per la realizzazione di una nuova arma che permetterebbe di creare artificialmente inondazioni, siccità, maremoti, uragani e modifiche dello strato dell’ozono atmosferico”. Il Senato americano, l’11 luglio 1973, aveva infatti autorizzato il Governo a procedere nella realizzazione di tale progetto, anche con riferimento all’interdizione dagli effetti passivi degli eventi ambientali ed atmosferici.
La prevenzione di azioni destinate a modificare l’ambiente a scopi militari, fu oggetto di un approfondito esame nel vertice di Mosca tra Nixon e Breznev, nel luglio 1974, che diede luogo alla “Dichiarazione relativa all’ambiente naturale e al suo utilizzo per scopi militari”.
Poco dopo, gli organi centrali della stampa sovietica denunciavano i danni eventuali della guerra meteorologica e geofisica, così come l’orrore derivante dall’utilizzazione di defolianti e altri mezzi idonei ad incendiare le foreste e dava la primizia di una proposta sovietica tendente a mettere all’Ordine del giorno dell’Assemblea Generale dell’Onu un’interdizione conglobante tutte le azioni (militari o altre) sull’ambiente naturale, che non siano compatibili con gli interessi della scienza rivolta unicamente al benessere dell’uomo.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite giudicò indispensabile raccomandare al Comitato di Ginevra per il disarmo, di lavorare per un testo concertato, atto a interdire tutte le azioni condotte sull’ambiente naturale e sul clima, per scopi militari o altro.
Nel giugno del 1975 furono tenuti a Ginevra i negoziati preliminari relativi all’eventuale interdizione della guerra meteorologica. I negoziati avvennero “a porte chiuse” e nessuna notizia trapelò oltre al fatto che le delegazioni erano guidate da T.A. Davies, direttore aggiunto dell’Agenzia americana per il disarmo ed il controllo degli armamenti (ACDA) e dall’ accademico sovietico E.K. Fedorov, noto meteorologo.
Il mese precedente l’Unione Sovietica aveva, peraltro, ottenuto che l’Assemblea Mondiale della Sanità, riunita a Ginevra, stigmatizzasse l’eventuale ricorso ad armi meteorologiche.
Nell’ agosto 1975, in seno ad una Conferenza ufficialmente consacrata ai problemi ambientali, si parlò così per la prima volta di “guerra meteorologica”. All’uscita, il rappresentante americano, l’ambasciatore Joseph Marin, e quello sovietico, l’ambasciatore Alexei Rochtchine, si rifiutarono di fare qualsiasi dichiarazione in merito, limitandosi ad affermare sorridendo che “tutto era andato per il meglio”.
Il Congresso meteorologico aveva intanto deciso di impiantare un registro internazionale di tutte le attività collegate alla modificazione artificiale del clima, di cui venne data ampia descrizione, ufficialmente per la prima volta, in occasione della conferenza dell’Associazione internazionale per la meteorologia e fisica dell’atmosfera, tenutasi nel 1973 a Tashkent, allora in Unione Sovietica.
Il divieto di utilizzare tecniche di modificazione dell’ambiente a fini militari o per ogni altro fine ostile fu quindi oggetto, nel 1976, di un’ apposita dichiarazione, adottata con la Ris. 32/76 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La Conferenza del Comitato sul disarmo, tenutasi a Ginevra il 18 maggio 1977, diede origine alla Convenzione sulla proibizione dell’uso militare o di qualsiasi altro uso ostile delle tecniche di modificazione dell’ambiente, Convenzione nota anche con il sinonimo “ENMOD” (Environment Modification), ratificata dagli Stati Uniti nel 1980.
L’art. 1 della Convenzione recita: “Ciascun Paese dell’ONU si impegna a non impiegare, per uso militare o qualsiasi altro uso ostile, quelle tecniche di modifica dell’ambiente naturale che abbiano ampi, duraturi e rovinosi effetti quali mezzi di distruzione e che danneggino ogni altro Stato membro. Ciascun Paese membro si impegna a non assistere, incoraggiare o indurre alcun altro Paese ad intraprendere attività in contrasto con quanto previsto da questo articolo”.
Il ruolo di iniziatore delle azioni dell’uomo nel campo della formazione, prevenzione e dispersione delle nebbie, delle precipitazioni provocate (pioggia e neve) e in certa misura dei lampi, spetta al Naval Weapon Centre (NWC) della Marina statunitense, per lungo tempo leader mondiale in questo campo e oggi affiancato dall’Air Force Combat Climatology Center di Ashville (North Carolina).
Un certo numero di operazioni relative a piogge provocate, sono state effettuate con successo, all’estero dal NWC, su richiesta degli Stati interessati. Fra queste, quelle avvenute in India nel 1967 (ndr vedi GROMET), nelle Filippine nel 1969 (operazioni ripetute da allora ogni anno dagli stessi filippini), a Okinawa nel 1971 e nelle Azzorre nel 1972.
Fra le ricerche intraprese da organizzazioni militari e civili, vanno annoverate:
– la realizzazione, il dissolvimento e la prevenzione delle nebbie;
– le precipitazioni provocate;
– le tempeste di fulmini;
– l’intervento sullo strato di ozono atmosferico;
– la manipolazione delle onde elettriche celebrali mediante elettricità atmosferica;
– la realizzazione di terremoti e maremoti;
– l’intervento su ghiacciai.
I modi e i materiali messi a punto sono oggi, per alcuni di essi, completamente declassificati e impiegati nel mondo intero a fini di utilizzazione pacifica.
E’ chiaro che le tecniche di modificazione artificiale del clima e del sistema meteorologico potrebbero portare benefici enormi all’umanità, ma è altrettanto chiaro che esistono problemi di diritto internazionale che potrebbero nascere a causa delle potenziali conflittualità nelle operazioni di impiego di queste tecniche e degli eccezionali rischi sull’uso incontrollato di esse come arma bellica, con conseguenze distruttive imprevedibili.
Mezzi di autodistruzione di massa
Esistono dunque possibilità reali di condurre operazioni di guerra meteorologica. Fino alla metà degli anni 70 le possibilità di azione, in alcuni casi noti, erano sicure ma limitate. Gli esperimenti che allora vennero dimostrati non superavano il livello tattico; ma il divieto relativo all’impiego dell’arma in questione era (ed è) tuttavia unanimemente richiesto dall’opinione pubblica in ragione di una visione apocalittica che vede l’uomo manipolare a suo piacimento le condizioni atmosferiche.
E’ bene soffermarsi sul concetto che le manipolazioni dell’ambiente naturale non riguardano solo il clima e la meteorologia ma bisogna annoverare anche le attività di tipo nucleare sistematiche. Si pensi, per esempio alla Francia, che dal 1975 al 1988 ha condotto più di mille test nucleari nell’Oceano Pacifico, presso l’atollo corallino di Mururoa, con la conseguente contaminazione radioattiva dell’isola e delle acque circostanti, rendendo inabitabile un paradiso dell’ecosistema, in aperta violazione del Trattato di Rarotonga, che dal 1985 ha dichiarato il Pacifico meridionale zona esente da armi nucleari.
Climi di guerra (parte II)
di Carlo Stracquadaneo – tratto da www.AnalisiDifesa.it
Nel 1991, grazie alla “Glasnost”, fu svelato un programma di ricerca militare avviato dall’Unione Sovietica tra gli anni sessanta e settanta, destinato a provocare terremoti artificiali, causati mediante esplosioni nucleari sotterranee, da sfruttare come arma di attacco preventivo, da utilizzare prima di un attacco convenzionale. Si trattava del programma “Kontinent”, i cui esperimenti sono forse stati la causa di numerosi terremoti negli Urali, in quel decennio, di cui si ricorda quello del nono grado della scala Richter, che rase al suolo la città di Gasli.
Senza dubbio un’attività di manipolazione dell’ambiente naturale a fini militari, è stata realizzata nella primavera del 1991 durante la Guerra del Golfo, quando per effetto dell’incendio dei pozzi petroliferi del Kwait, ordinato da Saddam Hussein durante la ritirata del suo esercito, il cielo fu oscurato per parecchie settimane, rendendo l’aria irrespirabile e limitando di fatto le operazioni aeree e terrestri, rivolte contro l’esercito iracheno; anche il mare, coperto da una densa patina di greggio, fu inquinato in parecchie miglia di costa, con conseguente disastro all’ecosistema. La circostanza fu oggetto di particolare preoccupazione per il Comando interalleato che vide la spessa coltre di fumo come un’efficace cortina antiluce atta a consentire una prolungata sopravvivenza sul terreno a virus ed agenti patogeni, protetti in tal modo dall’azione dei raggi solari.
La circostanza non è confermata, ma sembra tuttavia che anche tale timore, abbia concorso nella determinazione di arrestare la penetrazione alleata verso Baghdad.
La diversa interpretazione delle tutele tra Protocolli Aggiuntivi e Convenzione Enmod
Nella seconda metà degli anni settanta, la formazione di nuovi Stati nazionali, la guerra di Corea, l’Indocina, l’Algeria, i conflitti Arabo-Israeliani, la guerra del Vietnam come pure le guerre civili in Africa, Asia e Sud America, evidenziarono la necessità di aggiornare le Convenzioni di Ginevra del 1949 alla nuova realtà geopolitica e sociale.
Nel 1977, l’adozione dei due Protocolli Aggiuntivi alle Convenzioni del 1949 consentì di ridefinire le tipologie di conflitto armato, includendo fra quelli a carattere internazionale le guerre di liberazione contro le dominazioni coloniali, l’occupazione straniera e i regimi razzisti.
Nel I Protocollo Aggiuntivo (I-PA77), facendo riferimento a metodi e mezzi di guerra, l’art. 35 ribadisce il principio fondamentale già contenuto sia nella Dichiarazione di San Pietroburgo del 1868, che nelle convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907: “In ogni conflitto armato, il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non è illimitato”. E’ vietato l’impiego di armi proiettili e sostanze, nonché metodi di guerra capaci di causare mali superflui o sofferenze inutili. E’ vietato l’impiego di metodi o mezzi di guerra concepiti con lo scopo di provocare, o dai quali ci si può attendere che provochino, danni estesi e durevoli all’ambiente naturale”.
L’art. 48 enuncia la regola fondamentale in tema di protezione della popolazione civile imponendo alle parti di fare, “in ogni momento”, distinzione fra la popolazione civile e i combattenti, nonché fra beni di carattere civile e gli obiettivi militari.
L’art. 51, vieta inoltre gli attacchi diretti nei confronti della popolazione civile anche a titolo di rappresaglia nonché gli “attacchi indiscriminati” .
Il successivo art. 52 offre la definizione di “obiettivo militare” vietando contestualmente l’attacco o la rappresaglia su beni di carattere civile All’art. 55 sono inoltre introdotte disposizioni destinate a salvaguardare l’ambiente naturale da danni estesi, durevoli e gravi come quelli causati dall’uso di napalm e defoglianti, già vietate rispettivamente dal III Protocollo del 1981 sulle armi che producono sofferenze inutili e della Convenzione del 1977 (Convenzione “Enmod”) relativa al divieto di utilizzare tecniche di modifica dell’ambiente naturale per scopi militari o per qualsiasi scopo ostile. Infine, l’art. 56, indica le norma di protezione per le opere e installazioni che racchiudono forze pericolose, a causa dei danni che possono derivare all’incolumità della popolazione civile.
Il II Protocollo (II-PA77), memore delle guerre civili combattute in Africa, Asia ed America del Sud (in Argentina i desaparecidos furono circa 30.000 in soli quattro anni), detta in 28 articoli la disciplina dei conflitti armati non internazionali, le cui vittime erano state, fino a tale momento, abbandonate alla tutela minimale offerta dall’art. 3 comune alle quattro Convenzioni del 1949.
Il contenuto dei Protocolli segna fine alla tradizionale bipartizione fra diritto dell’Aja, relativo a mezzi e metodi di combattimento e diritto di Ginevra, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati, dando origine al moderno Diritto Internazionale Umanitario.
Come accennato, in risposta a quanto avvenne in Vietnam, a seguito dell’impiego massiccio di Agente Orange (vedasi l’articolo “Veleni di guerra” di C. Stracquadaneo, su Analisi Difesa, n. 42, Febbraio 2004) vennero quindi adottati nel 1977 i due Protocolli Aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra, i cui artt. 35, comma 3 e 55, introdussero il divieto di adottare mezzi e metodi di guerra concepiti per provocare danni estesi, durevoli e gravi all’ambiente naturale.
La Conferenza del Comitato sul disarmo, tenutasi a Ginevra il 18 maggio 1977, diede a sua volta origine alla Convenzione sulla proibizione dell’uso militare o di qualsiasi altro uso ostile delle tecniche di modificazione dell’ambiente, (ormai nota con l’acronimo “Enmod”).
Tuttavia, nonostante i principi tutelati dal Primo Protocollo Aggiuntivo e dalla Convenzione “Enmod” siano identici, sorprendentemente i termini di riferimento non hanno ottenuto la medesima interpretazione.
Il Primo Protocollo è orientato alla protezione dell’ambiente in quanto tale, indipendentemente dal fatto che il suo danneggiamento si ripercuota direttamente sulla popolazione civile; perciò al termine “danno durevole” viene associato un effetto che si protragga per un periodo di vari decenni, mentre negli “understandings” della Convenzione “Enmod” l’implicazione temporale è ben più restrittiva: per “durevole” si intende un danno ambientale protratto per un periodo di mesi, pari a circa una stagione. Sempre per la Convenzione “Enmond” il termine “esteso” viene riferito ad un’area di parecchie centinaia di chilometri quadrati e per “grave” si intende una seria e significativa distruzione e pregiudizio per la vita umana, alle risorse economiche e naturali. Inoltre, l’obbligo di proteggere l’ambiente naturale in tempo di conflitto armato è stato ribadito dal XXIV Principio della Dichiarazione di Rio del 1992 sull’ambiente e lo sviluppo e dalla Corte Internazionale di giustizia (ICJ) nel 1996, che nel parere sulla liceità della minaccia o dell’uso di armi nucleari, ha dichiarato l’esistenza di un obbligo internazionale di proteggere l’ambiente naturale contro danni estesi, durevoli e gravi (ICJ, Reports, par. 31).
Allora che dire della cancellazione di migliaia di ettari di foreste indocinesi durante la guerra del Vietnam? Purtroppo a quell’epoca – la guerra terminò nel 1975 – queste norme non erano in vigore, né era noto l’altissimo livello di pericolosità della diossina, che solo nel 1994 è stata riconosciuta come una grave minaccia alla salute pubblica. Pertanto, le devastanti operazioni di deforestazione (Area denial missions) condotte in quel teatro operativo mediante defolianti, non possono essere retroattivamente considerate alla stregua di crimini di guerra.
Ancora oggi gli erbicidi e i defolianti non sono considerati armi chimiche e il loro uso è proibito solo se provoca effetti estesi, durevoli e gravi all’ambiente naturale. La proibizione pertanto riguarda l’uso che ne viene fatto, come del resto è riconosciuto nel preambolo della Convenzione sul disarmo chimico (Parigi 1993) che condanna gli erbicidi come “metodo” di guerra. Un altro schiaffo alle convenzioni internazionali, è la rivelazione che gli studi e le ricerche scientifiche del programma “Kontinent” proseguirono in Russia ancora per quasi venti anni dopo la Convenzione Enmod, sollecitata dalla stessa Unione Sovietica. Secondo quanto dichiarato dallo scienziato Giancarlo Bove,: “abbandonati i test nucleari sotterranei, diventati ormai pericolosi per l’impatto ambientale e l’inquinamento provocato dalle esplosioni, i responsabili scientifici e militari si orientarono verso la TeleGeoDinamica e i sistemi d’arma a energia diretta EM (electronic pulse weapon) per concludersi definitivamente nel 1996” (!).
Cos’è la salvaguardia della popolazione civile senza la tutela ambientale?
Il Primo Protocollo Aggiuntivo del 1977 non attribuì alla guerra ambientale la categoria di “grave violazione” del diritto internazionale umanitario, ma si limitò a proibire l’uso indiscriminato di mezzi bellici intesi deliberatamente a causare danni all’ambiente naturale e pregiudicare la salute e la sopravvivenza della popolazione, nonché il divieto di modificazione dell’ambiente a scopo di rappresaglia. Oggi invece lo Statuto della Corte Penale Internazionale annovera fra i crimini anche il fatto di “causare danni diffusi, duraturi e gravi all’ambiente naturale”.e ascrive altresì tra i crimini, i danni collaterali all’ambiente, se questi sono estesi, durevoli e gravi, tenendo come riferimento gli “understandings” della Convenzione “Enmod”. In questo caso, attraverso l’imputabilità di crimine internazionale anche per danni collaterali, lo Statuto ha inteso rafforzare la tutela dell’ambiente, nella considerazione di poter realizzare, per mezzo di esso, una forma di ulteriore protezione nei confronti dei civili che non prendano parte alle ostilità.
Quello che per Emmerich può rappresentare il futuro non è quindi fantascienza ma realtà. Proiettata che sia nel futuro o nel passato, allude sempre al presente, ma pochi film del genere catastrofico sono più vicini ai rischi contemporanei di The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo: i disastri meteorologici del film somigliano troppo alle nostre stagioni confuse di grandi freddi o grandi caldi, i guai climatici sono troppo simili ai nostri, il surriscaldamento globale e il buco dell’ozono certo non ci sono estranei.
Il punto inquietante della storia però è dato dalla risposta del Pentagono alla fuga di notizie sul rapporto Schwartz e Randall: “lo scenario descritto nel rapporto non è plausibile” insiste da Washington il portavoce Daniel Hetlage, “serve solo a dare al Pentagono un tema di riflessione per un futuro lontano”: una secca smentita, i due scienziati hanno solo lavorato su ipotesi; ma perché il Pentagono dovrebbe pagare un contratto da 100mila dollari per farsi raccontare della fantascienza? Come si è visto, gli Stati non hanno rinunciato ai loro esperimenti anche dopo la convenzione “Enmod”, chi può assicurare che le potenzialità tattiche di una volta non siano diventate capacità strategiche?
Forse è giunta l’ora che tutti gli Stati si impegnino a osservare davvero il Protocollo di Kyoto e forse anche riaffermare e rinnovare i termini sul rispetto della Convenzione “Enmond”, per garantire in questo settore applicazioni veramente pacifiche e confacenti con la salute dell’uomo, il benessere e l’equilibrio naturale.
Ten. Col. Carlo STRACQUADANEO
Ufficiale S.M. Aeronautica Militare
Docente Diritto Operazioni Militari
Scuola di Guerra Aerea – Firenze
FONTE E ARTICOLO INTEGRALE https://www.nogeoingegneria.com/timeline/brevettileggi-iniziative-parlamentari-e-giudiziarie/la-modificazione-dell-ambiente-e-del-clima-a-fini-militari/
VEDI ANCHE
1976 LA FORMA DI GUERRA’ CHE VERRA’?
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