Il nostro professor Franco Prodi era coordinatore di un team italiano che ha partecipato tempo fa ad un concorso degli Emirati Arabi Uniti. Franco Prodi ha dubbi sui cambiamenti climatici: “Il fenomeno è molto più complesso rispetto a come ce lo presentano”.  Ne possiamo essere certi. 

Gli emiri hanno deciso di trasformare il paese nel leader mondiale della pioggia artificiale.  Il seguente articolo è stato pubblicato per la prima volta il 27.10. 2017

 

Dalle raffiche di ioni all’inseminazione aerea. 

DI SIMONE VALESINI 

Un tempo ci affidavamo a preghiere e danze della pioggia. Oggi, invece, per propiziare l’arrivo di un bell’acquazzone si fa ricorso alla scienza. Viene chiamata inseminazione delle nuvole, ed è un insieme di tecniche che promettono di creare precipitazioni atmosferiche anche in condizioni meteorologiche sfavorevoli. Fino a qualche tempo fa i leader in questo campo erano nazioni come Israele, Cina e Stati Uniti, ma negli ultimi anni sulla scena è apparso un nuovo protagonista: gli Emirati Arabi Uniti.

Gli emiri infatti hanno deciso di trasformare il paese nel leader mondiale della pioggia artificiale. I soldi per farlo non gli mancano. Quest’anno  (ndr parla del 2016) ad esempio si è tenuto il primo ciclo del Programma di Ricerca degli Emirati Arabi Uniti per l’aumento delle precipitazioni piovose, un concorso a cui hanno aderito oltre 325 esperti internazionali, che hanno gareggiato per l’assegnazione di tre borse da cinque milioni di dollari. A dividersi il bottino sono stati un team giapponese, uno degli Emirati e uno tedesco, con progetti che puntano allo sviluppo di sensori per riconoscere le nuvole migliori da inseminare, allo studio di nuovi nanomateriali e tecniche con cui migliorare l’efficacia dell’inseminazione.

Perché si formi la pioggia, il vapore acqueo contenuto in una nuvola deve condensarsi e produrre gocce abbastanza grandi da precipitare al suolo. Nelle cosiddette nubi fredde, più diffuse alle nostre latitudini, questo avviene solitamente con il passaggio alla “fase ghiaccio”, cioè quando la temperatura scende abbastanza da permettere la formazione di cristalli di ghiaccio. «Quando si raggiunge la fase ghiaccio l’acqua forma cristalli che attirano le goccioline circostanti, e poi precipitano sciogliendosi e trasformandosi in gocce di pioggia», spiega Franco Prodi, professore di fisica dell’atmosfera dell’Università di Ferrara e coordinatore del team italiano che ha partecipato al concorso degli Emirati Arabi Uniti. Nelle nuvole, aggiunge l’esperto, l’acqua però non ghiaccia sempre a zero gradi, anzi: diversi fenomeni atmosferici possono abbassare la temperatura a cui le goccioline di acqua si trasformano in ghiaccio, portandola anche al di sotto dei -40 gradi. Ed è proprio su questi processi che gli scienziati hanno imparato a intervenire per indurre artificialmente la pioggia.

Come hanno dimostrato una serie di esperimenti svolti intorno alla metà del secolo scorso dal chimico americano Vincent Schaefer e dal climatologo Bernard Vonnegut, esiste una particolare categoria di sostanze che possiedono una struttura cristallina simile a quella del ghiaccio, e che introdotte nelle nuvole possono aumentare notevolmente la temperatura a cui le gocce d’acqua si trasformano in cristalli di ghiaccio. È con queste sostanze definite nucleanti, come lo ioduro d’argento, che oggi si inseminano le nubi fredde.

«Di norma una nuvola deve raggiungere almeno i -15 gradi perché abbia inizio la fase ghiaccio, ma con lo ioduro d’argento questo può avvenire anche a una temperatura di circa -8 gradi», chiarisce Prodi. Nelle aree più calde però la situazione è un po’ differente. «Nelle zone tropicali queste tecniche non possono essere utilizzate», continua infatti l’esperto, «perché le precipitazioni hanno origine a temperature più alte, e sono dovute a processi fisici differenti. A queste latitudini si utilizzano invece sostanze igroscopiche, come il sale, che hanno la capacità di favorire la formazione di goccioline d’acqua, e attraverso un meccanismo definito coalescenza stimolano la formazione di gocce sufficientemente grandi da precipitare al suolo».

Con entrambe le tecniche il risultato è lo stesso: le sostanze vengono liberate all’interno delle nuvole da speciali aerei, aumentando, almeno in teoria, la probabilità che si verifichino precipitazioni.
L’inseminazione delle nuvole comunque non è l’unica soluzione sviluppata dalla scienza per sfruttare l’acqua delle nubi. In Cile ad esempio si è pensato di “catturare” le nuvole utilizzando speciali reti: strutture composte da fili sottilissimi che riescono a condensare le gocce contenute nelle nubi. Quando si forma dell’acqua sulle maglie delle reti, il liquido scorre quindi fino a terra, dove viene utilizzata per innaffiare colture vegetali, o raccolta per il consumo.

Una soluzione ancor più tecnologica è quella sperimentata di recente ad Abu Dhabi, negli Emirati, dove l’azienda svizzera Metro Systems International ha messo in funzione 20 giganteschi emettitori di ioni, che dovrebbero riuscire a promuovere la formazione di nubi. Secondo i suoi costruttori, il sistema avrebbe provocato circa 50 temporali solo nell’estate del 2011, ma come per tutti gli altri metodi descritti finora, è difficile verificarne i risultati.

Risultati immagini per meteo systems

Nella comunità scientifica, poi, non tutti sono convinti che le tecniche per indurre la pioggia artificiale siano efficaci. O almeno, che i risultati siano sufficienti a giustificare il ricorso a queste tecnologie. La fisica su cui si basa l’inseminazione delle nuvole è fondata, ma molti ricercatori ritengono che per ora i risultati in termini di pioggia siano altalenanti. Verificare cosa succeda realmente è infatti complicato, e secondo importanti istituzioni internazionali come lo United States National Research Council americano, o la Federation of Meteorology australiana, i pochi dati affidabili raccolti negli ultimi 50 anni dimostrerebbero anzi un’efficacia assai limitata, che non supererebbe il 10/30 percento dei casi. «Il problema è che le uniche verifiche che sono state effettuate realmente sono di tipo statistico», sottolinea Prodi. «Consistono cioè nel confrontare le precipitazioni che avvengono dopo l’inseminazione con quelle che ci sarebbero state naturalmente. Ma data la naturale variabilità delle precipitazioni, si tratta di controlli poco affidabili».

Un’altra possibilità ancora poco approfondita è quella di effettuare verifiche fisiche: sfruttare i radar con precisione millimetrica oggi disponibili per indagare cosa avviene a livello fisico all’interno delle nuvole, come si propagano le sostanze con cui vengono inseminate e quante gocce di pioggia si formano realmente. È proprio quello che propone di realizzare il progetto presentato per il programma di ricerca degli Emirati Arabi dal team di Prodi: verificare i processi che avvengono all’interno delle nuvole una volta inseminate, per misurare direttamente l’efficacia delle tecniche.

FONTE http://espresso.repubblica.it/visioni/scienze/2016/03/24/news/che-bello-il-temporale-artificiale-1.255617

Qualche volte piove un po’ troppo. Ma la sfida è solo all’inizio dicono. Sono soltanto 70 anni che ci provano.

https://www.youtube.com/watch?v=BtUyodoHkC4

Vi spiego verità e fesserie su bombe d’acqua e clima tropicale. Parla Franco Prodi

ITALIA TROPICALE? UNA “FESSERIA”

…Prodi, intervistato dal Mattino, ha ribadito alcune tesi che va ripetendo da anni. Prima fra tutte la smentita che il clima italiano starebbe diventando tropicale. “È una fesseria” ha sentenziato. Lo scienziato concede che “qualche evento quasi tropicale si presenta, ma assai raramente, nel Mediterraneo”. Prodi non nega i cambiamenti climatici: “L’aumento delle temperature porta a più vapore in circolazione e quindi può generare un leggero aumento delle precipitazioni”, dice, ma aggiunge che dall’analisi dei dati statistici “non ho trovato evidenze di incremento delle alluvioni se non nella conta di danni e vittime”. Per lo studioso i danni si spiegano con l’espansione edilizia incontrollata: “Perfino le aziende costruiscono in terreno inondabili”.

LE “BOMBE D’ACQUA” NON ESISTONO

Prodi ricorda che la classificazione meteorologica individua quattro tipi diversi di temporali: “A cella singola, multicella, squall-line, supercella con tornado e trombe d’aria associati”. Conclusione, le bombe d’acqua non esistono. Certo è che, al netto del nome, il fenomeno esiste eccome e fa numerosi danni. La pioggia cade violenta e abbondante in pochissimo tempo, i bacini idrologici si ingrossano e arriva l’inondazione. Il problema è che è difficile prevedere il punto esatto in cui il temporale colpirà. Lo dimostra quanto è successo lo scorso weekend, con l’allerta meteo lanciato sul levante ligure, quando i maggiori danni – e le vittime – si sono registrate a Livorno. Il sindaco Filippo Nogarin lo ha detto chiaramente: “Non ci aspettavamo questa situazione perché l’allarme dato dalla Protezione civile era arancione, invece ci siamo svegliati così”.
Si sarebbe potuto fare qualcosa in più? Per Prodi forse sì. Prevedere con maggior precisione i nubifragi è possibile, a condizione di modificare le procedure e affidarsi al nowcasting, che integra i modelli numerici con i dati sulla situazione meteo in tempo reale forniti dai radar e quelli previsionali dei satelliti. Il risultato? Un indice di affidabilità molto maggiore rispetto alle generiche previsioni su cui spesso poggiano gli allerta meteo. Ovviamente, il rovescio della medaglia è il pochissimo preavviso. “Ogni venti minuti-mezz’ora si può avere una stima dell’intensità di precipitazione nel bacino del fiume o del torrente – spiega lo studioso – Il calcolatore che rivolve le equazioni ci può dire che esiste un pericolo, non prevedere esattamente dove. Ci si aspetta il temporale ad Alessandria, poi si abbatte a Novara”. E non è la prima volta che Prodi sostiene tesi analoghe. 
Era già successo con il nubifragio del 2013 in Sardegna.

LE TESI CONTROCORRENTE DI PRODI SUL CLIMATE CHANGE

Non è neppure la prima volta che Prodi tiene una posizione controcorrente. Particolarmente rilevante il suo giudizio sui mutamenti climatici, per lui non necessariamente riconducibile all’attività umana. “Il clima cambia per definizione – ha dichiarato nel 2009, intervistato dal Tempo – È come avere una lampada, che è il Sole, e una sfera, che è la Terra: la distanza che c’è tra i due elementi può cambiare e anche l’intensità della lampada può cambiare, è normale. In passato ci sono stati grandi cambiamenti climatici, grandi cicli astronomici e astrofisici. E in questo l’uomo non c’entra nulla. Da due secoli a questa parte l’uomo è in grado di competere con la natura. Può generare particelle e gas, modificando la natura. Se contiamo tutte queste le particelle prodotte dall’uomo, arriviamo al 20 per cento del totale. Non poco. Ma due secoli, rispetto ai grandi cicli di cui parlavamo prima, sono solo un battito di ciglia. Il problema è: siamo noi in grado di avere modelli che comprendono tutte le variabili in modo coerente, per cui si possa isolare il comportamento dell’uomo dagli altri agenti che contribuiscono al cambiamento climatico? La risposta è no”.
Inoltre Prodi si è ripetutamente dichiarato 
in disaccordo con chi lega il riscaldamento globale alle emissioni di Co2. “Non ne sono l’unica causa – ha detto – Incide sul riscaldamento tutto ciò che è triatomico (perché assorbe energia solare, ndr), compresi vapore acqueo e gas serra”. Beninteso, Prodi riconosce che il riscaldamento globale esiste e che la situazione del clima è “critica” ma, fa notare, “ci si fossilizza solo sulle emissioni. Quando invece servirebbe un rispetto ambientale laddove non c’è”.

LE CRITICHE ALLA POLITICA

Il recente dibattito sull’uscita degli Usa dall’accordo di Parigi, poi, non ha sconvolto più di tanto Prodi. “La conferenza di Kyoto (con il relativo accordo risalente al 1997, ndr) non fu mai condivisa totalmente – ha commentato – E poi si è andati avanti comunque”.
Nel 2011, 
intervistato da Repubblica, Prodi aveva sostenuto che “in 50 anni il clima in Italia è cambiato davvero poco”, e le “leggere variazioni sono ingigantite dalla memoria individuale”.
Critico anche nei confronti della classe dirigente. “Dalla fine degli anni Settanta, sotto l’egida dell’Onu, sono nati organismi che hanno finito per svolgere un ruolo che non è di loro competenza. Da questi si ha notizia di cosa succederà nell’ambito del clima, ma sono organismi politici, con nomine politiche, non scientifici. Invece la scienza procede su altre strade, non a maggioranza. Non siamo in condizione di prevedere il cambiamento climatico futuro. È la politica internazionale o non so quali altri interessi nascosti che accreditano una conoscenza già acquisita. Ma questo fa molto male alla scienza”.
Anche sulle energie rinnovabili Prodi non si allinea al “mainstream”. “È comprensibile che si punti su di esse per togliere spazio alle risorse fossili – 
ha dichiarato nel 2015 all’Huffington Post – ma il nostro Paese dovrebbe avere la consapevolezza che per affrontare la sfida del clima occorre far ritornare le università italiane ai livello di 30-40 anni fa, e sfornare scienziati capaci. Questo è un obiettivo senz’altro più utile di riempire i campi di pannelli fotovoltaici”.

FONTE http://formiche.net/2017/09/12/clima-tropicale-prodi/

Gli emiri infatti hanno deciso di trasformare il paese nel leader mondiale della pioggia artificiale. I soldi per farlo non gli mancano. Quest’anno  (ndr parla del 2016) ad esempio si è tenuto il primo ciclo del Programma di Ricerca degli Emirati Arabi Uniti per l’aumento delle precipitazioni piovose, un concorso a cui hanno aderito oltre 325 esperti internazionali, che hanno gareggiato per l’assegnazione di tre borse da cinque milioni di dollari. A dividersi il bottino sono stati un team giapponese, uno degli Emirati e uno tedesco, con progetti che puntano allo sviluppo di sensori per riconoscere le nuvole migliori da inseminare, allo studio di nuovi nanomateriali e tecniche con cui migliorare l’efficacia dell’inseminazione.

Perché si formi la pioggia, il vapore acqueo contenuto in una nuvola deve condensarsi e produrre gocce abbastanza grandi da precipitare al suolo. Nelle cosiddette nubi fredde, più diffuse alle nostre latitudini, questo avviene solitamente con il passaggio alla “fase ghiaccio”, cioè quando la temperatura scende abbastanza da permettere la formazione di cristalli di ghiaccio. «Quando si raggiunge la fase ghiaccio l’acqua forma cristalli che attirano le goccioline circostanti, e poi precipitano sciogliendosi e trasformandosi in gocce di pioggia», spiega Franco Prodi, professore di fisica dell’atmosfera dell’Università di Ferrara e coordinatore del team italiano che ha partecipato al concorso degli Emirati Arabi Uniti. Nelle nuvole, aggiunge l’esperto, l’acqua però non ghiaccia sempre a zero gradi, anzi: diversi fenomeni atmosferici possono abbassare la temperatura a cui le goccioline di acqua si trasformano in ghiaccio, portandola anche al di sotto dei -40 gradi. Ed è proprio su questi processi che gli scienziati hanno imparato a intervenire per indurre artificialmente la pioggia.

Come hanno dimostrato una serie di esperimenti svolti intorno alla metà del secolo scorso dal chimico americano Vincent Schaefer e dal climatologo Bernard Vonnegut, esiste una particolare categoria di sostanze che possiedono una struttura cristallina simile a quella del ghiaccio, e che introdotte nelle nuvole possono aumentare notevolmente la temperatura a cui le gocce d’acqua si trasformano in cristalli di ghiaccio. È con queste sostanze definite nucleanti, come lo ioduro d’argento, che oggi si inseminano le nubi fredde.

«Di norma una nuvola deve raggiungere almeno i -15 gradi perché abbia inizio la fase ghiaccio, ma con lo ioduro d’argento questo può avvenire anche a una temperatura di circa -8 gradi», chiarisce Prodi. Nelle aree più calde però la situazione è un po’ differente. «Nelle zone tropicali queste tecniche non possono essere utilizzate», continua infatti l’esperto, «perché le precipitazioni hanno origine a temperature più alte, e sono dovute a processi fisici differenti. A queste latitudini si utilizzano invece sostanze igroscopiche, come il sale, che hanno la capacità di favorire la formazione di goccioline d’acqua, e attraverso un meccanismo definito coalescenza stimolano la formazione di gocce sufficientemente grandi da precipitare al suolo».

Con entrambe le tecniche il risultato è lo stesso: le sostanze vengono liberate all’interno delle nuvole da speciali aerei, aumentando, almeno in teoria, la probabilità che si verifichino precipitazioni.
L’inseminazione delle nuvole comunque non è l’unica soluzione sviluppata dalla scienza per sfruttare l’acqua delle nubi. In Cile ad esempio si è pensato di “catturare” le nuvole utilizzando speciali reti: strutture composte da fili sottilissimi che riescono a condensare le gocce contenute nelle nubi. Quando si forma dell’acqua sulle maglie delle reti, il liquido scorre quindi fino a terra, dove viene utilizzata per innaffiare colture vegetali, o raccolta per il consumo.

Una soluzione ancor più tecnologica è quella sperimentata di recente ad Abu Dhabi, negli Emirati, dove l’azienda svizzera Metro Systems International ha messo in funzione 20 giganteschi emettitori di ioni, che dovrebbero riuscire a promuovere la formazione di nubi. Secondo i suoi costruttori, il sistema avrebbe provocato circa 50 temporali solo nell’estate del 2011, ma come per tutti gli altri metodi descritti finora, è difficile verificarne i risultati.

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