LE BIOARMI DEL PENTAGONO

L’esercito americano produce regolarmente virus, batteri e tossine mortali in diretta violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul divieto delle armi biologiche. Centinaia di migliaia di persone inconsapevoli sono sistematicamente esposte a patogeni pericolosi e altre malattie incurabili. Gli scienziati della guerra biologica che usano la copertura diplomatica testano i virus artificiali nei bio-laboratori del Pentagono in 25 paesi in tutto il mondo. Questi bio-laboratori statunitensi sono finanziati dalla Defense Threat Reduction Agency (DTRA) nell’ambito di un programma militare da 2,1 miliardi di dollari – Cooperative Biological Engagement Program (CBEP), e si trovano in paesi dell’ex Unione Sovietica come Georgia e Ucraina, Medio Oriente, Sud-est asiatico e Africa.

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ARMI BATTERIOLOGICHE
A cura di Martin Fleischfresser

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Ampi brani di questo articolo sono ripresi dal libro di Francesco Santoianni: “L’ultima epidemia: le armi batteriologiche. Dalla peste all’AIDS” – Edizioni Cultura della Pace 1991.

Più devastanti della bomba atomica, ma silenziose e invisibili fino al momento dell’utilizzo, le armi biologiche incombono sui conflitti armati a cavallo del millennio. Tecnicamente sono realizzabili da uno studente entrato da poco in laboratorio, e costano pochissimo: meno di duemila lire per contaminare un’area di un chilometro quadrato.
Queste pericolosissime armi fanno paura all’ intero mondo occidentale perché i sintomi accusati da una popolazione bombardata da agenti batteriologici sono infatti insidiosi e difficili da riconoscere, perché possono facilmente essere confusi con una semplice epidemia di influenza. Altro motivo di paura è la facilità di produzione, oltre a semplici laboratori di ricerca, convertibili in pochissimo tempo; anche semplici stabilimenti per la produzione di particolari mangimi possono rivelarsi pericolosi. Ad esempio una vasca di fermentazione da cinquemila litri utile per la produzione di  proteine per l’alimentazione degli animali domestici può essere convertita alla produzione di batteri per le armi chimiche. La vasca di fermentazione in questione è utilizzabile sia per fini civili che per fini bellici: può servire infatti a produrre una proteina monocellulare destinata all’ alimentazione degli animali domestici, ma può anche servire per coltivare germi letali per realizzare armi batteriologiche. La paura deriva dal fatto che questa semplice vasca è sufficiente per poter disporre di un arsenale biologico su vasta scala. Gli agenti utilizzati sono per lo più batteri, le cui spore possono essere cosparse in forma di aerosol e contaminare il territorio per chilometri. Molte nazioni però sono riuscite a costruire ordigni anche utilizzando virus, come quelli dell’encefalite equina venezuelana o di Ebola, e parassiti intracellulari obbligati, come per esempio le rickettsie che provocano la febbre Q.  

Per alcune di queste infezioni esiste un vaccino, ma nessun politico si assumerebbe la responsabilità di imporlo a un Paese intero, creando panico e isteria collettiva (nel frattempo il clima è cambiato N.d.R.). Tanto più se si considera che i farmaci protettivi non forniscono una immunità totale, spesso provocano effetti collaterali di una certa entità e, naturalmente, ognuno di essi è efficace soltanto contro uno fra le decine di germi che possono essere utilizzati in un attacco il pericolo maggiore, inoltre, non ci sono protezioni, né cure. Si tratta infatti di organismi geneticamente modificati, con la cui infettività l’uomo non si è mai misurato, e su cui, sembra, alcuni Paesi starebbero compiendo ricerche.

Molte delle informazioni sulla diffusione delle malattie provocate dalle armi batteriologiche arrivano da incidenti, o da esperimenti effettuati realmente sulla popolazione ignara. Per esempio, nel 1979 un accidentale rilascio del bacillo del carbonchio dall’impianto sovietico di Sverdlosk fornì molte indicazioni utili sulla tossicità del microbo.
Non è difficile: si prendano cinquanta chilogrammi di spore di antrace (ordinabili in un laboratorio specializzato); si porti il tutto su un aeroplano a duemila metri di quota, liberandolo sopra una città di mezzo milione di abitanti. E il gioco è fatto: nel giro di pochi giorni moriranno circa duecentomila persone nel raggio di venti chilometri dall’epicentro della contaminazione. Sulla diffusione di queste epidemie si sa ancora molto poco, e l’imprevedibilità degli effetti, ma più ancora l’impopolarità che si trascina dietro chi utilizza le armi batteriologiche, hanno impedito fino a questo momento un loro massiccio utilizzo nelle azioni di guerra, anche se, come vedremo nella sezione della storia, è esistito un loro uso. La messa al bando delle armi chimiche e biologiche, imposta dal protocollo di Ginevra già nel 1925, non sembra aver scalfito la politica bellica di molti Paesi, che apertamente, o più spesso di nascosto, continuano a studiarle e a fabbricarle. 

FONT http://web.peacelink.it/tematiche/disarmo/documenti/batteriologiche/

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La Convenzione sulle armi biologiche (Convention on Biological Weapons – BWC) vieta lo sviluppo, la produzione e la detenzione di armi batteriologiche (biologiche) e tossiniche (virus, batteri, microrganismi, spore, tossine) e impone la distruzione degli stock esistenti. Entrata in vigore nel marzo 1975, essa è il primo trattato multilaterale che vieta la produzione e l’utilizzo di un’intera categoria di armi. A oggi è stata ratificata da 182 Stati e firmata da altri 5. PAGINA ONU ITALIA 

 

Convenzione per le armi biologiche

La Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione e immagazzinamento delle armi batteriologiche (biologiche) e sulle armi tossiche e sulla loro distruzione (di solito denominata Convenzione per le armi biologiche, abbreviazione: BWC da Biological Weapons Convention in inglese) è stato il primo trattato multilaterale sul disarmo che vieta la produzione di una intera categoria di armi. È stato il risultato degli sforzi prolungati da parte della comunità internazionale per creare un nuovo strumento che andava a completare il Protocollo di Ginevra del 1925.

Il BWC è stato aperto alle firme il 10 aprile 1972 ed è entrato in vigore il 26 marzo 1975, quando 22 governi lo hanno ratificato. Attualmente impegna 163 Stati che vi partecipano a proibire lo sviluppo, la produzione e lo stoccaggio di armi biologiche e tossiche. Tuttavia, l’assenza di qualsiasi sistema di verifica formale di monitoraggio ha limitato l’efficacia della convenzione[1].

Il campo di applicazione del divieto sulle armi biologiche è definito all’articolo 1 (il criterio detto general purpose). Questo include il divieto di tutti gli agenti microbici e biologici o tossine e dei loro vettori (con eccezioni per scopi medici e di difesa ma in piccole quantità). Successivi incontri hanno ribadito che il criterio di uso generale comprende tutti i futuri sviluppi scientifici e tecnologici rilevanti per la convenzione.

Come indicato all’articolo 1 della BWC:

«Ogni Stato parte della presente Convenzione si impegna in nessun caso a sviluppare, produrre, stoccare o altrimenti acquisire o mantenere in vigore:

  • Agenti microbiologici o biologici, tossine, qualunque sia la loro origine o metodo di produzione, dei tipi e nelle quantità che non hanno alcuna giustificazione per profilassi, protezione o altri scopi pacifici;

  • Armi, equipaggiamenti o vettori destinati all’uso di tali agenti o tossine a fini ostili o in conflitti armati»

VEDI https://it.wikipedia.org/wiki/Convenzione_per_le_armi_biologiche

Coronavirus , Foad Aodi, Amsi e Umem; Appello all’ONU e OMS: Basta guerre biologiche e ricerca pericolosa non garantita

GUERRA BIOLOGICA: EFFICIENZA LETALE A BASSO COSTO

LE ZANZARE COME ARMA BIOLOGICA

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