Di Irene Pasqua

A  qualche giorno dalla conclusione della conferenza di Berlino, le domande in sospeso sul futuro della Libia rimangono molte. Nonostante la sicurezza e la gestione dei giacimenti petroliferi e del gas siano elementi di primo piano nel dibattito diplomatico, dentro al conflitto civile si cela silenziosamente un’altra crisi legata alla gestione della risorse naturali. Nella “terra degli idrocarburi”, infatti, le rivalità politiche e militari si intrecciano drammaticamente alle questioni di scarsità e sicurezza dell’acqua.

Con solo il 5% del territorio esposto ad almeno 100 millimetri di pioggia annui, la Libia è uno dei paesi più aridi del mondo. L’approvvigionamento idrico libico dipende infatti per il 95% dalle estrazioni da falde sotterranee, ricorrendo in particolar modo allo sfruttamento del Nubian Sandstone Aquifer System (NSAS), il più grande bacino fossile di acqua dolce del mondo. Formatosi tra i 20 e i 4 mila anni fa, il NSAS è situato tra i 600 e i 2000 metri di profondità sotto le sabbie del Sahara e si estende tra i confini di Libia, Egitto, Sudan e Chad. Negli anni Ottanta, sotto l’egida di Muammar Gheddafi, presero il via i lavori per la costruzione del Great Man-Made River (GMR), volto all’estrazione di acqua fossile dal deserto e alla sua distribuzione in tutto il paese. Rimasto parzialmente incompleto rispetto al progetto originale, questo complesso sistema di infrastrutture consiste oggi in centinaia di pozzi e più di 3 mila km di tubature sotterranee, ed è in grado di provvedere a più del 70% del fabbisogno idrico del paese. Il restante 30% è invece soddisfatto tramite gli impianti di desalinizzazione di acqua marina e lo sfruttamento di falde a bassa profondità.

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Libia: la crisi idrica di cui nessuno parla

Per motivi direttamente e indirettamente legati al conflitto, oggi la Libia affronta gravi problemi di sicurezza idrica. Negli ultimi anni si è riscontrato un aumento della domanda di acqua, passata dai 5,5 miliardi di metri cubi del 2011 ai 7 del 2019. Per contro, nel mosaico territoriale e politico progressivamente formatosi nella Libia post-Gheddafi, la capacità di approvvigionamento idrico, dipendente dal GMR, si è gradualmente deteriorata. Larga parte delle infrastrutture si trova infatti nei territori occupati dall’esercito del generale Khalifa Haftar e da altri gruppi di miliziani, ma arriva a servire anche i centri urbani sulle coste presieduti dal Governo di Accordo Nazionale. Nonostante gli appelli delle Nazioni Unite contro l’utilizzo dell’acqua come strumento di guerra, le fazioni in campo hanno fatto ampio uso strumentale e strategico delle risorse idriche e del sistema infrastrutturale del paese.

Un terzo dei pozzi del complesso del GMR risulta oggi fuori servizio a causa di numerosi sabotaggi. In particolare, la Tripolitania è fortemente esposta a questo tipo di offensive, come successo a maggio 2019, quando una milizia locale ha assalito la centrale idrica di Jabal al-Hasawna nel sudest del paese impedendo per 48 ore l’approvvigionamento idrico di Tripoli e di altre città nei dintorni. Inoltre, molte delle infrastrutture idriche sono state danneggiate durante scontri armati e bombardamenti. Un controverso attacco della NATO nel 2011 ha distrutto un’importante conduttura del GMR nei pressi di Brega, poiché sospettata di fungere da deposito militare per le forze fedeli a Gheddafi. Similmente, le offensive delle forze leali ad Haftar condotte dalla primavera del 2019 hanno limitato il funzionamento delle pompe del braccio orientale del GMR, riducendo i flussi di acqua in tutta la costa occidentale.

Con l’inizio della guerra civile, poi, tutti gli investimenti nel settore sono stati congelati. I sistemi fognari e di distribuzione dell’acqua, privi di riparazione e manutenzione, hanno in alcuni casi contaminato la qualità delle risorse idriche per uso domestico. La mancanza di investimenti ha compromesso anche la produzione degli impianti di desalinizzazione, l’80% dei quali risulta attualmente fuori uso. Emblematico il caso della città di Tobruch, le cui autorità sono state costrette a dichiarare lo stato di emergenza a causa della persistente assenza di approvvigionamento idrico seguita alla chiusura dell’impianto di desalinizzazione cittadino.

Questo complesso quadro di vulnerabilità idrica non fa che peggiorare la crisi umanitaria che da anni è in corso nel paese. Secondo le stime della Banca Mondiale, il 66% della popolazione residente in Libia è soggetta a stress idrico – ossia a una condizione, temporanea o prolungata, di assenza di acqua – mentre più del 10% della popolazione non ha accesso ad acqua potabile sicura e servizi igienico-sanitari. È in questo contesto che l’UNICEF ha lanciato l’allarme per l’aumento di probabilità di insorgenza di focolai di colera e di altre malattie infettive legate al limitato accesso all’acqua, soprattutto tra gli sfollati interni e i migranti reclusi nei campi di detenzione.

La crisi idrica in Libia ha anche un forte impatto sulla sicurezza alimentare del paese e, in particolare, sulle capacità produttive degli agricoltori e degli allevatori locali. Negli ultimi anni, la Libia ha accresciuto la propria dipendenza dalle importazioni di prodotti alimentari, importando dall’estero più dell’80% del cibo consumato dalla sua popolazione e, al contempo, ingenti quantità di acqua virtuale, ossia la quantità di acqua necessaria per la produzione e il commercio di un bene. Traprimi otto esportatori di prodotti alimentari in Libia vi sono Turchia, Russia ed Egitto, seguiti, al sedicesimo posto, dagli Emirati Arabi Uniti. Per questi stati, in prima linea nel conflitto, la dipendenza libica potrebbe rivelarsi un asset strategico. Anche qualora l’embargo alla fornitura di armi e la fine del sostegno militare esterno previsti dall’accordo approvato a Berlino venissero effettivamente implementati – ipotesi già improbabile –, le potenze straniere potrebbero cercare nuove forme di leverage per influenzare il conflitto. Considerata la scarsità e la difficile amministrazione delle risorse idriche libiche, l’approvvigionamento alimentare potrebbe rivelarsi, per questi attori esterni, uno strumento di prim’ordine per proseguire le operazioni di ingerenza politica ed economica all’interno del paese.

Le numerose sfaccettature della crisi idrica in Libia sono quindi lo specchio di un conflitto per procura senza regole, consumato sulla pelle degli abitanti più vulnerabili del paese. La comunità internazionale, attualmente preoccupata dal blocco della produzione e delle esportazioni libiche di petrolio, non sembra dedicare la dovuta attenzione alla fondamentale dimensione politica e socio-economica che le risorse idriche ricoprono nella cornice di instabilità nordafricana. È anche sulla disponibilità e sulla gestione delle risorse idriche che si gioca il futuro della crisi umanitaria e politica libica e l’effettiva implementazione della fragile tregua concordata tra i tavoli negoziali di Berlino.

Era il sogno di Muammar Gheddafi: fornire acqua fresca a tutti i libici e rendere la Libia autosufficiente nella produzione alimentare.

I libici la chiamavano l’ottava meraviglia del mondo. I media occidentali lo hanno definito il capriccio e il sogno irrealizzabile di un cane rabbioso. Il “cane rabbioso” nel 1991 aveva profeticamente detto circa la più grande impresa di ingegneria civile nel mondo  LEGGI QUI 

 

 LA DISTRUZIONE DEL GRANDE FIUME È UN CRIMINE DI GUERRA

 

 

 

 

 

 

 

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