Pubblicato da Massimo Lupicino

La Russia ha appena varato una legge che impone il pagamento degli idrocarburi in valuta locale, ovvero in rubli. Imposizione applicata ai soli paesi “ostili”, ovvero a quelli che hanno imposto sanzioni economiche alla Russia e forniscono supporto militare all’Ucraina. Nella sostanza, il pagamento in rubli è imposto alla sola Unione Europea e a pochi altri fortunati.

Una decisione che per chiunque fosse dotato di buon senso e di una adeguata dose di neuroni nella scatola cranica non era poi così imprevedibile: le sanzioni economiche imposte alla Russia le impediscono di fatto di vendere dollari per acquistare rubli. Ragione per cui il pagamento del gas in dollari equivale sostanzialmente a non pagarlo affatto quel gas, o a compensarlo con conchiglie colorate, biglie di vetro o figurine dei pokemon che dir si voglia.

A rendere più prevedibile la cosa, il fatto che già da tempo la Russia ha cominciato a regolare le transazioni commerciali in ambito energetico in valute alternative al dollaro, come nel caso dello Yuan cinese, utilizzato nei contratti di fornitura del gas al Dragone.

Messa di fronte al dilemma epocale, l’Unione Europea ha parlato “con una voce sola” (come piace dire ai giornaloni), quella del commissario agli affari economici Paolo Gentiloni che con tono grave sentenzia: “non ci faremo ricattare, non pagheremo il gas in rubli”. La ragione? Semplice: “il contratto non lo prevede”.

Pur nella tragicità della situazione, un sorriso dalle labbra lo strappa comunque, quel riferimento così “eurocratico” alla mancanza di una clausola contrattuale, nel momento stesso in cui il venditore del bene in oggetto viene messo dall’acquirente nell’impossibilità di utilizzare i proventi della compravendita.

E comunque Gentiloni, pur facendo uso di un burocratese che certo non arriva dritto al cuore dei lavoratori europei, avverte delle conseguenze gravi che la decisione dell’Europa avrà sulle economie continentali.

Quali conseguenze?

Il commissario europeo non entra nel merito pratico delle “conseguenze” che la scelta europea di non pagare il gas in rubli avrà sul cittadino europeo. In compenso, lo fa l’amministratore delegato di BASF (il gigante tedesco della chimica), in una intervista dai toni drammatici al Frankfurter Allgemeine che proviamo a condensare di seguito:

  • Serviranno almeno 5 anni per rendere la Germania realmente indipendente dal gas russo.

  • Nessuno si illuda di poter supplire alla mancanza del gas russo (che alimenta il 55% della domanda tedesca) abbassando il termostato a casa di un paio di gradi. Questa mancanza porterà molte cose al collasso totale: esplosione della disoccupazione, fallimenti di molte società. Il danno economico e sociale sarebbe semplicemente irreversibile.

  • Rinunciare al gas russo precipiterà l’economia tedesca nella peggiore crisi dalla seconda guerra mondiale: la nostra prosperità economica sarà distrutta, e per tante piccole e medie imprese significherà, semplicemente, la fine.

Aprire gli occhi

Il finale dell’intervista suona come un vero e proprio ammonimento, rivolto evidentemente alla nuova leadership politica tedesca (un inedito asse giallo-rosso-verde evidentemente meno attento che in passato alle istanze del ceto produttivo):

  • Anche solo una breve interruzione delle forniture russe avrebbe il merito di aprire gli occhi di tanti, da entrambe le parti. Se non altro renderebbe chiara l’entità delle conseguenze.

  • Solo per limitarsi alla BASF, un calo di fornitura di gas anche solo del 50% costringerebbe l’azienda a ridurre la produzione fino a fermarla del tutto nel più grande sito produttivo, a Ludwigshafen. Questo porterebbe immediatamente all’esubero di 40,000 dipendenti nella sola Ludwigshafen.

Il finale è un altro schiaffone, riservato in particolare a chi sostiene che le sanzioni contro la Russia abbiano carattere “umanitario”:

  • I danni sulla produzione dei fertilizzanti ancora non si vedono. Saranno visibili solo dall’anno prossimo, quando l’eventuale interruzione del flusso di gas russo e il conseguente calo della produzione dei fertilizzanti (e l’esplosione associata del loro costo sul mercato) si manifesterà finalmente sui mercati, sotto la forma di carestie che potrebbero precipitare molti paesi del Mondo nell’incubo della fame.

A noi la scelta

Le parole del CEO di BASF rendono finalmente solare un concetto che fatica a filtrare attraverso la propaganda di guerra dei media europei, e in modo particolare di quelli italiani. La guerra è orribile, ingiusta e tragica. Come tutte le guerre. Ci tocca più da vicino perché nel cortile di casa nostra, ed è giusto e sacrosanto reagire per scoraggiare iniziative simili in futuro.

La scelta del mezzo per infliggere il massimo danno al nemico, tuttavia, è soltanto nostra. E non può prescindere da una analisi costi-benefici che metta al centro di tutto l’interesse europeo. E in particolare quello della manifattura continentale che di fatto determina, da sola, la ricchezza, la potenza e il prestigio europeo sullo scacchiere mondiale.

Pagare il gas in rubli e nel frattempo mettere in pista un piano serio e pluriennale di graduale eliminazione della dipendenza energetica dalla Russia potrebbe essere un compromesso accettabile. Eliminare il sistema suicida dei crediti della CO2 darebbe sicuramente una mano alla nostra manifattura in questo momento drammatico.

Provvedimenti sicuramente più credibili rispetto alle boutade ridicole che si leggono sui giornali italiani in questi giorni, come la favola bella che gli egiziani rinunceranno ad usare il loro gas per regalarlo a noi. O che gli americani raddoppieranno la produzione di gas nonostante le limitazioni imposte dall’amministrazione Biden allo sviluppo dei giacimenti. Per poi regalarcelo, pur in mancanza di impianti di rigassificazione. E altre ridicole e patetiche amenità per minus-habens senza la minima preparazione tecnica in materia di energia.

A meno che…

A meno che questa catastrofe socio-economica imminente non sia stata già considerata dal legislatore europeo, e ritenuta comunque accettabile a fronte di un rischio considerato evidentemente più grave: l’accelerazione della de-dollarizzazione ormai avviata già da tempo in Asia, e che con il pagamento del petrolio in valute locali metterebbe di fatto fine allo status di riserva valutaria globale che è stato appannaggio esclusivo del dollaro americano dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Un colpo mortale alla leadership economica americana nel mondo.

Starebbe in questo caso all’Europa decidere se suicidarsi, sparire per sempre dalla cartina geografica dei paesi sviluppati e infine “venezuelanizzarsi” per accontentare l’alleato americano (già di per sé a riparo, dalle conseguenze immediate del conflitto russo-ucraino in materia di approvvigionamenti energetici).

O se non sia finalmente arrivato il momento di diventare grandi, superare l’esame di maturità e provare a camminare con le nostre gambe e a navigare con le nostre navi, in acque perigliose ma ancora ricche di opportunità. Per quelli realmente interessati a coglierle.

L’alternativa, inutile dirlo, si chiama naufragio.

FONTE

 

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