Il controllo dello stato emotivo e dello stress si può abbinare alla presenza di robot nanometrici presenti all’interno del corpo, e carichi di medicinali. Pensata per chi soffre di disturbi mentali, questa tecnologia ha potenzialmente un impatto economico gigantesco.
di Valerio Porcu
(Fonte New Scientist)
Nanorobot inseriti in un corpo viventi e controllati con il pensiero. Detta così sembra uno scadente film di fantascienza, eppure è proprio quello che hanno fatto i ricercatori dell’Università Bar Ilan e del Centro Interdisciplinare Herzliya, entrambi in Israele. L’obiettivo è trovare sistemi per somministrare medicinali localmente solo quando serve – in particolare per chi soffre di disturbi mentali.
I robot sono fatti di DNA e sono creati con una tecnica nota come “origami”, che consiste nel piegare i filamenti di DNA affinché possano compiere funzioni specifiche – ne avevamo parlato nel 2014. Sono sostanzialmente dei contenitori, che si aprono solo in certe condizioni.
L’idea è che possano trasportare medicinali, e che si aprano nel momento giusto e nel posto giusto; rispetto a come ci curiamo oggi la differenza è sostanziale, visto che i farmaci si diffondono in tutto il corpo ma solo una piccola percentuale è quella effettivamente necessaria – ma in compenso gli effetti collaterali si fanno sentire a livello organico. Si può prendere come esempio la differenza tra anestesia locale e totale.
La cavia
Un altro tassello del mosaico è stabilire il momento in cui somministrare il farmaco. Chi ha disturbi neurologici per esempio a volte deve affrontare crisi che si presentano in modo irregolare (depressione, schizofrenia, bipolarismo, etc.). Sarebbe utile quindi che i nanobot già presenti nel corpo possano somministrare il farmaco – psicofarmaci in questo caso – solo quando serve.
Ed è qui che entra in gioco l’esperimento sul controllo mentale. I ricercatori hanno modificato i robot di DNA affinché si aprano in risposta a un campo magnetico. Dopodiché hanno usato un EEG (Elettroencefalogramma) per monitorare il cervello di una persona, e distinguere le attività cerebrali durante i calcoli matematici. Questo è il segnale poi utilizzato per attivare il campo magnetico di controllo. In altre parole, quando la persona faceva dei calcoli i robot davano la medicina. Il sistema funziona, come ha dimostrato un esperimento sugli scarafaggi.
Ma che c’entrano i calcoli matematici con la somministrazione di psicofarmaci? Niente, a meno che il malato non sia un genio della matematica particolarmente stressato. Questo è solo un esperimento che dimostra come il metodo sia effettivamente praticabile.
Per arrivare a un uso sugli esseri umani, è necessario trovare il modo di ridurre l’EEG affinché il paziente possa averlo addosso costantemente. Il paziente di solito non sente arrivare la crisi, ma la macchina potrebbe capirlo e attivare i robot per prevenirla. Secondo Sachar Arnon, uno dei ricercatori coinvolti, non ci siamo molto lontani. A quel punto basterebbe uno smartwatch, o un altro dispositivo indossabile, per attivare i nanobot.
Un sistema simile potrebbe cambiare profondamente la vita di milioni di persone in tutto il mondo. Secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità infatti quasi 450 milioni di persone soffrono di disordini mentali, e la loro condizione influenza direttamente e indirettamente la vita di chi sta loro intorno – non è eccessivo quindi affermare che si sfiorano i 2 miliardi di persone colpite da questo tipo di problema.
Sempre secondo la WHO, infatti, una famiglia su quattro ha almeno un membro che soffre di disordini mentali. Il problema è ulteriormente amplificato se si considera l’impatto sulla produttività e sull’economia di un intero paese, immaginando che il 25% della popolazione deve investire risorse per gestire una o più persone in queste condizioni. L’Organizzazione stima che il costo vada dal 3% al 4% del PIL nei pasi sviluppati, più i miliardi di dollari – impossibili da quantificare – in produttività persa.
Non può quindi sorprendere che si investa in ricerche che sembrano fantascienza. FONTE
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