Cos’è l’ENEA (Energia Nucleare Energie Alternative)? Scrive Wikipedia: è un ente pubblico di ricerca italiano che opera nei settori dell’energia, dell’ambiente e delle nuove tecnologie a supporto delle politiche di competitività e di sviluppo sostenibile.
La storia dell’ENEA è stata molto articolata e costellata di scioglimenti, commissariamenti e riorganizzazioni successive, in gran parte collegate alla travagliata vicenda della produzione dell’energia nucleare in Italia e alle politiche energetiche complessive del Paese.
E cosa c’entra tutto questo con la DARPA, un’agenzia per la ricerca di innovazioni tecnologiche all’avanguardia per il settore militare?
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Una Darpa italiana per anticipare i salti tecnologici – Dall’A.I. al green
Dentro Enea Tech, uno dei motori italiani per l’innovazione
C’è una piccola Darpa anche in Italia. Per capire perché può essere associata all’Agenzia statunitense per i progetti di ricerca avanzata bisogna fare un lungo passo indietro. Era il 1957 quando l’Unione sovietica lanciò Sputnik, il primo satellite artificiale mandato in orbita intorno alla Terra. Gli Stati Uniti si scoprirono fragili in quella corsa scientifica che i sovietici avevano posizionato su un livello ancora più alto. L’allora presidente americano Dwight Eisenhower nominò il rettore del Mit James Killian a capo dell’Arpa con l’obiettivo di contrastare Mosca. L’Arpa divenne poi Darpa, assumendone un carattere militare, e qualche anno dopo nacque lì Arpanet, una rete di computer che ha anticipato Internet. È a quello sviluppo di tecnologie strategiche che oggi si rifà la Darpa del 2021. E a quello guarda anche la piccola Darpa italiana.
L’idea di base è quella di prevenire e anticipare i cosiddetti salti tecnologici, specialmente in tempi di crisi. Basta pensare ancora all’esempio d’oltreoceano con i pronti investimenti di Barda (l’agenzia federale “cugina” della Darpa) per lo sviluppo del vaccino Moderna.
L’esperienza italiana, che nasce da un modello in via di sviluppo anche in Germania e in Gran Bretagna, e più in generale in Europa con Eic (European Innovation Council), è da ricondurre a Enea tech, una Fondazione di partecipazione di diritto privato vigilata dal ministero dello Sviluppo economico che ha come obiettivo quello di investire in tecnologie innovative di interesse strategico nazionale e di scala globale. È uno dei motori dell’innovazione italiana che ambisce a inserirsi appieno in quella strategia che il Recovery ha messo al centro del piano da 248 miliardi. Cosa fa la piccola Darpa italiana? Investe. E lo fa attraverso il Fondo per il trasferimento tecnologico del Mise, di fatto con investimenti compresi tra 200mila e 15 milioni di euro a quelle realtà che sono in grado di accrescere il livello dell’innovazione tecnologica del Paese. Sono quattro gli ambiti di investimento: il deep tech, l’healthcare tech, l’information technology e la green, energy and circular economy. Dietro questi titoli c’è un universo variegato di realtà, piccole e grandi, che impattano sulla progettazione della vita quotidiana del futuro.
Il primo di questi ambiti, il deep tech, ha a che fare con la connessione di centri di ricerca e università, ma anche grandi imprese e piccole e medie imprese. Gli investimenti, qui, sono focalizzati sulle tecnologie emergenti che hanno a che fare i servizi di difesa e sicurezza, con la microelettronica, ma anche con la filiera aerospaziale, la robotica industriale e la meccanica avanzata. All’healthcare tech sono invece riconducibili gli investimenti sul farmaceutico e sul biomedicale, calibrati non su un metodo tradizionale ma sulle tecnologie biotech innovative, come mRNA, o che portano l’intelligenza artificiale nella sanità. È qui che si guarda a realtà che possono in mettere in campo soluzioni per la prevenzione, la diagnosi e la cura in caso di pandemie. Una linea di sviluppo imprescindibile dopo che Covid ha messo in evidenza tutte le fragilità, anche a livello tecnologico, dell’Italia. Ma l’area dell’healthcare tech guarda anche a quelle tecnologie che puntano a un’innovazione sostenibile in linea con l’agenda 2030 dell’Onu.
L’area green, energy and circular economy è quella che più si lega alla visione che l’Europa, e quindi anche l’Italia, sta provando a promuovere attraverso il Recovery. Dalla crisi climatica che impone soluzioni rapide discende la necessità di puntare su nuove tecnologic(h)e che guardano alla decarbonizzazione, ma anche alla necessità di creare una società in grado di competere a livello mondiale su più aspetti di questo macrotema, dal trasporto elettrico all’utilizzo dell’idrogeno, dall’agricoltura rigenerativa alla cattura e all’utilizzo di Co2. L’ultima area di intervento – quella dell’Information Technology – punta a investire sullo sviluppo di infrastrutture digitali, web 5.0, portabilità dei dati, big data per le filiere industriali, riconoscimento biometrico.
Ai quattro ambiti di intervento corrisponde un metodo di selezione dei progetti che supera la logica dei bandi tradizionali. Spetta ai diversi team, composti ciascuno da cinque persone predisporre le call per trovare i soggetti che si faranno veicolo degli investimenti. La prima call è stata lanciata a metà febbraio e in un un paio di mesi ha raccolto circa 900 proposte, di cui il 17% su deep tech, il 36% su green, il 24% su healthcare e il 23% su Ict, con con l’obiettivo di arrivare a duemila entro l’anno. Circa un terzo delle proposte è arrivato da startup e piccole e medie imprese innovative. Il resto da soggetti che arrivano da percorsi relativi a scienza e tecnologia, oltre che da quelle piccole e medie imprese che puntano a rinnovare la loro capacità competitiva. Da una selezione dei soggetti più in linea con lo spirito degli investimenti scaturirà la platea definitiva dei destinatari delle risorse da investire in progetti di sviluppo tecnologico ad alta innovazione.
Il tentativo europeo di clonare il progetto Darpa
L’agenzia di ricerca avanzata americana ha plasmato il mondo tecnologico moderno, e sta generando degli imitatori. La scarsa burocrazia e gli investimenti stimolano la ricerca, ma potrebbero essere usati per gli scopi sbagliati. Da: futuranetwork.eu 15/7/21
“L’uso dell’Rna messaggero per produrre vaccini per ora è solo un’idea. Ma se funzionasse, la tecnica rivoluzionerebbe la medicina, fornendo una protezione contro le malattie infettive e le armi biologiche”. Nel 2013, la Defense advanced research projects agency (Darpa) presentava così il progetto di investimento in una nuova ricerca, in cui assegnava a una piccola impresa, chiamata Moderna, 25 milioni di dollari per sviluppare l’Rna messaggero. Otto anni più tardi, l’esperimento è diventato realtà, facendone uno dei vaccini più diffusi contro il Covid-19, e inserendo questo risultato al fianco delle innovazioni in cui la Darpa può vantare un ruolo centrale.
“È l’agenzia che ha plasmato il mondo moderno e questo successo ha stimolato gli imitatori”, si legge su un articolo di TheEconomist, dedicato alla possibilità che il sistema Darpa venga replicato in altre parti del mondo. “In America esistono arpa (progetti come Darpa, non centrati però sul settore della difesa, ndr) per la sicurezza interna, l’intelligence e l’energia, oltre a quello originariamente concepito nel settore della difesa”. Joe Biden, presidente Usa, ha recentemente chiesto al Congresso di finanziare 6,5 miliardi di dollari per creare una versione sanitaria di Darpa (Arpa-H) che, giura il presidente, “porrà fine al cancro come lo conosciamo”. E l’amministrazione americana ne vorrebbe finanziare uno anche per affrontare il cambiamento climatico. La Germania ha recentemente istituito due agenzie costruite sul modello americano: una civile (l’Agenzia federale per l’innovazione, Sprin-D) e un’altra militare (la Cybersecurity innovation agency). La versione giapponese del progetto si chiama Moonshot r&d, mentre in Gran Bretagna un disegno di legge per un’agenzia di ricerca e invenzione avanzata (indicato come Uk Arpa), sta facendo il suo ingresso in Parlamento.
Ma intanto: che cos’è la Darpa?
L’agenzia americana si trova ad Arlington, in Virginia, vicino al Pentagono, ed è composta da 220 dipendenti e sei uffici tecnici: biotecnologie, difesa, informazione, microsistemi, tecnologie strategiche e tecnologie tattiche. I dipendenti di Darpa sono uomini e donne che provengono dal mondo dell’accademia, ma anche dalla produzione industriale (un legame a doppio senso, dato che Regina E. Dugan, ex direttrice di Darpa che ha recentemente scritto un approfondimento per FUTURAnetwork, è attualmente senior vice president della divisione Motorola mobility di Google, dove dirige il gruppo Advanced technology and projects (Atap), esperti in sicurezza digitale, in comunicazione. Darpa, a oggi, è guidata da Victoria Coleman, già consulente per la regolamentazione delle tecnologie di microelettronica all’Università di Berkeley, in California, ed ex Ceo di Atlas Ai P.B.C., startup della Silicon Valley specializzata nel deep learning e nei sistemi di intelligenza artificiale.
Storicamente, la Defense advanced research projects agency venne creata dopo che, nel pieno della Guerra Fredda, l’Unione Sovietica mandò in orbita il primo satellite artificiale (ottobre 1957), battendo sul tempo la concorrenza americana. Quattro mesi dopo, il dipartimento della Difesa lanciò questa nuova agenzia, volta a studiare innovazioni tecnologiche avanguardistiche da applicare nel campo militare. E di queste innovazioni ce ne sono state molte. Il Global positioning system (Gps), che utilizziamo quotidianamente, affonda le sue radici nel programma Transit, sviluppato a partire dal 1958 per ricevere e inviare informazioni relative alle coordinate geografiche tramite una rete di satelliti artificiali. Così, è accaduto anche per i veicoli a guida autonoma: nel 2004 l’Agenzia ha infatti organizzato la Darpa grand challenge, una gara nel deserto del Mojave, in California, per veicoli driverless. Nessuno è riuscito a tagliare il traguardo (e ottenere il montepremi di un milione di dollari), raggiunto invece l’anno dopo dal robot Stanley, sviluppato dall’università di Stanford, che si è aggiudicato il primo premio (salito intanto a due milioni di dollari). Nel 2007, infine, è stata organizzata la Urban challenge, svolta in un ambiente trafficato, e a vincere il montepremi di due milioni di dollari è stata la Carnegie Mellon University di Pittsburgh, in Pennsylvania.
Infine, uno dei più celebri successi di Darpa è ArpaNet, l’antenato dell’odierno internet. Lanciato nella seconda metà degli anni ’60, l’obiettivo iniziale del progetto era la creazione di una rete di comunicazioni militari sicure ed efficienti. Così, nel 1969, per la prima volta sono stati connessi quattro computer posizionati in quattro università americane: Ucla, Stanford, Ucsb e l’università dello Utah. Il network si è ampliato però così rapidamente da minare la sicurezza militare della rete: per questo, nel 1983 il dipartimento della Difesa ha separato le comunicazioni interne, creando un circuito privato chiamato Milnet (military network). Il progetto di Arpanet, giunto a conclusione nel 1990, ha dato vita a internet.
Non altrettanto spesso, però, si ricorda che Darpa ha gestito anche l’Information awareness office (quello smascherato da Edward Snowden), un’operazione di sorveglianza di massa per un diffuso immagazzinamento delle informazioni personali di ogni residente americano e non, prelevate tramite messaggi sui social, posta elettronica, operazioni bancarie, tabulati telefonici, attinti da Facebook, Apple, Microsoft, Skype, Google. Tra le altre invenzioni, come ricorda Mark O’Connell, in Essere una macchina (Adelphi edizioni), si annovera anche il Boeing X-54A, “un prototipo dei Predator e Reaper responsabili della morte di centinaia di bambini e civili pakistani”.
I progetti Darpa attuali (non coperti da segreto) includono l’imitazione del sistema nervoso degli insetti al fine di ridurre la potenza di calcolo richiesta per l’intelligenza artificiale, oppure progetti per proteggere i soldati dall’uso di tecnologie nemiche capaci di modificare il genoma umano. Uno degli ambiti di maggior investimento è quello dei droni automatizzati, in grado di muoversi in gruppo per “convergere su uno o più bersagli, in modo da sopraffare il nemico”. Con il programma Gremlins, poi, l’agenzia intende sviluppare droni in grado di partire da un aereo cargo – risparmiando così tempo ed energia rispetto al tradizionale lancio da terra – e ritornarci una volta completata la missione. Un terzo progetto, ancora in fase iniziale, riguarda l’utilizzo dei jet pack per scopi militari, aiutando i soldati a introdursi in territori ostili.
Qual è, dunque, il segreto di questa agenzia? Perché se ne vorrebbe replicare il funzionamento?
“Mentre i governi di tutto il mondo iniziano, dopo una pausa di quattro decenni, a spendere di più in ricerca e sviluppo”, si legge sempre su The Economist, “l’idea di un’agenzia per inventare il futuro (e generare nuove industrie) è allettante, e il successo di Darpa suggerisce che non si tratta solo di fantasie”. In molti Paesi, infatti, si registra sempre di più il profondo disappunto per la rete burocratica che impiglia i sistemi di finanziamento ai nuovi progetti di ricerca, ostacolo che modelli simili a Darpa potrebbero aggirare. L’obiettivo dell’agenzia americana è infatti quello di promuovere l’innovazione con progetti anche rischiosi, fallimentari, che vengano però finanziati cospicuamente e in tempi brevissimi. Come afferma Arun Majumdar, direttore e fondatore di Arpa-E, l’agenzia di ricerca energetica americana: “Se ogni progetto ha successo, non ti stai impegnando abbastanza”. Insomma, mentre la maggior parte del mondo si concentra sulla ricerca di base selezionando accuratamente i progressi, Darpa è un sistema che assicura, in linea teorica, una profonda libertà e una burocrazia ridotta all’osso (il finanziamento di un milione di dollari per il primo abbozzo di Arpanet venne dato in 15 minuti).
Imitare Darpa, non tanto nelle sue implicazioni militari, ma nella libertà di stimolare nuove ricerche senza troppi vincoli burocratici, richiede dunque molto di più che copiare un nome. La prima sfida per le nuove Arpa è assicurarsi lo spazio necessario per la sperimentazione. La versione tedesca dell’agenzia americana, Sprin-D, ha ad esempio recentemente perso l’esenzione dalle regole standard sugli appalti pubblici e le tabelle salariali, limitando le assunzioni e i rischi da poter correre. Dominic Cummings, ex consulente senior del primo ministro britannico Boris Johnson e uno dei principali artefici della Brexit, aveva richiesto un’agenzia britannica come condizione basilare per il suo impiego, affermando poi “di essere preoccupato per la supervisione ministeriale” nella legislazione che si sta venendo a creare in proposito.
Senza la libertà dall’interferenza politica, infatti, il rischio che possono prendersi coloro che sono impiegati in questo settore di ricerca avanzata potrebbe essere frenato. Anche in America qualcosa, in questo senso, sta cambiando: il progetto Arpa per la sicurezza interna, fondato nel 2002, è stato oggetto di numerose lotte politiche. “Non è mai stato permesso di prendere decisioni indipendenti, o avere un budget autonomo”, ha affermato un testimone a The Economist. C’è un dibattito in corso, inoltre, sul fatto che il progetto di un’Arpa sanitario dell’amministrazione Biden (Arpa-H) debba essere indipendente, o invece far parte del National institutes of health (Nih), un’agenzia di ricerca del dipartimento della Salute e dei servizi umani degli Stati Uniti.
Il finanziamento dei progetti, inoltre, è in una fase di regresso. “Dal momento che il modello funziona facendo molte scommesse nella speranza che ne usciranno alcune, un finanziamento minore significa meno tentativi, il che riduce le possibilità di successo e quindi di un sostegno politico continuo”, si legge su The Economist. Ciò è particolarmente vero data la difficoltà di misurare i progressi. Come osserva Pierre Azoulay in una ricerca del Massachusetts institute of technology (Mit): “È impossibile misurare con precisione l’efficacia di un’idea su mille, tanto meno di una su un milione, in un lasso di tempo rilevante per il processo decisionale politico”. Come ricorda Garrett Reim, giornalista di Flight Global esperto di aviazione militare, a EconomyUp: “Molte delle idee di Darpa sembrano arrivare da un film di fantascienza, hanno un carattere futuristico. La loro strategia si basa sul correre grossi rischi per arrivare a grossi risultati”.
Le nuove agenzie devono anche capire come far uscire le loro invenzioni dal laboratorio. Esiste infatti uno stretto rapporto tra Darpa e il dipartimento della Difesa americano, cliente abituale dell’agenzia. Altrettanto però non si può dire per altri settori: Anna Goldstein, che ha collaborato alla ricerca di Pierre Azoulay, rileva che, sebbene le nuove aziende cleantech (occupate nel campo dell’efficienza energetica) sponsorizzate da Arpa-E producano più brevetti di altre, non hanno maggiori probabilità di essere acquisite da aziende più grandi o di entrare in quotazione sui mercati pubblici. Quando Arpa-E ha avuto inizio nel 2009 la speranza era che i venture capitalist (investitori che forniscono capitale a una società dall’elevato potenziale di crescita) raccogliessero la sfida. “Si sono dimostrati riluttanti”.
Le tecnologie energetiche impiegano infatti molto più tempo per raggiungere il mercato rispetto, ad esempio, ai software. Arpa-E ha quindi modificato il modello Darpa, aggiungendo un team tech-to-market, per condurre i progetti fuori dalle porte del laboratorio. William Bonvillian, esperto di politiche scientifiche al Mit, sospetta che uno degli ingredienti mancanti sia semplicemente il tempo: “Abbiamo creato internet nel ’69. Non è cresciuto fino al ’91 o ’92. Quindi dobbiamo solo abituarci ad aspettare un po’ di tempo”.
Il modello operativo di Darpa, in Italia, è stato invece di ispirazione per la creazione di EneaTech, la nuova fondazione presieduta da Anna Tampieri che investirà 500 milioni di euro in startup o piccole-medie imprese italiane impegnate nello sviluppo di tecnologie strategiche (green, energy ed economia circolare; healthcare technology, deep tech e information technology).
Lo svincolo dai processi burocratici e dalle maglie della politica può dunque essere positivo – perché velocizza i processi e permette alla ricerca di fare quello che deve (ovvero osare e sbagliare, poi riprovare e sbagliare di nuovo e solo infine riuscire) – ma deve svolgersi nell’ambito di regole chiare, sia per quanto riguarda le implicazioni etiche, sia per le interazioni con i soggetti privati, che non devono modificare l’indirizzo di una ricerca proiettata verso gli interessi della collettività.
di Flavio Natale
FONTE https://asvis.it/notizie/2-10194/focus-il-tentativo-europeo-di-clonare-il-progetto-darpa
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