B-25 del 447 ° Squadrone del 321 ° gruppo bombardieri passarono molto vicino al vulcano in eruzione mentre si recavano sugli obbiettivi da bombardare.

 

 L’allarme viene ripetutamente dagli Usa: l’eruzione del Vesuvio sarebbe imminente. L’ultima eruzione del Vesuvio,  pochi lo sanno, è avvenuta nel marzo 1944. Da allora il vulcano è entrato in uno stato di quiescenza, ma gli scienziati sono convinti , prima o poi, è destinato a risvegliarsi.  Uno studio recente di Mastrolorenzo e collega Lucia Pappalardo ipotizza, sulla base di una serie di indagini sismologiche, l’esistenza di una vasta camera magmatica a circa 8-10 chilometri di profondità sotto il Vesuvio; segno, secondo gli studiosi, che il risveglio del vulcano potrebbe essere particolarmente violento.

 

I bombardamenti alleati sul Vesuvio 

Il motivo per cui l’aviazione nemica e quella alleata si siano accanite contro il Vesuvio nel pieno della seconda guerra mondiale non è ancora del tutto chiaro; sta di fatto che l’incessante sequenza di bombardamenti aerei che segnarono l’edificio vulcanico in quegli anni consentirono le prime, importanti deduzioni scientifiche sulle sue connotazioni interne e sotterranee. 

Tra tutti i vulcani, il Vesuvio è considerato tra i più bizzarri e, perciò, molto pericoloso: dopo lunghe quiescenze, si riattiva con eruzioni tanto violente da cancellare gli abitati aggregatisi nel frattempo alle sue falde. Per tentare di scandagliarne gli umori, e magari preconizzarne le ire, nel 1841, sul Colle del Salvatore dominante le sue falde meridionali, fu costruito un osservatorio, l’unico del genere al mondo. Mancavano le conoscenze e gli strumenti: le une si acquisirono con lo studio assiduo dei comportamenti del vulcano, gli altri, come i sensibilissimi sismografi, necessari per percepirne il minimo tremito, furono costruiti quasi manualmente. Nel 1863, proprio in quel sito, fu istallato il primo sismografo elettromagnetico della storia e, non a caso, tra i suoi più noti direttori ci fu, dal 1911, padre Giuseppe Mercalli, autore della nota scala. 

Da allora, il Vesuvio ha vissuto vari cicli d’attività, con non rare fasi di estrema violenza. Di certo, una delle più intense si manifestò nell’autunno del 1943, per ironia del destino in coincidenza con il precipitare delle sorti del conflitto mondiale, con Napoli occupata e le forze alleate inchiodate a Cassino. 

Il parossismo eruttivo iniziò il 20 marzo dell’anno dopo, quando ferveva l’attività di rifornimento alle truppe alleate, e così scriveva in un rapporto del 24 marzo il comandante in capo delle operazioni marittime: «Le banchine del porto di Napoli stanno scaricando al ritmo di 12 milioni di tonnellate all’anno, mentre si ritiene che il Vesuvio stia lavorando al ritmo di 30 milioni di tonnellate al giorno. Non possiamo non ammirare quest’impresa degli dei». Il porto procedeva a regime, ma la città era un immenso cumulo di macerie, esito degli incessanti bombardamenti che per anni vi si erano accaniti. Ad aprire la sequenza era stata l’aviazione britannica, seguita da quella statunitense e, infine, da quella tedesca: diverse le motivazioni, identico il risultato, su un bersaglio facile per la sua connotazione costiera e vistosamente indicato dal vulcano, entrato in eruzione. 

Con un tempismo incredibile, infatti, pochi giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 26 giugno 1940, al quarto allarme aereo lanciato su Napoli, il Vesuvio notificò, con la sua voce tonante, la partecipazione al conflitto. A partire dal 10 novembre, in quasi tutte le incursioni della RAF vennero sganciate bombe sulla parte terminale del Vesuvio, per cui, in breve, le pendici del vulcano divennero una sorta di campo minato per i tanti ordigni inesplosi, e uno scampolo di superficie lunare per quelli andati a segno. Lo scopo, quand’anche non chiaro del tutto, tradì, però, il bersaglio che un tacito accordo fra i piloti sembrava avere concordato: il conetto del Vesuvio .

Paradossalmente, lo stesso “esperimento” era stato tentato qualche anno prima dai vulcanologi dell’Osservatorio. Nel 1922, l’allora direttore, prof. Malladra, aveva progettato di far saltare con esplosivi il conetto con la colonna magmatica prossima ad affiorare. Importanti le deduzioni scientifiche, tant’è che i fondi furono subito elargiti con le debite autorizzazioni, ma la sottostante Ferrovia Circumvesuviana, minacciando di esigere indennizzi se la conseguente eruzione avesse danneggiato i suoi impianti, bloccò l’esperimento.

Nella serata del 1o novembre del 1941, mentre un fortissimo vento si levava da sud-est a oltre 60 km/h, flagellando la terrazza dell’Osservatorio e rendendo impossibile la permanenza agli studiosi, dopo alcuni minuti dei soliti fischi e boati causati dalle bombe cadute a ridosso dell’edificio, uno scoppio anomalo parve indicare la conclusione della gara. Nelle ore successive si ebbero alquante conferme indirette dell’evento, così rievocate dall’allora direttore, prof. Giuseppe Imbò: «Lo sgretolamento completo del conetto, la contemporanea e copiosa fuoriuscita lavica secondo diverse direzioni in modo da formare nella vasta platea sud-occidentale un lago tumultuante di lava, le continue fontane laviche della bocca principale e lungo una fenditura sud-orientale perduranti per tutta la giornata successiva, fenomeni tutti non giustificati dalle osservazioni precedenti, contemporanee e consecutive, sia dirette, sia tramite apparati registratori, mi fecero ritenere che la gara era stata finalmente vinta; d’altronde, la mia ipotesi era successivamente confermata dalla notizia desunta dalla stampa inglese, nella quale si leggeva che una bomba lanciata nel cratere del Vesuvio aveva provocato “un gigantesco getto di lava e di vapore” 

Non tutti gli studiosi, però, concordavano sull’accaduto, sia per la non accertata attendibilità della fonte, sia perché mancavano le registrazioni sismiche dell’evento. 

Il prof. Imbò, pertanto, più dettagliatamente esplicitò così il suo parere: «In relazione alla prima obiezione […] potrebbe suggerire la giustificazione dell’inesatta interpretazione da parte dei piloti di fenomeni eruttivi generalmente presenti e che vennero invece erroneamente attribuiti ad effetti di bombardamento. Né la mancanza di registrazioni di cadute e scoppi di bombe […] sarebbe sufficiente per una conclusione negativa, poiché fino a tutto il 1941, e anche a volte in seguito, dagli apparecchi dell’Osservatorio non vennero mai registrate cadute di bombe neanche su zone più vicine all’Osservatorio […]. Una valutazione delle effettuate considerazioni lascerebbe, pertanto, propendere per l’ammissione che il parossismo vesuviano dell’1-2 novembre sia stato provocato da bombardamento aereo; e una tale azione potrebbe intendersi anche in senso indiretto in quanto, come effetto del bombardamento, si sarebbe eventualmente potuta avere anche la sola ostruzione del condotto, in conseguenza della quale sarebbe stata poi provocata la fratturazione anche pluridirezionale del conetto». 

Sensato, perciò, concludere che, in un caso almeno, un bombardamento aereo attivò un’eruzione!

C’era una seconda ragione per la quale i bombardamenti suscitavano grande interesse, unico apporto positivo non strettamente bellico: esaminandone le registrazioni sismografiche e confrontandone gli orari con quelli delle più violente esplosioni che si susseguivano, sarebbe stato possibile dedurre la velocità di propagazione dei relativi moti tellurici innescati, ricavandone una sorta di radiografia profonda del vulcano. 

Le stazioni di rilevazione impiegate erano collocate nell’Istituto di Fisica Terrestre dell’Università di Napoli, nell’Osservatorio Vesuviano e nell’Osservatorio del Seminario Arcivescovile di Napoli, e costantemente controllate quali che fossero le circostanti traversie. Quanto ai sismografi, possedevano ormai tale sensibilità da registrare, oltre alle oscillazioni impresse al suolo dalle esplosioni delle bombe, anche quelle dal rinculo della contraerea. Per l’elaborazione del calcolo fu presa in esame l’incursione americana del 4 dicembre del ’42, protrattasi per circa un minuto, durante la quale, a intervalli di pochi secondi, vennero colpiti alcuni edifici prossimi a Porta Nolana, l’incrociatore Muzio Attendolo all’Immacolatella Vecchia, il nuovo palazzo delle Poste e altri edifici minori. In questo caso, l’assenza della reazione contraerea rappresentò un’ulteriore opportunità che agevolò la valutazione analitica del fenomeno, mancando elementi perturbatori. Un secondo evento esplosivo, di assoluta rilevanza e di precisa origine, fu lo scoppio della nave Caterina Costa, carica di munizioni e ancora in banchina a Napoli, il 28 marzo del 1943. Ultima, infine, l’incursione aerea tedesca del 14 maggio del 1944, abbattutasi tra le 3.39 e le 4.05, che ebbe due distinte registrazioni nitide e cospicue, rispettivamente alle 3.45 e alle 4.00. Dai dati ricavati fu dedotta una prima, fondata ipotesi sulle connotazioni interne e sotterranee del vulcano. 

Flavio Russo 

FONTE http://www.vesuvioweb.com/it/wp-content/uploads/Flavio-Russo-I-bombardamenti-alleati-sul-Vesuvio-vesuvioweb.pdf

Alcuni mesi prima dell’ eruzione furono discussi piani, principalmente da strateghi di poltrona, per scatenare un’ eruzione del Monte, lasciando cadere bombe lungo la bocca del Vesuvio per causare disagio alle truppe dell’Asse all’ epoca nei suoi dintorni. Poco prima che il vulcano eruttasse, le forze alleate avevano preso il sopravvento …Some months before the eruption plans were discussed, mostly by armchair strategists, for triggering an eruption of Mt. Vesuvius by dropping bombs down the vent in order to cause discomfort to the Axis troops then in its environs.1800 Shortly before the volcano erupted the Allied forces had taken over …  FONTE

Le cinque fotografie del Vesuvio qui sopra sono state acquistate in un mercato delle pulci a Tulsa, in Oklahoma dal geologo Paul Roale e apparentemente prese il 15 marzo 1944 e contrassegnata sul retro come mostrato nel pannello inferiore destro. Il fotografo era probabilmente su un aereo dell’USAF. Le immagini offrono uno scorcio del vulcano solo pochi giorni prima dell’ultima grande eruzione.

 

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1935 – The U.S. Air Force Tried Attacking a Volcano

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On December 27, 1935, the U.S. Air Force attacked a most fiery enemy ever: a Hawaiian volcano.

Technically, it wasn’t the air force in 1935, but the U.S. Army Air Corps. Nor had Congress declared war on the volcano, or passed an Authorization of Military Force Against Volcanoes. Nevertheless, when Mauna Loa erupted on November 21, 1935, and an army of lava advanced on the city of Hilo at a rate of one mile per day, the military was called in.  Nonetheless, six day after the bombing, the lava flow stopped. Jagger proclaimed the mission was a success.   So, ten bombers were dispatched, each carrying two 600-pound bombs, with each bomb containing 300 pounds of explosive. FONTE  http://nationalinterest.org/blog/the-buzz/the-us-air-force-tried-attacking-volcano-23951

Il 28 aprile 1997 William Cohen, ex segretario di Stato per la Difesa USA, disse ad una conferenza dedicata al contro-terrorismo e organizzato dal senatore Sam Nunn :
“… terroristi sono impegnati in un tipo di azione “ecologica”, nel senso che essi possono alterare il clima, far scatenare i terremoti, le eruzioni vulcaniche, utilizzando onde elettromagnetiche. Molte menti ingegnose stanno lavorando attualmente per mettere a punto i mezzi per terrorizzare intere nazioni. Tutto questo è reale…

vedi Transcript http://archive.defense.gov/Transcripts/Transcript.aspx?TranscriptID=674

 

 

 

 

 

 

 

 

http://nationalinterest.org/blog/the-buzz/the-us-air-force-tried-attacking-volcano-23951

http://www.criticalpast.com/video/65675069574_bomb-Mauna-Loa_divert-lava_Keystone-B-3A_Keystone-LB-6A_United-States-fliers

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