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La conferenza “The Spirit of Asilomar and the Future of Biotechnology”, tenutasi dal 23 al 26 febbraio 2025, si è conclusa a porte chiuse. Si è trattato di una commemorazione del 50° anniversario della storica Conferenza di Asilomar del 1975, che ha stabilito le linee guida fondamentali per la ricerca sul DNA ricombinante. Non c’è stata conferenza stampa, quindi non si conoscono i dettagli. Ecco il sito web: https://www.spiritofasilomar.org/program/summit-themes
Facciamola finita con Asilomar
Nel 1975, una conferenza in California rompeva la cautela nei confronti delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica, imponendo la falsa credenza che la scienza può autoregolarsi. Cinquant’anni dopo questa visione rischia di gettare l’umanità in un incubo senza fine
Il 1° novembre 1973, Stanley Cohen e Herbert Boyer, ricercatori dell’Università di Stanford e dell’Università della California, inseriscono con successo il gene di un rospo nel Dna di un batterio Escherichia coli. Si tratta del primo esperimento di DNA ricombinante, ovvero dell’introduzione, in un organismo vivente, di materiale genetico proveniente da una specie diversa.
Questa scoperta sensazionale abbatte di fatto, per la prima volta, le barriere di specie. La tecnica del DNA ricombinante ha un effetto deflagrante nel mondo scientifico, al punto da attirare l’attenzione dei media e della politica. All’improvviso, la clonazione, la creazione di armi biologiche e l’eugenetica diventano orizzonti pericolosamente vicini. Del resto, in un contesto internazionale lacerato tra conflitto in Vietnam e guerra fredda, lo spettro di un futuro distopico è tutt’altro che remoto. La stessa comunità scientifica non risponde con unanime entusiasmo alla scoperta di Cohen e Boyer. Alla Gordon Research Conference tenutasi nel giugno del 1973, quando Herbert Boyer comunica i risultati dell’esperimento, i partecipanti decidono di mandare una lettera a Philip Handler, presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze Usa e al presidente dell’Istituto Nazionale di Medicina, suggerendo «che le Accademie istituiscano un comitato di studio per considerare questo problema e raccomandare azioni o linee guida specifiche».
Il fatto che l’E. coli sia un batterio presente in quantità nel nostro microbiota intestinale, solleva infatti parecchia preoccupazione riguardo alla possibilità di provocare il cancro (intenzionalmente o meno) con le tecniche di manipolazione genetica appena scoperte. Handler istituisce quindi un comitato di esperti sull’argomento. A capo ci mette Paul Berg, biochimico di Stanford che un anno prima di Cohen e Boyer aveva capito come ottenere la molecola di DNA ricombinante, inserendo geni di un batterio in un virus. Prima dell’ultimo passaggio però si era fermato, sollecitato dai colleghi preoccupati per gli esiti di una potenziale fuga del virus modificato.
Il comitato, composto da undici persone, tra cui gli stessi Cohen e Boyer, pubblica una lettera aperta su Science il 26 luglio del 1974. Si intitola “Il potenziale rischio biologico delle molecole di Dna ricombinante”. «I recenti progressi nelle tecniche per l’isolamento e la ricongiunzione di segmenti di Dna» recita l’incipit, «consentono oggi di costruire in vitro molecole di Dna ricombinante biologicamente attive. […]
Diversi gruppi di scienziati stanno ora progettando di utilizzare questa tecnologia per creare DNA ricombinante da una varietà di altre fonti virali, animali e batteriche. Sebbene tali esperimenti possano facilitare la soluzione di importanti problemi biologici teorici e pratici, essi porterebbero anche alla creazione di nuovi tipi di elementi di DNA infettivo, le cui proprietà biologiche non possono essere completamente previste in anticipo. C’è il serio timore che alcune di queste molecole ricombinanti artificiali possano rivelarsi biologicamente pericolose».
Dopo aver spiegato il tipo di esperimenti condotti e l’esito che hanno avuto, gli scienziati concludono con un appello: «La nostra preoccupazione per le possibili conseguenze negative di un’applicazione indiscriminata di queste tecniche ci spinge a esortare tutti gli scienziati che lavorano in questo settore a unirsi a noi nel concordare di non avviare esperimenti […] fino a quando non saranno stati fatti tentativi di valutazione dei rischi e non sarà stata raggiunta una qualche risoluzione delle questioni in sospeso».
Mentre salgono le preoccupazioni riguardo l’uso della neonata ingegneria genetica, cresce però anche l’interesse delle imprese nello sfruttamento commerciale. Un mese prima di firmare la lettera su Science, Boyer e Cohen depositano la domanda di brevetto per il metodo di manipolazione del Dna contenuto nel loro esperimento. La capacità di giocare su più piani contraddistingue da tempo gli scienziati più smaliziati. La mossa però non piace a Berg e ad altri, anche perché il brevetto poggia su ricerche portate avanti da più cervelli, che in quel modo vengono beffati.
Asilomar 1975: il mito della scienza che si autoregola
Un appello accorato non basta a fugare le preoccupazioni. Serve qualcosa di più. Così, tra il 24 e il 27 febbraio del 1975, al centro congressi di Asilomar State Beach, davanti a spiagge per surfisti nella penisola californiana di Monterey, si tiene la conferenza che ha segnato uno spartiacque nella storia delle biotecnologie e dei rapporti tra scienza e società. Partecipano centoquaranta persone, non solo ricercatori in scienze della vita, ma anche medici, avvocati e quindici giornalisti. Il dibattito si concentra sui potenziali pericoli dell’ingegneria genetica e come tenerli sotto controllo, non sull’etica del processo in sé o sugli obiettivi della ricerca. La conferenza si chiude con l’approvazione di alcune linee guida per la gestione del rischio connaturato all’uso di tecniche del DNA ricombinante in laboratorio.
È un modo per anticipare le critiche e mostrare responsabilità nei confronti del pubblico, oltre che un tentativo di evitare una regolamentazione restrittiva sulla ricerca. L’operazione riesce a metà. Quando gli scienziati portano i principi concordati al Congresso americano, infatti, la maggior parte dei rappresentanti manifesta forti preoccupazioni. Comincia a serpeggiare la preoccupazione per una moratoria.
A tendere una mano salvifica ai pionieri dell’ingegneria genetica è ancora una volta l’alleato di sempre: l’industria. Lo racconta senza peli sulla lingua lo stesso Paul Berg in un’intervista: «Devo rilevare molto cinicamente che ciò che ribaltò la situazione e cancellò tutte le preoccupazioni fu la fondazione di Genentech e il primo round di emissione azionaria. Improvvisamente, divenne chiaro che questa sarebbe diventata un’importante entità commerciale e mettere un divieto sarebbe stato come spararsi in un piede».
La Genentech è la prima società biotecnologica, fondata nel 1976 dal capitalista Robert A. Swanson. Il suo partner è proprio lo scienziato più spregiudicato del gruppo, Herbert Boyer, quello che un paio d’anni prima vediamo correre all’ufficio brevetti mentre gli altri si interrogano sui pericoli del Dna ricombinante. Quando si incontrano, Swanson è un giovane speculatore finanziario rimasto senza lavoro.
Laureatosi al MIT, ha passato un paio d’anni alla Kleiner&Perkins, una società di investimenti. Da associato, ha speso molte energie nel tentativo di convincere un’azienda cliente a sperimentare sul DNA. Ma questa ha risposto picche e la faccenda è costata il posto a Swanson. Il ragazzo, però, non vuole mollare. Scorre il suo elenco, telefonando a tutti gli scienziati che lavorano sulla tecnologia del DNA ricombinante, sperando di trovarne qualcuno deciso a commercializzarla. Finché incappa in Herbert Boyer.
La loro alleanza porta la Genentech, praticamente una startup, a sintetizzare la prima insulina umana, che non provoca reazioni allergiche come quella derivata dai maiali. È la pietra fondante dell’industria biotecnologica, un settore che apre un mercato a dodici zeri. Genentech è oggi una società che fattura circa 26 miliardi di dollari, acquisita nel 2009 dal conglomerato farmaceutico svizzero Hoffmann-La Roche per quasi 50 miliardi.
Curiosamente, nei promotori della conferenza di Asilomar e in molti partecipanti, è rimasta l’idea di aver mostrato al mondo che la scienza è in grado di autoregolarsi per il bene comune. In verità, l’effetto più concreto sembra sia stato l’avvio di un percorso che oggi porta troppi scienziati a sentirsi al di sopra dello scrutinio democratico. A questo si aggiunge una mentalità “integrata” dello scienziato-imprenditore inculcata ai ventenni nelle università, con il modello statunitense ormai esteso a tutto l’occidente. Non è strano, quindi, osservare la maggior parte dei biotecnologi impegnarsi in attività di lobby a fianco delle imprese, per ottenere sempre meno supervisione sulle loro ricerche, sempre meno controlli sui metodi utilizzati e i prodotti che ne derivano. Scandagliare le frontiere della vita, per incorporarle in circuiti di accumulazione, appare attualmente il principio guida non dichiarato delle tecnoscienze, mascherato da una propaganda che lo dipinge come tentativo di rispondere ai problemi dell’umanità. Nel discorso sull’innovazione, di conseguenza, l’accento si sposta ormai decisamente più sul “costo del non fare” che sui dilemmi etici del “fare ad ogni costo”, rendendo lecita l’espansione incondizionata dell’agire tecnico sul vivente e la conseguente mercificazione.
Asilomar 2025: sensazione di deja-vu
Dal 23-26 febbraio 2025, il centro congressi di Asilomar tornerà ad animarsi per celebrare i cinquant’anni dalla conferenza che ha aperto l’era biotech. Il titolo dell’incontro è “The spirit of Asilomar and the future of biotechnology”. Anche questa volta non ci sarà partecipazione del pubblico, saranno ammessi giornalisti selezionati e qualche ONG per avere un contraddittorio controllato. Il sito web elenca gli argomenti da trattare: ricerca su agenti patogeni e armi biologiche, intelligenza artificiale e biotecnologie; cellule sintetiche, biotecnologie oltre il contenimento convenzionale, futuro del settore.
A parte gli usi bellici, di cui la pandemia ci ha insegnato la potenziale portata, particolare preoccupazione dovrebbero destare le nuove frontiere aperte dal matrimonio tra AI e biotecnologie, per creare forme di vita sintetiche con corredi genetici selezionati – o addirittura inventati – da sistemi informatici nutriti con informazioni prodotte dal pensiero tecno-capitalista dominante. Allo stesso modo, è necessario che ci si interroghi al più presto su cosa significa andare “oltre il contenimento convenzionale”, formula edulcorata che definisce le crescenti pressioni degli scienziati per uscire dal laboratorio e dispiegare tecnologie irreversibili come i gene drives direttamente nella natura.
Contrariamente a ciò che si può pensare leggendo questa lista agghiacciante, ad Asilomar non ci sarà una discussione sull’opzione zero. Non si parlerà della necessità o dell’opportunità di non procedere oltre con lo sviluppo della biotecnologia, non ci sarà una remissione al primato della politica o uno scrupolo per la rendicontazione nei confronti del pubblico. Come cinquant’anni fa, Asilomar sarà un momento chiave per mollare definitivamente gli ormeggi che dovrebbero ancorare la ricerca alla responsabilità sociale. Si ragionerà di come gestire, senza bisogno di quadri normativi, le nuove sfide. Come hanno ben scritto Tina Stevens and Stuart Newman su The Conversation, «i temi di discussione sono caratterizzati dal linguaggio della “governance” e dalle scarse possibilità di sostenere moratorie o divieti su tecnologie controverse. [..] È difficile immaginare un percorso più chiaro per evitare una seria deliberazione sull’opportunità di limitare l’implementazione della ricerca».
I limiti li mettiamo noi
La produzione di forme di vita sintetiche con queste nuove biotecnologie è in grado di creare, volontariamente o meno, infezioni irrimediabili e devastazioni irreversibili dell’ecosistema. Ma tutto ciò non è oggi sufficientemente attenzionato dalla politica e dal pubblico. L’intenzione è, come spiega magistralmente Luigi Pellizzoni, cavalcare questi processi ingovernabili liberandosi delle pastoie imposte dal principio di precauzione, dall’etica e dalla democrazia.
Il limite non verrà auto-imposto da un complesso tecno-biologico-industriale che ormai ha fatto tanta strada dal giorno in cui un giovane squaletto della finanza trovava uno scienziato senza scrupoli sull’elenco telefonico. Su quella pietra fondativa di Big Pharma è stato oggi costruito un impero di brevetti, segreti industriali, agenzie di lobbying e campagne di comunicazione, fusioni e acquisizioni, convergenza di interi settori industriali e cattura corporativa della ricerca di base.
Questo convulso movimento si nasconde dietro una cortina fumogena che camici bianchi e capitale hanno messo in piedi, per esplorare l’orizzonte liberi dal condizionamento sociale, trasformando il pubblico in mero destinatario dell’innovazione.
I movimenti sono oggi chiamati a sostenere il resto dell’umanità nell’uscita dalla gabbia in cui è stata confinata, per essere ingozzata di ogni novità che entra in commercio e repressa quando alza la testa. Asilomar è una macchia nella storia della scienza e in quella umana. Ma non è indelebile. La ricerca del sapere e le sue direzioni possono e devono essere decise insieme. O sarà peggio per tutti.
FONTE https://comune-info.net/facciamola-finita-con-asilomar/
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