By Guido Guidi
Questo post girerà intorno a due numeri, ovvero due percentuali:
In tutta la letteratura scientifica pubblicata negli ultimi dieci anni, circa 900.000 articoli hanno a che fare con simulazioni, ovvero con dei modelli; di questi, il 55% contiene anche dei riferimenti ai cambiamenti climatici.
Se si cercano invece solo i riferimenti ai cambiamenti climatici, si scopre che nel 97% degli articoli che li contengono sono presenti anche riferimenti alle simulazioni.
In pratica più della metà di quanto gira intorno a qualsiasi genere di simulazioni di sistemi nel mondo della ricerca è simulazione climatica, una sproporzione enorme se si pensa che la ricerca sul clima è solo circa il 4% del totale. E la ricerca sul clima è quasi esclusivamente focalizzata sulla simulazione del sistema (fonte).
Si dirà che non c’è altro modo di affrontare questo settore dello scibile se non quello di tentare di riprodurlo. Sarà anche vero, ma il fatto è che invece di essere uno strumento di comprensione delle dinamiche, le simulazioni sono diventate l’obbiettivo finale, assumendo, in modo clamorosamente errato, che i concetti siano definiti, che quelle dinamiche siano perfettamente note e che si debba solo trovare il sistema per riprodurle con più efficacia. Quindi si investono somme enormi per migliorare i modelli, raggiungendo le soverchianti percentuali di cui sopra.
Per effetto di questo paradigma, ad esempio, il livello di comprensione del rapporto tra forzante antropica e variabilità naturale o, se vogliamo, il valore della prima al netto della seconda che poi si esprime in termini di sensibilità climatica, non ha conosciuto alcun sostanziale progresso scientifico. L’aumento della temperatura che si ipotizzava potesse corrispondere al raddoppio della concentrazione di CO2 nei primi report IPCC è, salvo aggiustamenti di qualche decimo di grado, lo stesso degli ultimi. La forchetta tra il valore più alto e quello più basso, che configurano da un lato un problema molto grave e dall’altro qualcosa di insignificante, è praticamente la stessa. E sono passati circa 25 anni. Ma si continua a simulare.
Ormai viviamo in un mondo completamente virtuale, nel quale gli accessori recentemente messi in vendita per calarsi nella nuova dimensione sono assolutamente superflui, ci siamo già dentro fino al collo. Qualche giorno fa ho ascoltato su Radio24 il commento a un libro pubblicato di recente in cui sono stati fatti un po’ di conti sull’attendibilità delle simulazioni dei sistemi finanziari. Anche in questo settore, negli ultimi anni si raggiungono percentuali di insuccesso pari al 1800%. Dei modelli sulla disponibilità di risorse, sulla demografia o sugli scenari geopolitici meglio non parlarne affatto, l’evidenza dei fatti li ha praticamente travolti.
Però questa merce si vende bene, perché è un fatto che su simulazioni palesemente inattendibili si stiano comunque poggiando delle decisioni fondamentali, giustificando, almeno virtualmente, le enormi risorse impiegate. Quanti sanno che gli scenari climatici sono il frutto di un matrimonio tra simulazioni del comportamento del clima e degli scenari economici, sociali e produttivi? E quanti sanno che non hanno nessuna probabilità di successo?
Non è un problema, basta migliorare i modelli no? Quando non il 55%, ma tutta la simulazione modellistica sarà concentrata sul clima che cambia e quando tutta, non il 97% della scienza del clima sarà simulata, avremo comunque risolto il problema. FONTE http://www.climatemonitor.it/?p=41398
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