Giorgio Agamben
Come avevamo previsto, le lezioni universitarie si terranno dall’anno prossimo on line. (n.d.r. l’ articolo è stato pubblicato a maggio) Quello che per un osservatore attento era evidente, e cioè che la cosiddetta pandemia sarebbe stata usata come pretesto per la diffusione sempre più pervasiva delle tecnologie digitali, si è puntualmente realizzato.
Non c’interessa qui la conseguente trasformazione della didattica, in cui l’elemento della presenza fisica, in ogni tempo così importante nel rapporto fra studenti e docenti, scompare definitivamente, come scompaiono le discussioni collettive nei seminari, che erano la parte più viva dell’insegnamento. Fa parte della barbarie tecnologica che stiamo vivendo la cancellazione dalla vita di ogni esperienza dei sensi e la perdita dello sguardo, durevolmente imprigionato in uno schermo spettrale.
Ben più decisivo in quanto sta avvenendo è qualcosa di cui significativamente non si parla affatto, e, cioè, la fine dello studentato come forma di vita. Le università sono nate in Europa dalle associazioni di studenti – universitates – e a queste devono il loro nome. Quella dello studente era, cioè, innanzitutto una forma di vita, in cui determinante era certamente lo studio e l’ascolto delle lezioni, ma non meno importante erano l’incontro e l’assiduo scambio con gli altri scholarii, che provenivano spesso dai luoghi più remoti e si riunivano secondo il luogo di origine in nationes. Questa forma di vita si è evoluta in vario modo nel corso dei secoli, ma costante, dai clerici vagantes del medio evo ai movimenti studenteschi del novecento, era la dimensione sociale del fenomeno. Chiunque ha insegnato in un’aula universitaria sa bene come per così dire sotto i suoi occhi si legavano amicizie e si costituivano, secondo gli interessi culturali e politici, piccoli gruppi di studio e di ricerca, che continuavano a incontrarsi anche dopo la fine della lezione.
Tutto questo, che era durato per quasi dieci secoli, ora finisce per sempre. Gli studenti non vivranno più nella città dove ha sede l’università, ma ciascuno ascolterà le lezioni chiuso nella sua stanza, separato a volte da centinaia di chilometri da quelli che erano un tempo i suoi compagni. Le piccole città, sedi di università un tempo prestigiose, vedranno scomparire dalle loro strade quelle comunità di studenti che ne costituivano spesso la parte più viva.Di ogni fenomeno sociale che muore si può affermare che in un certo senso meritava la sua fine ed è certo che le nostre università erano giunte a tal punto di corruzione e di ignoranza specialistica che non è possibile rimpiangerle e che la forma di vita degli studenti si era conseguentemente altrettanto immiserita.
Due punti devono però restare fermi:
1.I professori che accettano – come stanno facendo in massa – di sottoporsi alla nuova dittatura telematica e di tenere i loro corsi solamente on line sono il perfetto equivalente dei docenti universitari che nel 1931 giurarono fedeltà al regime fascista. Come avvenne allora, è probabile che solo quindici su mille si rifiuteranno, ma certamente i loro nomi saranno ricordati accanto a quelli dei quindici docenti che non giurarono.
2. Gli studenti che amano veramente lo studio dovranno rifiutare di iscriversi alle università così trasformate e, come all’origine, costituirsi in nuove universitates, all’interno delle quali soltanto, di fronte alla barbarie tecnologica, potrà restare viva la parola del passato e nascere – se nascerà – qualcosa come una nuova cultura.
FONTE http://alcesteilblog.blogspot.com/2020/05/requiem-per-gli-studenti-giorgio-agamben.html
Alcune università italiane stanno usando software per sorvegliare gli studenti durante gli esami
Tra dati personali conservati, antivirus disattivati e software che “si impossessano del tuo computer”, questa sessione di esami ha un sapore amaro. E l’esperimento rischia di non finire qui. LEGGI QUI
Boom della sorveglianza online per gli esami. Ma Ca’ Foscari la boccia: “Eye-tracking inaffidabile per i nostri test”
Respondus
Domenico Fiormonte
Docente di Sociologia della Comunicazione nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Roma Tre.
Come sappiamo in questi mesi la nostra università ha acquisito, adottato o potenziato una serie di strumenti e applicazioni per la didattica online e in generale per la gestione da remoto del nostro lavoro. Alcuni di questi strumenti, come Moodle, sono di pubblico dominio (cioè Open Source), altri, come la suite Microsoft Teams, purtroppo no. Ci sarebbe molto da dire su tali scelte che riflettono innanzitutto uno storico disinteresse di Roma Tre nei confronti del digitale, in tutte le sue componenti e ripercussioni, didattiche e di ricerca innanzitutto (basta vedere l’esiguità del team tecnico che si sta dedicando a sbrogliare la matassa della didattica online: quattro persone per tutto l’ateneo).
Tuttavia la mia preoccupazione qui riguarda un software in particolare: Respondus. Forse nessuno di voi lo ha ancora utilizzato per “monitorare” gli studenti durante le prove d’esame, ma si tratta, a tutti gli effetti, di un software di sorveglianza.
La Facoltà di Lettere e Filosofia della Universidad Nacional de Córdoba (Argentina), ha appena pubblicato un report dettagliato che descrive il funzionamento di questo programma e ne denuncia le pericolose conseguenze non solo per la privacy, ma per la stessa idea di patto formativo:
In sintesi questi i punti sollevati dai colleghi e dalle colleghe della UNC:
1) Respondus vìola la privatezza dell’utente. Il software infatti deve essere installato sul computer personale dello studente/studentessa e ha accesso a tutti i file, le directory, i programmi, ecc. del computer.
2) Respondus non fornisce garanzie riguardo all’uso e la conservazione dei dati che raccoglie “a strascico”, prima, durante e persino dopo la disinstallazione. I server (cloud) della multinazionale proprietaria del programma non risiedono sul territorio della Repubblica italiana, dunque sebbene l’azienda sarebbe formalmente vincolata a rispettare la normativa europea, di fatto non è possibile effetturare nessun controllo da parte di autorità europee e italiane (esattamente come Facebook, Google, Microsoft, ecc.).
Per inciso, riguardo la situazione italiana, si veda l’intervento del Garante della Privacy sulla questione della sovranità dei dati: https://www.key4biz.it/soro-al-parlamento-infrastruttura-cloud-pubblica-non-piu-eludibile-per-lindipendenza-dai-poteri-privati/311412/).
3) Respondus obbliga gli studenti ad accettare “condizioni di utilizzo” assolutamente opache e sulle quali non riceve sufficienti informazioni o informazioni che sia in grado di rifiutare, pena il mancato svolgimento dell’esame. Ma pregiudicando la possibilità di svolgere l’esame si compromette il diritto allo studio senza giustificato motivo. Questo mi pare un punto fondamentale, perché qualsiasi impedimento, requisito o obbligo di natura tecnica e non strettamente formativo lede formalmenente il diritto dello/a studente/ssa.
4) Respondus è tecnicamente escludente. Può essere installato solo su macchine che hanno le ultime versioni di Windows o Mac OS, perciò chi utilizza OS non proprietari (e più sicuri!) viene discriminato. Tale configurazione inoltre, come nota il report argentino, “cristallizza situazione di diseguaglianza economica” (chi non ha un pc ultimo modello non può usarlo, chi non ha una connessione veloce sperimenta difficoltà, ecc.).
5) Infine, Respondus non pregiudica solo la sfera discente, ma anche quella docente. Il software interviene nella sfera pedagogica, installando una mediazione algoritmica che altera il rapporto docente-allievo/a nella fase di valutazione. Oltre a ciò la sorveglienza capillare di Respondus mette in pericolo la libertà docente e la proprietà intellettuale degli strumenti e delle risorse di valutazione realizzati dal docente.
Riporto per intero la dichiarazione conclusiva dei colleghi e colleghe argentin*:
“Respondus è il sintomo di una politica accademica che tenta di trasformare la UNC in un modello di università globale orientata al mercato, proponendo una didattica strumentale, valutazioni meccaniche e curricula frammentati che vengono certificati attraverso questo tipo di prove sorvegliate e vengono scambiate su un mercato di crediti. L’introduzione acritica di questo tipo di tecnologie mina definitivamente la nostra autonomia istituzionale universitaria e la nostra sovranità nazionale.”
Per queste ragioni i colleghi e le colleghe della facoltà di Lettere e Filosofia della UNC hanno dichiarato pubblicamente “inammissibile” l’uso di Respondus. Ma sono già moltissime le proteste, anche in altri paesi, contro gli strumenti di “online proctoring” e il “big brother on campus” (per una sintesi: https://www.forbes.com/sites/seanlawson/2020/04/24/are-schools-forcing-students-to-install-spyware-that-invades-their-privacy-as-a-result-of-the-coronavirus-lockdown/).
Su tutta la faccenda della DAD e le sue implicazioni a vario livello sono state pubblicate anche in Italia varie riflessioni di rilievo. Ne segnalo in particolare due:
https://www.roars.it/online/teledidattica-proprietaria-e-privata-o-libera-e-pubblica/
https://www.roars.it/online/datificazione-e-governo-algoritmico-delluniversita-durante-e-dopo-il-covid-19/
(questa è la traduzione di un articolo in inglese).
Mi sono permesso di scrivere a voi del gruppo politico-sociale e non a tutti i colleghi del dipartimento perché penso che fra noi vi siano già sensibilità su questi temi (penso alla nascente LM in Digital Society — forse da ripensare a questo punto?).
Sicuramente vi sono forti preoccupazioni all’interno del Dipartimento e di tutto l’ateneo.
Non so se prima di acquistare Respondus sono stati sentiti formalmente i competenti organi di garanzia (privacy, ecc.), ma a mio parere è stato un errore e andrebbe immediatamente ritirato.
In ogni caso non credo sia più rimandabile una discussione seria, pubblica e approfondita sulle profonde trasformazioni che stiamo vivendo. La nostra università deve prendere posizione o almeno spiegarci in che direzione intende andare e come.
Onestamente non so come la pensate voi, ma se vogliamo trasformarci in una “platform university” vorrei poterne discutere: https://discoversociety.org/2019/05/01/focus-the-platform-university/.
Chiedo perciò a tutti e tutte voi, ma soprattutto ai colleghi e alle colleghe seniores, che si facciano portavoce di questa forte esigenza a tutti i livelli istituzionali, dal senato accademico alla direzione generale e ovviamente al Rettore.
Non so se sono l’unico ad avere questi timori, ma a me sembra che la situazione, da qualsiasi angolo la osserviamo, ci stia sfuggendo di mano.
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