Proprio mentre le altre compagnie petrolifere rinunciano a esplorare l’Artico, Eni apre i rubinetti della piattaforma petrolifera offshore più a nord del mondo. In un giacimento nel Mare di Barents comincia a pompare dalla piattaforma Goliat e si inserisce nel piccolo gruppo di produttori della regione.

L’ingente costo di questa attività, nel contesto di un vertiginoso crollo delle quotazioni del petrolio negli ultimi mesi, ha spinto molti a rinviare o annullare nuovi progetti su petrolio e gas. L’Eni invece, nonostante gli enormi costi del progetto, va avanti. 

Secondo Greenpeace, Eni avrebbe deciso di andare avanti perché – come capita sovente nello sfruttamento dei grandi giacimenti – annullare un progetto di queste dimensioni e con i costi già lievitati potrebbe avere ripercussioni finanziarie più gravi rispetto all’andare avanti comunque.  A suo tempo, Truls Gulowsen, rappresentante di Greenpeace in Norvegia, aveva affermato che l’operazione sarebbe sostenibile da un punto di vista economico solo con il petrolio a 80-90 dollari al barile (ora è attorno ai 40 dollari): «Goliat rimarrà un simbolo del fallimento negli anni a venire.” FONTE 

I problemi non finiscono qui e non riguardano solo l’Eni. C’è un grosso ostacolo alla conquista delle risorse dell’Artico. Le maggiori concentrazioni delle riserve naturali artiche sono nel Mare di Kara e di Barents. “Le risorse d’idrocarburi recuperabili nei territori sotto sovranità russa vengono stimate in 106 miliardi di tonnellate di petrolio equivalente, più della metà di tutte le riserve di petrolio e di gas dell’intera regione. Nell’artico russo sono stati individuati finora 60 grandi giacimenti d’idrocarburi, 43 dei quali in territorio russo. …la compagnia petrolifera russa Rosneft ha reso nota la scoperta nel Mare di Kara di un giacimento petrolifero che, si stima, racchiuda 87 miliardi di barili, parte di una zona che potrebbe avere riserve equivalenti a quelle dell’Arabia Saudita. Giacimenti di gas di eccezionale portata sono stati scoperti nei Mari di Barents e di Kara. Sono venuti inoltre alla luce notevoli depositi di rame, nichel, cobalto, platino, barite e apatite” (1).

Ma “sappiamo che tutti i mari dell’estremo Nord (Barents, Kara, Bianco) e dell’estremo Oriente russo (Okotsk, del Giappone, Oceano Pacifico) sono diventati in questi 30 anni, dal 1959 circa a oggi, due vere e proprie pattumiere nucleari. In violazione, per altro delle norme internazionali esistenti. Che erano poche e poco vincolanti, ma che comunque costituivano una barriera alla follia…” scrisse Giulietto Chiesa nel 1993  (2)

 

 

Mix mortale di trivellazioni petrolifere off-shore e reattori nucleari galleggianti nella regione artica

Traduzione di Progetto Humus da http://redgreenandblue.org

La Russia ha in progetto di costruire centrali nucleari galleggianti e sommergibili, creare piattaforme per la trivellazione del petrolio e del gas nell’Artico. Una centrale atomica galleggiante è stata costruita presso il cantiere navale SevMash a Severodvins nel nord-est della federazione. I reattori provvederanno a dare energia alle piattaforme di trivellazione di Gazprom.  I reattori sono descritti per essere in grado di stoccare a bordo le scorie radioattive e per richiedere processi di manutenzione ogni 12-14 anni. Gli ambientalisti sono sul piede di guerra contro questa mossa russa in quanto potrebbe creare degli scenari apocalittici per l’ambiente incontaminato ed intatto della regione Artica.

Disastro ambientale

Di recente gli ambientalisti hanno fatto un appello affinché il numero di turisti in Antartide sai ridotto, in quanto il suo fragile ecosistema deve essere protetto. Gli scienziati hanno anche sollevato preoccupazioni riguardo le specie non indigene in arrivo nei mari antartici. Nel corso delle ricerche  lo scienziato ambientale Giovanni Priscu ha rilevato l’incidenza della presenza umana in questo tipo di ecosistemi. Afferma che il clima è attualmente freddo, ma la contaminazione dell’ambiente con batteri umani e batteri provenienti da altre regioni del continente è una preoccupazione reale. Ad esempio, i ricercatori hanno trovato foche e pinguini infettati con batteri provenienti dagli impianti di depurazione della stazione di ricerca McMurdo. In prossimità della Scott Base, le foche sono infette da cimurro canino, un virus trasmesso loro dai cani dei ricercatori.

Sarebbe sciocco presumere che l’Artico, che è già vittima del riscaldamento globale, sarebbe stato immune da tali effetti negativi a causa della presenza umana e, potenzialmente, dalle sue attività inquinanti, come quelle petrolifere ed energetiche. Sia l’Artide che l’Antartide dovrebbero restare intatti dalla presenza umana; se si stanno compiendo sforzi per proteggerne uno, perché l’altro deve essere trascurato e sfruttato?

Le nazioni dell’atlantico settentrionale hanno combattuto vere e proprie guerre, senza soffermarsi sulla questione dei diritti sulle risorse minerarie di queste zone. L’inazione da parte di questi paesi, di preservare anche l’ecosistema artico, solleva gravi interrogativi circa il loro impegno verso la protezione delle sue specie come l’orso polare.

Il passato nero del nucleare Russo

Tutti conoscono il famoso disastro di Chernobyl, ma le questioni della Russia per quanto riguarda la gestione dei rifiuti nucleari radioattivi non sono ancora ben note. Dagli anni 60 i russi hanno affondato sommergibili carichi di missili, siluri, reattori nucleari ed altri rifiuti radioattivi in prossimità dell’isola artica di Novaja Zemlaya.

La cosa più preoccupante è la quantità di rifiuti radioattivi russi nei mari. Le autorità russe, dice il Dr. Hollister hanno stoccato da 11.000 a 17.000 contenitori di rifiuti nucleari che raggiungono i 61.407/Ci di radioattività sull’isola di Novaja Zemlia fra il 1946 ed il 1990. Inoltre, 165.000 metri cubi di rifiuti liquidi radioattivi sono stati scaricati nel Mar di Barents, ad Ovest dell’isola dal 1961 al 1990. Ricordiamo anche che l’incidente di Chernobyl ha rilasciato circa 86 milioni di Curie di radioattività. Il Dr. Hollister afferma poi che la quantità di materiale nucleare all’interno di alcuni dei sottomarini sovietici dismessi, ammonta a sette volte di più quello presente nel reattore di Chernobyl. Il gruppo ambientalista norvegese, Bellona, ha segnalato due anni fa che una parte dei rifiuti nucleari in mare è a rischio di esplosione, soprattutto a causa dell’erosione dei materiali che li contengono. Sebbene i russi si vantino della loro esperienza nell’ambito nucleare, non vi sono garanzie che i rifiuti radioattivi non siano oggetto di dispersione nei mari, una delle principali preoccupazioni tra gli ambientalisti. Al posto di prendere decisioni coraggiose per proteggere l’ecosistema artico e le sue specie native, le nazioni del Nord Atlantico hanno sempre voluto far valere i loro diritti territoriali nella regione. Fare progetti per sfruttare le riserve naturali della regione artica, e promettere di proteggere gli ecosistemi sono solo testimonianze dell’ambiguità della politica di queste nazioni. FONTE 

Mare di Kara, una discarica nucleare sovietica ai confini del mondo

Enormi quantità di materiale nucleare giacciono sui fondali poco profondi del Mare di Kara, una porzione del Mare Glaciale Artico a nord della Siberia. La notizia, rilanciata ieri dal quotidiano norvegese Aftenposten tramite la pubblicazione di alcuni documenti forniti dalle autorità russe, sta causando grande preoccupazione nei paesi che si affacciano sulla costa artica.
Diciassettemila fusti di rifiuti radioattivi, diciannove navi contenenti rifiuti tossici, quattordici reattori nucleari (di cui cinque contenenti combustibile nucleare esausto), settecento pezzi di armamenti contaminati e addirittura un sottomarino nucleare con i suoi due reattori, sono il pesante lascito imposto alle gelide acque glaciali dalla corsa agli armamenti portata avanti dall’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda.

Voci circa i pericoli per la salute pubblica e l’ambiente nell’area del Mare di Kara erano circolate fin dal 1992.
Nel marzo del 1993 la conferma che l’URSS avesse utilizzato per trent’anni questi fondali come discarica nucleare, in palese 
violazione della Convenzione di Londra del 1972 (firmata anche da Mosca), era stata data direttamente dal governo russo attraverso un dossier contenente dettagliate informazioni sulle pratiche di dumping nei mari artici. Facevano parte di questa prima lista ben tredici reattori nucleari rimossi dai sottomarini della Flotta del Nord e affondati da Mosca tra il 1965 e il 1988 nei fiordi dell’arcipelago di Novaja Zemlja, ed ilsommergibile K-27, con i suoi due reattori carichi di combustibile nucleare fatto colare a picco nel 1981. Successivamente una valutazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) inserì tra le cause di allarme anche altri tre reattori del rompighiaccio nucleare Lenin, nave ammiraglia della flotta sovietica di base a Murmansk, smaltiti nella zona occidentale del Mare di Kara.

Tuttavia la recente documentazione pubblicata dall’Afternposten fotografa una situazione di gran lunga peggiore di quanto si fosse pensato finora. Secondo il giornale norvegese «nessuno può garantire che le informazioni sul materiale smaltito dai sovietici siano complete» ed è impossibile stabilire con precisione quanta spazzatura radioattiva sia stata effettivamente scaricata in mare. «Ora è compito della Russia procedere alla bonifica dei fondali,è soprattutto loro interesse procedere in questo senso».

Un ostacolo alla conquista dell’Artico

La preoccupazione per la contaminazione radioattiva del Mare di Kola rischia di fungere da paravento per nascondere mastodontici interessi economici. Uno dei futuri progetti ritenuti primari della Russia è infatti l’esplorazione delle riserve di gas e petrolio nei territori artici. Un obiettivo che Mosca è pronta a difendere con le armi, ma che oggi si scontra con il problema irrisolto dei rifiuti nucleari sommersi. Alle scoperte significative di gas e petrolio in questo territorio non sono ancora seguite infatti le trivellazioni, anche se già nel 2010 il colosso russo dell’energia Gazprom ha annunciato la sua intenzione di procedere all’estrazione dei circa 38.000 metri cubi di gas e petrolio che si trovano al di sotto del Mare di Kara. Nasce dunque da qui la necessità di mappare i materiali pericolosi in fondo al mare prima dell’avvio dell’attività estrattiva. In caso contrario, a detta degli esperti, c’è il pericolo che le perforazioni dissotterrino la spazzatura nucleare che i sovietici hanno cercato di isolare in speciali contenitori soggetti oggi a corrosione, con conseguenze disastrose lungo tutta la costa artica. Nell’ipotesi migliore il rilascio delle sostanze radioattive avverrebbe gradualmente, ma la possibilità di un evento improvviso e catastrofico non lascia dormire sogni tranquilli. È questo uno dei punti salienti della documentazione pubblicata dall’Aftenposten e che riguarda il rischio di un’esplosione dei reattori del sommergibile K-27, finora sottovalutato dalle autorità russe.

Sul fronte norvegese, dopo aver dichiarato di aver ignorato fino ad oggi l’inquietante incognita rappresentata dal vecchio relitto, il ministro dell’Ambiente Bård Vegar Solhjell ha tentato di minimizzare i pericoli connessi alla presenza nel Mare di Kara di materiale: «La gente non deve essere turbata da questi documenti, almeno finché non sapremo se c’è seriamente qualcosa per cui allarmarsi».

Intanto la Russia ha già istituito una commissione speciale che avrà il compito di localizzare e mappare i rifiuti nucleari presenti nelle proprie acque territoriali con una missione in cui lavoreranno fianco a fianco esperti russi e norvegesi. Uno sforzo diplomatico notevole e pressoché inedito per il governo di Mosca, solitamente allergico a far mettere naso nei propri affari agli stranieri. Dunque un grande passo avanti nelle relazioni tra Federazione Russa e Norvegia che secondo altre interpretazioni non sarebbe nient’altro che una velata richiesta d’aiuto dei russi per risolvere un problema troppo grande.

FONTE http://www.eastjournal.net/archives/20520

(1) http://www.abo.net/oilportal/topic/view.do?locale=it_IT&contentId=2460913

2) Mari di Russia, una bomba nucleare Di Chiesa Giulietto – 14 giugno 1993 Dossier Segreto: pattumiere di scorie per 30 anni http://www.radioradicale.it/exagora/mari-di-russia-una-bomba-nucleare

 

 

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