Continua la svendita del patrimonio agroalimentare italiano alle multinazionali

La guerra occultata dell’estrattivismo

Difendere la terra, a cominciare da quella dei territori in cui si vive, proteggere le relazioni sociali e con la natura non assoggettate alle insaziabili esigenze di estrazione del valore, ovunque e a qualsiasi prezzo, è da tempo un atto di resistenza a una guerra. Una guerra non apertamente dichiarata ma violenta e implacabile, come dimostra il livello di repressione messo in atto dagli apparati degli Stati quando si tratta di proteggere gli interessi dell’industria mineraria in Perù o quelli della Trans Adriatic Pipeline nel Salento, le monocolture di soia nelle pampas argentine o lo sviluppo del fracking in Alaska. Lo sviluppo del modello “estrattivo” e dell’ideologia che lo alimenta è una forma globale dell’accumulazione del nostro tempo. Per questo le tre giornate del workshop internazionale di Borgagne, frazione salentina di Melendugno, sono state di grande importanza, ricchissime di analisi e di proposte di azione concreta per i movimenti e i territori che resistono alla rapina in tutto il pianeta

di Serena Tarabini*

Che cosa accomuna gli ulivi del Salento e i minerali del Perù, l’acqua della Palestina e le praterie dell’Argentina, un agricoltore di Melendugno e un attivista anti-fracking del Regno Unito? Un fenomeno globale che prende il nome di estrattivismo.

In Italia come in Europa non abbiamo ancora molta dimestichezza con questo termine: si riferisce a quando le risorse di una regione vengono prelevate, rimosse e spesso esaurite a vantaggio di luoghi e persone diverse e a discapito dell’ambiente e delle popolazioni locali. “Estrattivismo” rimanda a una dimensione coloniale, in cui il Nord depreda il Sud del mondo: come ci ricorda Raúl Zibechi nel suo libro “La corsa all’oro: società estrattiviste e rapina si tratta di un processo il cui inizio può essere individuato nello sfruttamento del Cerro Rico de Potosí, dove nel 1545 furono sacrificati 8 milioni di indigeni; un crimine a cui si è accompagnato l’ inizio della modernità e del capitalismo, nonché della relazione centro-periferia sulla quale si basano.

Il tipo di risorse a cui questo ragionamento fa pensare sono le materie prime come minerali e idrocarburi che vengono appunto a tutt’oggi estratti dal sottosuolo di paesi in condizioni geopolitiche di subalternità rispetto ad altri dove queste materie prime vengono traferite e trasformate. Ma è in una accezione più ampia e quindi ancora meno familiare che il termine estrattivismo è stato affrontato e discusso a Borgagne (frazione di Melendugno-LE) nel workshop internazionale  “Policing Extractivism: Security, Accumulation, Pacification”, promosso dal TNI -Transnational Institute e dall’Associazione Bianca Guidetti Serra in collaborazione con l’Università del Salento. Un incontro fra accademici e militanti di movimenti territoriali in cui l’estrattivismo si è palesato come fenomeno multi-sfaccettato, condiviso da Nord a Sud, e denso di implicazioni per le sue connessioni con le dinamiche capitalistiche e neoliberiste.

Estrattivismo significa l’accaparramento di diversi tipi di ricchezza da parte di grandi interessi privati, nazionali o esteri, ai danni di comunità locali che da quella ricchezza dipendono. Fanno parte di questa logica anche le monoculture di soia o olio di palma, le grandi infrastrutture che, oltre a consumare suolo, svolgono la funzione di trasporto e allontanamento delle risorse dal luogo di origine, come anche i meccanismi di speculazione finanziaria connessi alla realizzazione di mega-opere.

Una protesta contro il megaprogetto peruviano Tia Maria. Foto tratta da il caffégeopolitico.org

E’ ancora Raúl Zibechi a mettere a fuoco una serie di aspetti che permettono di ricondurre al processo estrattivista situazioni molto diverse fra di loro e mostrano come le “maniere neocoloniali “ affliggano anche il nord globale: occupazione massiccia del territorio, relazioni asimmetriche fra imprese transnazionali, Stati e popolazioni, economie verticali che non si articolano con le economie locali, un forte intervento politico con leggi ad hoc , l’attacco all’agricoltura familiare ed alla sovranità alimentare, militarizzazione territorio.

Queste implicazioni le ritroviamo tutte nella situazione che stanno vivendo gli abitanti del Salento alle prese con il grande progetto del Trans Adriatic Pipe Line (Tap) e ci permettono di capire le ragioni della battaglia dei No TAP. Non a caso ricercatori ed attivisti sono venuti a scambiare esperienze, teorie e riflessioni sull’estrattivismo a Melendugno, riconoscendo alla resistenza del piccolo comune salentino il valore della difesa globale della terra. E’ una terra straziata, quella salentina, dice il Prof. di Diritto Costituzionale Michele Carducci, messa in tensione da una serie di sollecitazioni imposte come il Tap, ma anche la gestione della Xilella, o dell’Ilva, ma che per questo rappresenta anche un laboratorio politico di un contesto mondiale, dove le popolazioni locali stanno mostrando senso civico, maturità intellettuale, desiderio di democrazia.

La grande resistenza dei Sioux a Standing Rock contro l’oleodotto nel Nord Dakota. Il movimento ha guadagnato solidarietà internazionale e ha molte cose in comune con le lotte indigene contro i megaprogetti in America Latina. Foto tratta da Ipsnews.net. Credit Downwindersatrisk.org

I campi di ulivi pugliesi feriti da voragini e zone di interdizione recintate e presidiate manifestano un aspetto dell’estrattivismo a cui nel workshop si è prestata particolare attenzione: la sottrazione e la militarizzazione dello spazio pubblico a protezione di interessi privati, l’utilizzo della forza e della repressione contro il dissenso della popolazione, la sospensione di diritti democratici e costituzionali. Gli interventi da parte dell’Osservatorio sulla repressione, la presentazione di un dossier sulla repressione in Salento, l’analisi giuridica della criminalizzazione del movimento no TAV, ma come le relazioni della Coordinamento contro la repressione poliziesca in Argentina e dell’Osservatorio dei conflitti minerari in Perù, le testimonianze di chi nel Regno Unito protesta contro la controversa estrazione del gas di scisto conosciuta comefracking: sono accomunate dalla presenza di strategie di repressione comuni in modo impressionante. Come altrettanto impressionante è rendersi conto che in ognuno di questi luoghi le strategie disegnano una sorta di “stato di eccezione”, paradigma politico dell’estrattivismo. Zone rosse, fogli di via, provvedimenti sulla base di presunta pericolosità sociale, sanzioni economiche, aggravamento delle pene, leggi speciali. E poi ci sono gli abusi, le vittime; viene ricordato all’inizio del workshop che secondo l’ultimo rapporto di Global Witness sono più di 200 i difensori dell’ambiente morti ammazzati. La maggior parte sono in America Latina, Africa, Asia. Ma anche l’ ‘Europa ha i suoi morti, l’ultimo pochi giorni fa, un giovane giornalista, durante lo sgombero della foresta di Hambach in Germania, dove centinaia di persone protestavano contro una miniera di lignite che l’avrebbe distrutta.

Questo ed altri dati fanno rendere conto che ovunque è in corso una guerra fra Stato e difensori dell’ambiente. Dove spesso lo Stato si fa cane da guardia degli interessi privati. Mentre chi viene accusato di rifiutare il progresso in relazione a egoismo, localismo e ignoranza, in realtà si oppone a quel modello economico globale palesemente ingiusto che sta portando il pianeta al collasso. In questi giorni dal Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC ) arriva l’ennesimo allarme: l’obbiettivo concordato a Parigi nel 2015 è già a rischio, bisogna ridurre ancora più drasticamente le emissioni di gas serra, o sarà catastrofe. Basta questo per capire chi sta dalla parte giusta.

* Fonte: Serena Tarabini, IL MANIFESTO

I LINK VIDEO

La Risoluzione finale

Ci siamo incontrati per tre giorni in Salento, ospiti del Transnational Institute, dell’Associazione Bianca Guidetti Serra, CEDEUAM- UniSalento e del Movimento No TAP per discutere e scambiare esperienze sulla “Guerra invisibile a chi difende la propria terra”.

Siamo accademici ed accademiche, attivisti e attiviste, avvocati ed avvocate, esperti di ogni parte del mondo che studiano o si trovano quotidianamente a vivere direttamente le conseguenze della stretta correlazione tra espansione delle attività estrattive e delle infrastrutture collegate e la cosiddetta “pacificazione”, strategia di repressione e criminalizzazione da parte degli stati e delle forze di polizia e sicurezza contro chi difende la terra e chi ci vive.

Qua in Salento come in Amazzonia, o in Inghilterra dove tre attivisti che protestavano contro le attività di fracking sono stati recentemente condannati a un anno e mezzo di reclusione. O come nella foresta di Hambach in Germania minacciata dall’espansione di una miniera di carbone o il territorio di Bure in Francia dove si vorrebbe costruire un impianto di stoccaggio di rifiuti nucleari.

Oggi per accedere a risorse chiave necessarie per alimentare l’attuale sistema di sviluppo sfruttano e occupano territori fragili dal punto di vista sociale ed ambientale, si sfruttano fonti di energia e minerali strategici, esternalizzando i costi del modello su comunità locali e indigene.

Quei territori vengono trasformati profondamente, militarizzati, vengono create di fatto zone di sospensione dei diritti di cittadinanza e di resistenza, ed al contempo agevolati gli investimenti delle industrie estrattive. Lo sono le zone economiche e di libero scambio lo diventano ora i luoghi nei quali si estraggono risorse e valore per i mercati globali. Territori che vengono militarizzati, alla stessa stregua delle frontiere, chiuse alla libera circolazione delle persone, aperte ai capitali ed agli investimenti.

Esiste una stretta relazione tra chi lotta contro l’estrattivismo, e chi si impegna per salvare vite, proteggere i diritti di chi migra, spesso espulso dalla propria terra a causa delle ricadute dirette o indirette dell’estrazione di risorse, o degli impatti ambientali e climatici da essa provocati.

Chi difende i migranti viene oggi criminalizzato e perseguito alla stessa stregua di chi protegge la terra e l’ambiente.

Esiste un nesso indissolubile quindi tra l’attuale fase del capitalismo estrattivista, la sua espansione, la distruzione dell’ambiente della Madre Terra in ogni parte del Pianeta, la repressione e la securitizzazione dello spazio pubblico, e la criminalizzazione di chi difende la terra, della famiglia umana presente e futura. Come dimostrano gli ultimi dati dell’organizzazione Global Witness si registra un aumento delle uccisioni di difensori della terra (207 nel 2017) connesso all’impatto delle attività di estrazione mineraria e agribusiness la maggior parte delle quali erano leader indigeni e indigene. Proprio come Berta Caceres, donna, indigena e difensora della terra honduregna uccisa 31 mesi fa per il suo impegno a difesa della terra del suo popolo. O come Santiago Maldonado, desaparecido ed ucciso mentre era impegnato in solidarietà con il popolo Mapuche in Argentina. O il leader Mapuche Rafael Nahual fucilato nella sua comunità.

Proprio dal Salento, dove movimenti e comunità locali da anni lottano per opporsi al progetto della Transadriatic Pipeline (TAP) ed altre forme di sfruttamento predatorio del territorio:

Esprimiamo la nostra solidarietà ed il nostro sostegno a chi oggi in ogni parte del mondo lotta per la propria dignità, il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente, per i diritti della Madre Terra, per i difensori e le difensore dei diritti umani e dell’ambiente;

Lanciamo una rete per mettere in connessione e condividere informazioni, esperienze e pratiche di chi oggi nelle università e centri di ricerca approfondisce le ricadute dei modelli di “pacificazione” e repressione connessi all’estrattivismo, ed i movimenti e le comunità, che resistono all’estrattivismo e ne subiscono le conseguenze. Una rete di collaborazione, scambio, apprendimento reciproco su vertenze e lotte comuni a livello locale in Italia ed a livello internazionale.

Ci appelliamo al Tribunale Permanente dei Popoli ed al Tribunale per i Diritti della Natura affinché si consideri la convocazione – il prossimo anno – di una sessione specifica sui Difensori della Terra, che offra una piattaforma di denuncia della repressione e delle violazioni dei diritti dei popoli e della natura correlate alle varie forme di estrattivismo in ogni parte del mondo. E che faccia tesoro del lavoro del Tribunale Permanente dei Popoli sui diritti dei migranti, e del Tribunale sui Diritti della Natura tuttora in corso.

Proponiamo che dal Salento, dai suoi sindaci che accompagnano la resistenza alla TAP parta un’iniziativa di accoglienza e rifugio per chi ha bisogno di lasciare il proprio paese temporaneamente, per continuare nel proprio impegno, qualora le minacce e le pressioni mettano a rischio la propria incolumità, e per rafforzare legami e alleanze.

Borgagne 7 ottobre 2018

Gli organizzatori, i relatori e i partecipanti del workshop su:

“POLICING EXTRACTIVISM: SECURITY, ACCUMULATION, PACIFICATION”

FONTE 

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