Una delle spiagge più belle della Sicilia sta perdendo il suo caratteristico candore. La denuncia arriva dallʼassociazione Mareamico.

La suggestiva spiaggia della “Scala dei Turchi”, in provincia di Agrigento, ha perso parte del suo inconfondibile candore, tipico di quella particolare roccia, la marna. L’associazione ambientalista Mareamico è stata la prima a constatare la presenza di vene di colore rossastro che percorrono in più punti la roccia. Ora l’Arpa (Agenzia siciliana per la Protezione Dell’Ambiente) sta indagando alla ricerca delle cause di questo fenomeno.

Tra le ipotesi varate dall’associazione ambientalista mareamico c’è la possibilità che si tratti di una comune ruggine (ossido di ferro) portata a riva dalle maree, dopo la pulizia delle stive di qualche nave di passaggio. Oppure potrebbe trattarsi di alghe che si sono moltiplicate nell’ultimo periodo. Di certo la speranza di tutti è che si tratti di un fenomeno transitorio che non intacchi la bellezza di questo luogo.

“Scala dei Turchi” – Candidatasi negli ultimi anni a diventare Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, la spiaggia è una tra le più suggestive della Sicilia per la sua parete rocciosa che si erge a picco sul mare lungo la costa tra Realmonte e Porto Empedocle, in provincia di Agrigento. Ogni anno si registrano più di 700mila presenze, più di quelle della Valle dei Templi. La sua popolarità è stata ulteriormente accresciuta dai romanzi sul commissario Montalbano di Andrea Camilleri, ambientati in questi luoghi.

http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/sicilia/agrigento-la-scala-dei-turchi-da-bianca-e-diventata-rossa_3057995-201702a.shtml

Aggiornamento: Primi risultati: Assodata la presenza di un quantitativo enorme di ferro.
Adesso verificheremo la presenza di sostanze organiche e di altri metalli, come titanio, cromo e piombo”. E’ quanto riferito dal direttore dell’Arpa di Agrigento Salvatore Montana al Giornale di Sicilia.

 

Oppure potrebbe trattarsi di un rilascio intenzionale?

Fertilizzare gli oceani

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(articolo del 2007)

Dal rapporto IPCC di Bangkok sono emerse delle possibilità per combattere la CO2, una di queste è la fertilizzazione degli oceani.

Si è pensato di trasferire in mare il concetto di cattura del carbonio dalla CO2 delle piante terrestri in crescita, funzione che può essere operata dalle microalghe del fitoplancton: queste sono responsabili di almeno la metà del processo di fotosintesi su scala globale e quindi hanno già influenza sulla quantità di CO2 nell’atmosfera.

Ad oggi si è notato come queste microalghe siano sempre più rade, gli scienziati hanno quindi pensato di fertilizzare gli oceani immettendo ferro.

In generale negli oceani la crescita di fitoplancton è limitata da azoto, fosforo e silicio disponibili, ma in alcuni oceani come il Pacifico equatoriale e l’Oceano Meridionale questi elementi sono abbondanti e la scarsa produzione di fitoplancton è data dall’esaurimento di sostanze ferrose.
Il ferro viene trasportato dal vento come pulviscolo metallico, in quantità che cambiano con il mutare delle condizioni sulla terra ferma, come lo scioglimento dei ghiacciai.

Già nel 1993 un equipe condusse un esperimento nell’oceano Pacifico equatoriale e notarono come, in cambio di centinaia di kg di composto ferroso, fiorì fitoplancton.
Ad ottobre 2006 sono stati fatti degli esperimenti proprio nell’oceano meridionale con il SOIREE
(Southern Ocean Iron RElease Experiment), liberando 8500 kg di un composto ferroso in un area di 8 km.

Gli stessi esperimenti sono stati condotti anche in Mediterraneo tra Israele e Cipro, con la partecipazione della professoressa Nadia Pinardi responsabile del laboratorio di oceanografia marina dell’ INGV: anche in questo caso la fioritura avvenne, ma ci fu un massiccio attacco da parte dei pesci mangiatori di microalghe.

Tutt’ ora, in nuova Zelanda, si stanno testando gli stessi esperimenti per capire se anche qui la fertilizzazione funzioni, poiché gli oceani del mondo hanno diversi comportamenti in circolazione , composizione di specie ed elementi nutritivi.
In Gran Bretagna, si sta anche studiando cosa accade in situazioni di carenza di ferro durante i cambiamenti climatici, prima e dopo le epoche glaciali. Già dai primi studi si è compreso che i cambi di disponibilità di pulviscolo ferroso alla fine delle epoche glaciali, spiegano metà dell’incremento di CO2 nell’atmosfera.

In teoria, se la fertilizzazione degli oceani potesse avvenire con la semplice introduzione di ferro, tramite la fioritura di fitoplancton si potrebbe attenuare l’effetto che l’uomo sta producendo sul clima.
Ma fertilizzare gli oceani non è una banalità, oltre ad evitare il semplice problema dell’attacco di pesci bisogna tenere conto che non sappiamo quali potrebbero essere gli effetti a lungo termine di una fertilizzazione oceanica, si potrebbero creare più problemi di quelli che ora dobbiamo risolvere, come afferma anche Sallie Chisholm del Massachusetts Institute of Tecnology.

L’Ecosistema marino costiero e profondo, di qualsiasi oceano non è ancora del tutto compreso ed ogni studio, ogni immersione porta alla luce nuove scoperte questioni cui si deve tenere conto prima di pensare che del Ferro possa risolvere tutti i problemi di CO2.
Bisogna valutare tutti i pro e i contro di questa geoingegneria prima di servirsene in modo superficiale…

Francesca Pratal 

FONTE http://www.ecoblog.it/post/3414/fertilizzare-gli-oceani

Nell’estate del 2012 il progetto di un imprenditore statunitense, che ha disperso 100 tonnelate di solfato di ferro al largo delle coste canadesi, ha acceso il dibattito intorno alla controversa tecnica. Questo è avvenuto nonostante che nel 2008 è stata istituita una moratoria internazionale per garantire che le attività di fertilizzazione non vengano svolte senza prima aver raggiunto solide basi scientifiche.

Tonnellate di ferro in mare per ridurre la concentrazione di CO2

http://www.ipsema.gov.it/salastampa/News/news788762

 

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