Sebastiao Salgado con la moglie Lelia
Vedere la speranza. C’è sempre la possibilità di sperare per l’umanità. C’è la speranza di non arrendersi mestamente alle brutture della vita e al malvagio che a volte c’è negli uomini. Come c’è la speranza di ripiantumare una foresta, negli anni desertificata, e vederla tornare alla vita. Questo è il cammino – professionale e umano – di un fotografo come Sebastião Salgado.
Si può rimediare agli errori dell’uomo.
L‘Instituto Terra è il risultato di un’iniziativa ambiziosa incominciata alla fine del 1990 da Sebastião Salgado e sua moglie Lèlia: porre rimedio alla devastazione ambientale in ed intorno ad un ranch acquistato dalla famiglia di Sebastião Salgado, vicino alla città di Aimorés, nello stato brasiliano di Minas Gerais, per restituire la proprietà al suo stato naturale di foresta pluviale subtropicale. Hanno reclutato partner, raccolto fondi e, nell’aprile 1998, hanno fondato l’Instituto Terra, un’organizzazione ambientalista dedicata allo sviluppo sostenibile della Valle del Fiume Doce. Da allora, il sogno della coppia ha già dato molti frutti. Grazie al lavoro dell’Instituto Terra, la zona è ora stata dichiarata patrimonio naturale: circa 17.000 ettari di terreni disboscati e gravemente erosi, in un ampio tratto della valle del fiume Doce hanno subito una notevole metamorfosi.
Più di quattro milioni di piantine di molteplici specie native del Brasile, ed in particolare della foresta atlantica sono state allevate nel vivaio dell’Istituto. Queste piante rimboscano adesso quello che è stato a lungo conosciuto come Fazenda Bulcão della famiglia Salgado. Instituto Terra sta contribuendo ai programmi di ripristino ambientale analoghi nelle aree circostanti. Partiti da uno stato di avanzato degrado naturale, questo ranch è stato trasformato in un bosco fertile, con la flora e la fauna che per millenni avevano costituito la Foresta Atlantica, uno dei più importanti depositi al mondo di specie naturali.
L’esperienza dimostra che, con il ritorno di vegetazione ed acqua da sorgenti naturali, specie animali brasiliane, a rischio di estinzione, hanno trovato un rifugio sicuro. Fondata nell’aprile 1998, l’Instituto Terra è una comunità senza scopo di lucro, un’organizzazione non governativa che opera in tutto il territorio della Valle del fiume Doce tra gli stati di Minas Gerais e Espírito Santo, una regione che per secoli ha sofferto di deforestazione dilagante e sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, in particolare minerali di ferro. Le siccità conseguenti e gravi erosioni del terreno hanno avuto un impatto devastante sulle condizioni di vita della popolazione rurale della regione. L’istituto ha definito i suoi obiettivi, come il ripristino dell’ecosistema, la produzione di piantine di Foresta Atlantica, programmi di sensibilizzazione ambientale, educazione ambientale e ricerca scientifica applicata. L‘ Instituto Terra gestisce 1.754 ettari, 1.502 dei quali sono stati dichiarati un patrimonio naturale privato. Lo stato di Minas Gerais ha istituito la categoria della riserva privata per il Restauro Ambientale per incoraggiare altri proprietari privati a fare altrettanto. (vedi)
Il sale della terra(2014)
Il film racconta l’universo di un grande artista del nostro tempo, il fotografo Sebastião Salgado. Magnificamente ispirato dalla potenza lirica della fotografia di Sebastião Salgado, Il sale della terra è un documentario monumentale, che traccia l’itinerario artistico e umano del fotografo brasiliano. Co-diretto da Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, figlio dell’artista, Il sale della terra è un’esperienza estetica esemplare e potente, un’opera sullo splendore del mondo e sull’irragionevolezza umana che rischia di spegnerlo. Alternando la storia personale di Salgado con le riflessioni sul suo mestiere di fotografo, il documentario ha un respiro malickiano, intimo e cosmico insieme, è un oggetto fuori formato, una preghiera che dialoga con la carne, la natura e Dio. Quella di Salgado è un’ epopea fotografica.
Viaggiatore irriducibile, Sebastião Salgado ha esplorato ventisei paesi e concentrato il mondo in immagini bianche e nere di una semplicità sublime e una sobrietà brutale. Interrogato dallo sguardo fuori campo di Wenders e accompagnato sul campo dal figlio, l’artista si racconta attraverso i reportages che hanno omaggiato la bellezza del pianeta e gli orrori che hanno oltraggiato quella dell’uomo. Fotografo umanista della miseria e della tribolazione umana, Salgado ha raccontato l’avidità di milioni di ricercatori d’oro brasiliani sprofondati nella più grande miniera a cielo aperto del mondo, ha denunciato i genocidi africani, ha immortalato i pozzi di petrolio incendiati in Medio Oriente, ha testimoniato i mestieri e il mondo industriale dismesso, ha perso la fede per gli uomini davanti ai cadaveri accatastati in Rwanda e ‘ricomposti’ nella perfezione formale e compositiva del suo lavoro. Un lavoro scritto con la luce e da ammirare in silenzio.
Nato nel 1944 ad Aimorés, nello stato di Minas Gerais, da cui parte ancora adolescente, spetta al figlio Juliano documentarne la persona attraverso foto e home movies, ricordi e compendi affettivi di incontri col padre, sempre altrove a dare vita (e luce) al suo sogno. Un sogno che per potersi incarnare deve confrontarsi appieno col reale. A Wenders concerne invece la riproduzione dei suoi scatti, che ritrovano energia e fiducia nella natura, le sue foreste vergini, le terre fredde, le altezze perenni. Il regista tedesco, straordinario ‘ritrattista’ di chi ammira (Tokyo-Ga, Buena Vista Social Club, Pina Bausch), converte in cinema le immagini fisse, scorre le visioni e la visione di un uomo dentro un mondo instabile….(vedi)
Il sale della terra racconta una incredibile avventura visiva attraverso una serie di progetti fotografici che durano anni, che mostrano il processo di studio e comprensione dell’uomo, come una vera missione: quella di essere testimone del genere umano, di volgere lo sguardo e prestare attenzione all’umanità. La sua testimonianza è una preghiera che dialoga con la carne, con le passioni, con la sopravvivenza, con la natura e con Dio.
In viaggio per più di cento paesi, Sebastião Salgado crea reportage di impianto umanitario e sociale. Dal 1973 lavora senza sosta, dedica mesi, se non addirittura anni, a sviluppare e approfondire i suoi progetti. Le tematiche che gli stanno a cuore sono l’impulso che lo sostengono senza cedimenti, anche nei momenti di grande fatica .
Nel 1973 realizza un reportage sulla siccità del Sahel, uno sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in Europa. Nel 1974 la rivoluzione in Portogallo e la guerra coloniale in Angola e in Mozambico. Per sei lunghi anni, si dedica al progetto Other Americas documento straordinario sulla vita delle campagne dell’ America Latina. Salgado come lui stesso testimonia rimane impressionato da come gli uomini che vivono da quelle parti siano gli unici a vivere il tempo per come è. Durante i sei anni successivi Salgado concepisce e realizza un progetto sul lavoro nei settori di base della produzione. Il risultato è la pubblicazione a mano dell’uomo”(1993).Dal 1993 al 1999 Salgado lavora sul tema delle migrazioni umane. Racconta il disagio degli esodi per paura della guerra. Vive tra i rifugiati in Congo fotografa cadaveri accatastati in Rwanda. la fuga di interi popoli, osservarli morire di stenti o di malattie in modo così massiccio, vedere padri seppellire i propri figli. Il fotografo testimonia per anni l’orrore e i genocidi in Africa.
L’esperienza lo lascia profondamente segnato e depresso, quasi non avesse più la forza di andare avanti, tanto la follia umana lo aveva annichilito.
Tra le varie recensioni, nessuno sottolinea come fa invece Wenders nel suo documentario, che la vita di questo grandissimo testimone sia stata l’ esempio mirabile di come alla visione di tanta morte e devastazione si possa contrapporre la volontà umana di ricostruire.
Salgado non è mai stato da solo, la sua anima, la persona che stava a casa a ricevere le sue foto, ad impaginarle nei suoi libri, a progettare, a venderle ed a organizzare le grandi mostre, a crescere i figli di cui uno nato con un grave handicap era la sua metà femminile, la sua straordinaria compagna Lelia Wanick Salgado….Mentre Sebastião andava per il mondo a scattare le foto raccontando degli uomini che depauperavano la terra e si dedicavano al massacro. Il padre, grande proprietario terriero aveva fatto come tutti: per denaro aveva tagliato l’intera foresta pluviale cresciuta nei territori di cui era proprietario. Ma con il tempo, la sua terra brulla, diventava sempre più arida, gli animali della Fazenda morivano perché non avevano nulla da mangiare, nulla da bere poiché pian piano i pozzi si erano essiccati. Il padre, in modo inconsapevole, aveva ridotto la sua proprietà in un deserto. Lo stesso deserto di speranze per il genere umano che si era creato dentro l’anima di Sebastião. Nel momento della crisi lavorativa ed esistenziale del fotografo entra in gioco.. la compagna Lelia Wanick ha una idea formidabile: impegnarsi con amore per far rinascere ciò che era morto. Così convince il marito a ripiantare l’intera foresta per trovare in questo grandioso impegno di ricostruzione una meravigliosa e rinnovata vitalità…
In definitiva insieme progettarono l’Instituto Terra, con lo scopo di ricreare, in Brasile, nei luoghi dell’infanzia del fotografo, la foresta pluviale cancellata da un miope egoismo .
«…Era ormai una terra bruciata; un territorio dove avrebbero potuto essere allevati decine di migliaia di capi di bestiame, ora era in grado di sostenerne appena qualche centinaia. Mia moglie Lélia (lei non è solo la curatrice delle mie esposizioni, dei miei libri, quella che di fatto progetta tutto questo, ma è la mia socia per tutto ciò che facciamo nella nostra vita) mi ha detto “Sebastião, visto che sostieni di essere nato in paradiso, perché non costruire – o ricostruire – veramente questo paradiso? Perché non ripristinare la foresta tropicale che una volta ricopriva questa superficie?” (vedi)
Così hanno deciso di provarci.
Lelia e Sebastião hanno piantato insieme agli amici un milione di piccoli alberelli che in soli 15 anni sono diventati rigogliosi e hanno dato non solo dignità al posto, ma è tornata l’acqua, sono tornati gli animali selvatici, è tornata la vita, la bellezza e la speranza. La coppia ha reso reale il racconto allegorico de “L’uomo che piantava gli alberi” (titolo originale: L’homme qui plantait des arbres), conosciuto anche come La storia di Elzéard Bouffier di Jean Giono (1953).
La vita e la natura hanno restituito il nutrimento all’anima di Salgado che ha trovato di nuovo il desiderio di ricominciare a fotografare.L’ ultimo suo incredibile lavoro si chiama Genesis: omaggio alla Terra e alle sue creature.Wenders sa dove girare lo sguardo, capire il vero significato delle cose. Nel suo racconto ha voluto mostrare che la grandezza dell’uomo sta nell’ equilibrio tra l’azione maschile e la coscienza dell’anima del femminile che trova il senso e la giusta direzione in tutte le azioni . Per questo non gira mai da solo, ma tutte le sceneggiature, le idee, i suoi film, Wenders li condivide con la sua compagna. (vedi)
TRAILER
Instituto Terra
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