Foto della conchiglia di Nautilus: una spirale logaritmica di altissima raffinatezza
Si parla tanto di intelligenza artificiale e troppo poco di quella naturale.
Un memorandum alla natura – sul sapere silenzioso della vita
di Hans-Jörg Müllenmeister
La ragione intrinseca della natura non è un libro aperto. È un soffio fugace, non direttamente accessibile, tanto meno lo è il principio creativo della vita. Possiamo solo intuirlo, dedurlo da ciò che si manifesta, senza riuscire a spiegarlo: attraverso modelli, ripetizioni, il linguaggio silenzioso delle forme. La natura non parla in parole. Parla in spirali, in frattali, in divisioni cellulari e reticoli cristallini. Sono espressioni di un ordine che ci appare al contempo estraneo e familiare, come una melodia dimenticata che canticchiamo d’istinto. Ci avviciniamo a una ragione che non si rivela, ma si dispiega. Non è rumorosa, ma silenziosa; non spiega, ma agisce. Si tratta della profonda intelligenza del vivente: un’intelligenza che non si esprime in algoritmi, ma nella capacità di trarre il meglio dal possibile. Già Aristotele parlava di un’“intelligenza del divenire”, non del volere. Non troveremo risposte definitive, ma forse una comprensione più profonda del fatto che la natura non solo esiste, ma sa esattamente ciò che fa. Oggi riconosciamo un’intelligenza emergente, nata dall’interazione di forze, forme e memoria, come il comportamento collettivo degli stormi di uccelli. La natura non pensa come noi, ma agisce come se sapesse cosa è possibile e come portarlo a compimento. Viviamo nella tensione tra conoscenza ed enigma, tra scienza e meraviglia.
Citazione: “La natura non parla in parole. Non in numeri. Ma chi ascolta riconosce: pensa, senza pensieri.”
Risonanza e memoria
Tutto è in relazione, in risonanza: acqua, luce, stelle, anche noi. L’intelligenza risiede nell’interazione, non nel singolo. Un albero “sa” quando deve fiorire, non attraverso il pensiero, ma attraverso la sua connessione a un insieme più grande. Nella natura non esiste un aut-aut, ma un insieme di entrambi. Caos e ordine danzano insieme, non l’uno contro l’altro. L’evoluzione è un ricordare possibilità che sono sempre esistite. Mistici, poeti e popoli indigeni hanno percepito questa intelligenza, non come qualcosa da possedere, ma come qualcosa che ci attraversa. Forse ciò che chiamiamo “coscienza” è solo un piccolo frammento di questa intelligenza più profonda, un raggio di luce proveniente da un corpo solare molto più grande.
La firma del vivente
Alcune forme della natura sembrano indizi misteriosi, come se avessero qualcosa da dirci. Ad esempio, il fagiolo rosso, che ricorda sorprendentemente la forma del rene umano, è stato tradizionalmente usato come rimedio per problemi renali. E in effetti, contiene sostanze vegetali secondarie e minerali che favoriscono la diuresi e supportano la funzione renale. Questa somiglianza non era solo simbolica, ma veniva interpretata come un segno divino, un principio classico della dottrina delle segnature.
La noce – un cervello in guscio
Due metà, separate da un solco centrale, come le emisfero del nostro organo del pensiero. La sua superficie rugosa ricorda le circonvoluzioni della corteccia cerebrale, quelle pieghe che nel cervello aumentano la superficie e quindi le capacità cognitive. La noce è più di un alimento: è un simbolo della connessione tra forma esteriore ed effetto interiore. Bastano poche noci al giorno per favorire la salute mentale, senza magia, solo con la biochimica.
L’eleganza della lunghezza
Organi accoppiati come braccia, gambe, reni o polmoni sono spesso simmetrici e allungati. Questa forma non è casuale, ma una necessità biomeccanica. Consente movimenti direzionali, ottimizza i processi di scambio e segue gli assi di crescita embrionale. La lunghezza non è un ornamento, è funzione. La geometria del divenire
Cosa spinge la natura verso spirali, favi e reti? È la ricerca dell’efficienza energetica e dell’eleganza funzionale. Le foglie delle piante si dispongono in spirali di Fibonacci, le conchiglie e le galassie seguono spirali logaritmiche, le ragnatele e i cristalli formano motivi regolari, le bolle di sapone minimizzano la tensione superficiale. Ma dietro queste forme c’è più della mera funzionalità.
Il Nautilus – Genio con sommo piacere
La conchiglia del Nautilus è più di un esempio di eleganza geometrica: è un modello di pensiero. La sua spirale non cresce per ambizione, ma per necessità. Non ha un obiettivo, solo una direzione. Non un progetto, ma un dispiegarsi. In essa si manifesta un’intelligenza che non pianifica, ma segue un ritmo intrinseco, il ritmo del divenire. È geniale perché non deve dimostrare nulla. È un piacere supremo perché mostra tutto senza spiegare. La conchiglia del Nautilus non cresce linearmente, ma in una spirale che rimane fedele a se stessa pur non essendo mai identica. Ogni nuova camera è memoria e progresso allo stesso tempo, un “ricordo geometrico” del divenire. Non è il prodotto di un piano, ma il risultato di un dispiegarsi ritmico. Nei sistemi complessi emergono modelli: non pianificati, ma improvvisati. La natura non compone, danza. E il Nautilus danza con lei, in una spirale silenziosa, in continua trasformazione, con una pazienza perfetta.
La natura danza, non calcola
La natura non pianifica. Si dispiega. Non dimostra nulla. Esiste. Ciò che riconosciamo come “matematico” è spesso solo la proiezione del nostro pensiero sul vivente. La lumaca, ad esempio, non è una matematica, ma cresce in una spirale logaritmica senza conoscerne la formula, con una precisione che stupisce anche i matematici.
Crescita come memoria
La natura ricorda, non consapevolmente, ma geneticamente. I modelli di successo vengono immagazzinati nel DNA, come un ballerino imprime i movimenti nella memoria muscolare. I geni sono coreografie della vita. Ciò che si è dimostrato valido viene tramandato, non attraverso un ricordo attivo, ma attraverso la selezione. La natura continua a danzare, passo dopo passo, forma dopo forma.
Non un’origine, ma un insieme
La natura non pensa in modo lineare, non in una sequenza “prima A, poi B”. Tesse sviluppi come un canto polifonico, in cui causa ed effetto si fondono. Un esempio: il colibrì dal becco a spada e il fiore della passione. Il fiore modella il becco, il becco modella il fiore: un dialogo evolutivo, un passo a due, non un progetto unilaterale. Anche l’espansione del cervello umano non è stata un miracolo, ma una pietra miliare silenziosa in un lungo cammino di divenire. Ma dove ci conduce questo cammino? La nostra arroganza rischia di portarci fuori strada, lontano dall’equilibrio, lontano dalla meraviglia. Perché la natura risponde. Non in modo prevedibile, non sempre con dolcezza. A volte risponde con un balzo nell’ignoto, non come punizione, ma come correzione.
Processi micro e macro insondabili
Gli organismi – funghi, piante, animali o esseri umani – sviluppano la loro forma autonomamente, attraverso processi interni. Sono interconnessi e si influenzano a vicenda. Questo fenomeno della morfogenesi non si limita agli esseri pluricellulari. Descrive l’emergere di un ordine spaziale tra macromolecole, organelli cellulari, cellule, tessuti e organi. Le macromolecole e i loro aggregati spesso formano strutture ordinate “da sole”, solo grazie alle loro proprietà molecolari. È un divenire silenzioso, che non si impone, ma si dispiega. Un esempio straordinario:
La forma del cuore – un capolavoro biologico, non un cuore casuale
La forma del cuore non è un prodotto casuale, ma il risultato di un’interazione orchestrata tra genetica, comportamento cellulare e forze fisiche. Un embrione inizia come un piccolo ammasso di cellule. Poi accade: i geni, come direttori d’orchestra, danno il ritmo, determinando quali cellule si attivano, si dividono, migrano o si specializzano. Geni specifici per il cuore attivano programmi che trasformano le cellule in cellule muscolari cardiache. Cellule da diverse regioni dell’embrione si riuniscono e formano un tubo cardiaco iniziale. Questo tubo inizia a piegarsi e a modellarsi: è il momento magico in cui nasce la forma tipica del cuore, con atri, ventricoli e setti. Il cuore inizia a battere presto, prima ancora di essere completamente formato. Questi movimenti ritmici generano pressione e flusso, che a loro volta influenzano la forma, come un palloncino che si modella con la pressione dell’aria. Le cellule rispondono al loro ambiente: dove c’è più tensione o pressione, cambiano forma o posizione. Così si formano valvole cardiache, pareti muscolari e vasi sanguigni, non attraverso un piano rigido, ma tramite un’interazione dinamica. Certo, la scienza descrive. Ma resta un grande “ma”: spiega il processo, non il significato.
L’ultima domanda
Da dove “sa” tutto questo la natura? Non lo sa consapevolmente, ma lo trova. Le forme che funzionano meglio si affermano. L’energia segue il percorso di minor resistenza. I sistemi creano modelli che sembrano matematicamente ottimali. La natura è un ottimizzatore geniale. Non dimentica. Danza ciò che le è riuscito una volta e aggiunge ciò che le riesce di nuovo. Conclusione: L’umiltà di fronte al vivente
Viviamo in un’epoca in cui crediamo di poter misurare, calcolare e controllare tutto. Ma la natura opera ben oltre questa presunzione. Non è un meccanismo facilmente comprensibile, ma un processo vivente che si dispiega, spesso al di là della nostra comprensione. Le forme del vivente non sono mere strutture. Sono l’espressione di un’intelligenza che non pensa, ma agisce. Di una saggezza che non parla, ma danza. Di una memoria che non conserva, ma trasforma. L’umiltà non significa sottomissione, ma riconoscimento: siamo parte di un contesto più grande, immersi in una rete di risonanza, cambiamento e divenire. La natura non è il nostro opposto, ma la nostra origine, il nostro specchio, il nostro “essere con”. Se le ascoltiamo – non solo con strumenti tecnici, ma con meraviglia – inizia un altro tipo di comprensione. Una che non mira al dominio, ma alla relazione. Perché chi riconosce davvero la natura, riconosce anche se stesso: non come padrone, ma come ospite. Forse questa è la forma più profonda di intelligenza: sapere di non sapere tutto. E tuttavia fidarsi che la vita sa ciò che fa. Siamo ospiti nella sua casa, non i costruttori. Parte del suo canto, non i direttori. Eppure crediamo di sapere dove inizia, dove finisce, dove sbaglia. Ma la natura non sbaglia. Tasta, prova, impara – non come noi, ma in modo più profondo, più cauto, più saggio. L’umiltà significa non voler spiegare tutto. L’umiltà significa onorare il suo mistero. Perché ciò che la natura ha realizzato una volta, non lo dimentica. Continua a danzarlo. E aggiunge ciò che le riesce di nuovo.
Il tanto agognato “spirito” nel Faust di Goethe lo esprime così:
“Un intreccio mutevole,
Una vita radiosa,
Così creo al telaio turbinoso del tempo,
E tesso il vestito vivente della divinità.”
[Link originale:https://www.anderweltonline.com/wissenschaft-und-technik/wissenschaft-und-technik-2025/formen-und-intelligenz-des-lebendigen/ ]
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