Il 17 settembre 2025, l’Università di Milano-Bicocca ha ospitato la Conferenza Internazionale “Neurotechnology in the Age of Human Rights”, un evento organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza per esplorare le implicazioni etico-giuridiche delle neurotecnologie sui diritti umani. Tra i relatori, Rachael McIntosh, fondatrice della Foundation for Bioethics in Technology (bioethics.tech), ha offerto un contributo significativo con il suo intervento “Guerra Cognitiva e Neurodiritti”. La relatrice statunitense ha denunciato i rischi della raccolta non consensuale di neurodata (es. tramite AI e 5G) e della “guerra cognitiva”, proponendo azioni come educazione pubblica, consenso informato e leggi per proteggere la sovranità cognitiva. Il sito della sua fondazione promuove bioetica e advocacy per contrastare gli abusi tecnologici, in linea con il dibattito globale sui neurodiritti.

Rachael McIntosh è una ricercatrice, attivista e fondatrice della Foundation. Ha un background in bioetica, diritto internazionale e scienze cognitive, con un focus su come le tecnologie invasive (come interfacce neurali, AI per la lettura del cervello e reti 5G/6G) minaccino la “sovranità cognitiva” – ovvero il diritto autonomo al controllo dei propri pensieri, emozioni e dati neurali.

IN DIFESA DELLA SOVRANITÀ COGNITIVA  – GUERRA COGNITIVA E NEURODIRITTI 

Intervento di Rachael McIntosh*

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È un grande onore per me, in qualità di unica relatrice statunitense in questa categoria, rivolgermi a questo illustre pubblico internazionale su una delle questioni più urgenti del nostro tempo.

Mi chiamo Rachael McIntosh. Sulla base della mia esperienza nel campo degli appalti per la difesa, il governatore del mio Stato, che in seguito è diventato Segretario al Commercio degli Stati Uniti, mi ha nominata membro della Commissione per lo studio della geoingegneria del Rhode Island (USA).

Ciò che ho scoperto in quella sede mi ha spinto a dare vita alla Fondazione per la Bioetica nella Tecnologia, che si ispira a un unico principio: il progresso senza principi è un disastro.

La presentazione di oggi si intitola “LA SOVRANITÀ INIZIA NELLA MENTE”.

Ma vorrei chiarire cosa intendo per sovranità. Non mi riferisco alla sovranità dello Stato o al controllo territoriale, bensì alla sovranità cognitiva individuale, ovvero il diritto fondamentale al controllo autonomo dei propri processi mentali, dei propri dati neurali e della privacy dei propri pensieri. Questa forma basilare di sovranità umana è oggetto di attacchi sistematici.

In questo momento, mentre siamo seduti qui, interfacce cervello-computer, telecamere in grado di rilevare le emozioni e sistemi di intelligenza artificiale addestrati sulle nostre conversazioni private stanno passando dai laboratori di ricerca alle nostre aule, ai nostri luoghi di lavoro e alle nostre case. I dati di tracciamento oculare del vostro smartphone, la variabilità della frequenza cardiaca del vostro smartwatch, persino il modo in cui disturbate i segnali Wi-Fi mentre attraversate una stanza: tutto questo crea ciò che i ricercatori chiamano “biodati” e “neurodati”, informazioni biologiche e neurali che rivelano i vostri stati interiori.

Questi dati non si limitano a osservare ciò che fate. Entrano dentro di te, mappando le tue intenzioni, i tuoi pensieri ancora non del tutto elaborati, le tue risposte emotive più profonde. Ed ecco la verità inquietante: nessun organo democraticamente eletto ha mai votato per consentire questa raccolta dei segnali più intimi del cervello umano.

Ma c’è qualcosa di ancora più preoccupante. L’infrastruttura stessa è quella che chiamiamo Dual Use, “a duplice uso”: le stesse torri cellulari, le antenne, i radar meteorologici e i sistemi satellitari che forniscono servizi per le comunicazioni civili consentono contemporaneamente lo svolgimento di funzioni militari di puntamento, sorveglianza e comando. Questo non è casuale. Dai Radar Doppler agli Array 5G, abbiamo sistemi di comunicazione, meteorologia e sistemi d’arma deliberatamente intrecciati, che confondono il confine tra servizio civile e atti di guerra. La stessa infrastruttura che promette di connetterci è la linfa vitale di un sistema di controllo tecnocratico.

Questo mi tocca da vicino. Nel mio Stato, il Rhode Island, il nostro ex governatore ha offerto il suo stato come banco di prova per il 5G, senza interpellare l’opinione pubblica. Le strutture wireless sono state collocate proprio di fronte agli studentati e nei quartieri popolari. Ai residenti non è stato riconosciuto il diritto di opporsi, né la possibilità di spegnerle, né alcuna possibilità di ricorso.

Abbiamo scoperto che l’infrastruttura promessa come tecnologia per la Smart City, la “città intelligente” è in grado di svolgere contemporaneamente attività di sorveglianza biometrica, previsione comportamentale e quella che la NATO ora chiama “guerra cognitiva”: sistemi progettati non solo per influenzare ciò che le persone pensano, ma anche per alterare il loro modo di pensare.

Ci troviamo di fronte a qualcosa senza precedenti nella storia dell’umanità.

Con il calo dei tassi di fertilità globali al di sotto dei livelli di reiitegrazione, la mente di ogni individuo diventa esponenzialmente più preziosa. Ogni prospettiva, ogni modello neurodivergente, ogni sfumatura dell’immaginazione umana è una risorsa non rinnovabile.

Eppure, proprio mentre il nostro numero si riduce, si sta espandendo un apparato industriale che raccoglie le nostre vite interiori. Gli stessi sistemi di intelligenza artificiale che ora regolano l’istruzione, la sanità e l’occupazione sono stati costruiti utilizzando anni di conversazioni, comportamenti e dati biometrici raccolti senza la nostra consapevolezza o il nostro consenso.

Pensateci: se cediamo la diversità non filtrata del pensiero umano all’estrazione algoritmica, rischiamo di progettare un futuro in cui la creatività è omogeneizzata e il dissenso è previsto e neutralizzato prima ancora di poter essere espresso.

Ma c’è speranza, ed essa parte a livello locale. Quattro stati degli Stati Uniti —California, Colorado, Montana e Connecticut — hanno già promulgato leggi che riconoscono i dati neurali come una categoria sensibile che richiede una protezione esplicita. Il Cile ha modificato la sua costituzione nel 202ì per proteggere i neurodiritti.

Questa è la prova che possiamo agire. Ma abbiamo bisogno di qualcosa di più che principi ambiziosi: abbiamo bisogno di protezioni reali, attuabili e applicabili a livello locale.

Ecco cosa possiamo fare:

In primo luogo, educazione e consapevolezza. Non dovrebbe essere necessario un dottorato di ricerca per comprendere o proteggere la propria mente. Dobbiamo rendere i neurodiritti comprensibili e accessibili a tutti: genitori, insegnanti, studenti, anziani.

In secondo luogo, il consenso informato. Ogni piattaforma che interagisce con la cognizione umana deve essere trasparente sui dati che raccoglie e su come li utilizza. Basta con le clausole scritte in caratteri minuscoli per i sistemi in grado di leggere i nostri pensieri.

Terzo, azione locale. Le comunità devono avere il diritto di rinunciare completamente ai sistemi che estraggono neurodati o le espongono a radiazioni nocive. Devono esistere spazi sicuri, sia fisici che digitali, dove le persone siano libere da algoritmi manipolatori.

Quarto, bioetica fin dalla progettazione. Proprio come il design universale ha reso gli spazi fisici più sicuri e accessibili, gli ambienti digitali e neurali devono dare priorità alla sicurezza, all’inclusione e a1l’azione umana fin dall’inizio.

La sfida che dobbiamo affrontare va ben oltre la privacy individuale. Con le infrastrutture 5G e 6G, l’lnternet dei corpi e ora l’Intenet delle menti, i nostri ambienti stanno diventando saturi di tecnologie che emettono inquinamento da radiazioni elettromagnetiche mentre elaborano segnali neurali e modellano il comportamento umano, spesso senza il consenso pubblico né quello  scientifico imparziale sulla sicurezza.

Ma ecco cosa mi dà speranza: proprio le persone i cui dati hanno contribuito ad addestrare questi sistemi, senza che ne fossero consapevoli o avessero dato il loro consenso, ora chiedono di avere un ruolo significativo nel determinare come vengono governati.

Alla Fondazione per la Bioetica nella Tecnologia, stiamo lavorando per rendere possibile tutto questo. Stiamo aiutando le comunità a comprendere queste tecnologie, a sostenere una legislazione protettiva e a preservare quello che credo sia il diritto umano più fondamentale: il diritto di pensare liberamente.

Il documento completo che riporta questi risultati, con oltre 175 riferimenti accademici e politici, è disponibile per chi desidera esaminare le prove in dettaglio.

La tua mente appartiene solo a te. Deve rimanere impermeabile all’estrazione, alla modifica o alla valutazione di mercato.

La libertà cognitiva non è negoziabile. Non è una preoccupazione futura, è un’esigenza urgente e attuale

Il futuro della coscienza umana si sta decidendo proprio ora, nelle sale riunioni delle aziende e nelle riunioni sugli standard internazionali. Ma non deve essere deciso senza di noi.

La sovranità inizia nella mente. La domanda che ci poniamo è se agiremo per preservarla.

Rimaniamo umani, tutti quanti!

* Intervento svolto il 17 settembre scorso in occasione della CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLE NEUROTECNOLOGIE NELL’ERA DEI DIRITTI UMANI, organizzata dal Dipartitmento di Giurisprudenza dell’Università Bicocca di Milano 

FONTE https://www.sollevazione.it/2025/09/guerra-cognitiva-e-neurodiritti-di-rachael-mcintosh.html

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https://www.democrats.senate.gov/newsroom/press-releases/as-neurotechnology-outpaces-existing-protections-leader-schumer-and-senators-cantwell-and-markey-introduce-legislation-to-shield-americans-brain-data-from-exploitation

 https://www.ftc.gov/news-events/news/press-releases/2025/09/ftc-launches-inquiry-ai-chatbots-acting-companions

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