Fuga da Mosca: ecco le grandi aziende che abbandonano la Russia
Un vero e proprio esodo di massa da Mosca, dall’energia ai trasporti, dall’auto ai servizi. Ikea, Volkswagen, Lego, Netflix, Toyota, Apple, Bp, Shell, Maersk, Volvo e Netflix interrompono il business
Perché l’invasione dell’ Ucraina è un atto di guerra intollerabile ed è talmente destabilizzante che restare sul mercato russo nel lungo periodo sarebbe anche dannoso per gli azionisti. È con queste motivazioni che un numero crescente di imprese multinazionali nel giro di pochi giorni ha annunciato clamorosi passi indietro dalla Russia: chiusura di joint venture pluri-decennali, abbandono di nuovi progetti, rimpatrio dei dipendenti. Quello che sta andando in scena è un vero e proprio esodo di massa del grande business internazionale da Mosca, in diversi settori: dall’energia ai trasporti, dall’auto ai servizi legali fino ai beni di consumo. Un esodo che aumenta di ora in ora: ultime in ordine di tempo, ma non certo per importanza, Ikea, Volkswagen, Lego, Netflix e Toyota, TikTok e Samsung.
E sabato 5 marzo è toccato a Visa e Mastercard annunciare la sospensione delle operazioni in Russia. Visa ha parlato della «non provocata invasione dell’Ucraina e inaccettabili eventi a cui abbiamo assistito», mentre Mastercard ha motivato con «la natura senza precedenti dell’attuale conflitto e la situazione economica incerta». E domenica stessa decisione è stata presa da American Express.
Ikea ha annunciato la chiusura di tutti i suoi 17 negozi in Russia
Volkswagen ha invece chiuso la produzione di auto.
BP cede la sua partecipazione del 20% in Rosneft
Shell prende una decisione analoga.
Eni cederà quota nel gasdotto Blue Stream
Apple, Microsoft e Nike sospendono tutte le vendite in Russia
Exxon Mobil si è aggiunta alle altre società petrolifere
Total Energies ferma i nuovi investimenti ma non lascia
Anche i maggiori studi legali internazionali si stanno mobilitando. Baker McKenzie è stata una delle prime law firms a rompere con i clienti.
DaimlerTruck e Volvo: stop alle vendite in Russia
Maersk, MSC e Dhl fermano le spedizioni in Russia
Siemens interrompe le attività in Russia
Spotify chiude ufficio a Mosca
Chiudono anche gli 86 negozi di Zara perché chiudono i 502 negozi del retailer spagnolo Inditex SA di cui Zara fa pare..
Goldman Sachs era la prima banca di Wall Street che decide di abbandonare il mercato russo
Deutsche Bank: “Come alcuni dei nostri colleghi internazionali e in linea con i nostri obblighi legali e normativi, siamo in procinto di chiudere le nostre attività rimanenti in Russia mentre aiutiamo i nostri clienti multinazionali non russi a ridurre le loro operazioni”. In futuro, Deutsche Bank ha affermato che “non ci saranno nuovi affari in Russia”. Questa mossa arriva un giorno dopo la prima Goldman Sachs (P) poi JP Morgan (JPM) Chase ha rivelato l’intenzione di terminare le loro operazioni in Russia.
Nestlé risponde alle critiche per non aver interrotto le sue attività in Russia: “Abbiamo significativamente ridotto le nostre attività in Russia: abbiamo fermato tutto l’import e l’export dalla Russia, ad eccezione dei prodotti essenziali.
l motore di ricerca Google e la collegata piattaforma video YouTube hanno interrotto la vendita di spazi pubblicitari sul territorio russo, proprio come conseguenza del conflitto in Ucraina. A riportare la notizia è l’Ansa. Uno stop che segue quello di Google Maps: sospese le recensioni, le foto e i video in Ucraina VEDI QUI
Amazon ha annunciato la sospensione immediata delle spedizioni su tutto il territorio russo e bielorusso, così come lo stop delle trasmissioni di Prime Video…
PARTNER DEL WEF
Le seguenti 20 aziende sono state tra le prime ad annunciare il ritiro dalla Russia: 1. Gruppo H&M – partner del WEF 2. Volvo – partner del WEF 3. BP – partner WEF 4. Apple – partner WEF 5. Equinor – partner WEF 6. LVMH – partner WEF 7. PayPal – partner WEF 8. Visa – partner WEF 9. Mastercard – partner WEF 10. PwC – partner WEF 11. KPMG – partner WEF 12. IBM – partner WEF 13. Unilever – partner WEF 14. The Coca-Cola Company – partner WEF 15. PepsiCo – partner WEF 16. Amazon – partner WEF 17. Heineken – partner WEF 18. Nestle – partner WEF 19. Goldman Sachs – partner WEF 20. Deutsche Bank – partner WEF
Putin nel 2021 al World Economic:
La pandemia “ha accelerato” i cambiamenti strutturali nella sfera “economica, sociale e politica del mondo intero, che già erano presenti prima”, ha detto Vladimir Putin all’incontro del WEF aggiungendo che il mondo “rischia di scivolare nella distopia” a meno che non verranno affrontate “le sfide politiche, economiche, sociali e tecnologiche che la terza decade del 21esimo secolo pone”.
Un anno dopo.
2022 Il World Economic Forum ha messo in ghiaccio le sue relazioni con la Russia, comprese le partnership strategiche con conglomerati gestiti da oligarchi. Anche un centro di ricerca sostenuto dal Cremlino a Mosca e un consiglio consultivo guidato dal consigliere economico del presidente russo Vladimir Putin sono stati silurati.
“Non siamo impegnati con nessun individuo sanzionato e abbiamo congelato tutte le relazioni con entità russe”, ha detto a POLITICO Amanda Russo, portavoce del WEF.
Congelati forse, ma non morti: Il WEF sta lasciando aperta la possibilità di servire come un costruttore di ponti tra la Russia e l’Ucraina una volta che il conflitto attivo è finito.
Fine della globalizzazione?
Leggiamo sul Huffington Post:
La globalizzazione non è morta. E lavora per sconfiggere Putin
Più di un politico o commentatore in questi giorni ha sostenuto come questa guerra fosse la causa della fine della globalizzazione. Ora, senza entrare in dotte disquisizioni teoriche di economia internazionale, più di un elemento invece spinge nella direzione opposta: la globalizzazione per sua natura lavora per indebolire Putin, spingerlo a negoziare con gli ucraini, e quindi in ultima analisi per far finire la guerra. L’interconnessione globale delle economie nonché delle persone sta rendendo sempre più desiderabile per le multinazionali vivere in un mondo pacificato e stabile, dove ci si debba solamente preoccupare del “dolce commercio” e non di dazi e sanzioni.
Gli interessi di quei settori industriali che per secoli si sono arricchiti grazie alle guerre, stavolta sembrano avere meno mordente sui capi di governo. Se nell’Ottocento, nel Novecento e fino a qualche decennio fa si combatteva anche – se non soprattutto – per il petrolio o per le commesse belliche, oggi capita che nessuna corporation o big della finanza batte ciglio quando decide di svendere le sue partecipazioni nel business del gas e del greggio russi o quando annuncia di ritirarsi completamente dal mercato moscovita. Così come per la prima volta questa è una guerra in cui l’America e l’Occidente – sempre accusati di seminare conflitti per il petrolio – finiranno per avere meno energia e a prezzi più alti e non viceversa.
Quello che però più ha stupito della vicenda russa è la velocità e la determinazione con cui quasi la totalità delle multinazionali, da Mc Donald’s a Goldman Sachs, abbiano lasciato Mosca. Non stiamo parlando di pochi spiccioli o di un piccolo mercato per queste aziende: quasi tutte dovranno svalutare i propri asset se non rinunciare totalmente a investimenti e utili in una parte del mondo popolata da 130 milioni di persone. Come è stato possibile? Grazie alla globalizzazione. Più in particolare grazie a due parole magiche: reputazione e certezza del diritto.
L’articolo completo del condirettore Gianni Del Vecchio sull’HuffPost
FONTE https://www.facebook.com/HuffPostItalia/photos/a.281341131965530/4770371456395786/?type=3
In una videochiamata il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha avvertito Xi Jinping, che Pechino avrebbe affrontato delle conseguenze se avesse scelto di aiutare Mosca, accennando alla possibilità di sanzioni.
SEGUE:
La Russia e la Cina sono coinvolte nel Grande Reset?
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