Cattura e stoccaggio della CO2, in inglese “Carbon Capture and Storage” (CCS). Si tratta di una tecnologia che si pone come principale obiettivo quello di ridurre l’impatto climatico causato dalla combustione di fonti fossili. Il suo sviluppo viene ampliamente promosso dall’industria del carbone e dalle aziende elettriche. Per loro la cattura e la sequestra zione geologica dell’anidride carbonica è un’opzione necessaria per contribuire nel lungo termine a incrementare ulteriormente la sostenibilità delle attività di produzione energetica, in termini di effetti sul clima e sull’ambiente.

“A livello internazionale, anche in Europa, gli operatori industriali evidenziano una crescente vivacità di iniziative di sviluppo e dimostrazione, dimostrando di credere fortemente nelle prospettive delle CSS”, si legge in un report dell’Enea. La situazione in Italia, ancora in evoluzione, è caratterizzata dal forte protagonismo di due grandi realtà, come Enel (per l’impiantistica) ed Eni per il trasporto e stoccaggio della CO2, che partecipano entrambe al Consorzio internazionale “CO2 Capture Project” (CCP) insieme alla maggior parte delle principali major petrolifere e da iniziative importanti effettuate da Carbosulcis con il supporto di Sotacarbo e Enea.

Ma vi è anche un ampio insieme di operatori che hanno espresso forte interesse alle CSS e che hanno avviato iniziative più o meno consistenti, con studi di fattibilità e/o attività di ricerca e scouting, come le società di ingegneria Techint, Foster Wheeler, SnamProgetti, e manifatturiere come Ansaldo. Intanto, lo scorso 03 Aprile l’Unione Europea ha pubblicato un nuovo bando per finanziare progetti dimostrativi su scala commerciale mirati alla cattura e allo stoccaggio geologico del CO2 “in modo ambientalmente sicuro”, si legge sull’avviso, nonché di progetti dimostrativi relativi a tecnologie innovative per le energie rinnovabili nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra. Per ora, però, nonostante il sostegno dell’UE, i progetti dimostrativi sono in ritardo e i finanziamenti disponibili non sono sufficienti.

È questo uno dei principali punti contestati dai detrattori di questa tecnologia: non sarà affatto in grado di fornire un contributo efficace alla riduzione delle emissioni, né alla lotta ai cambiamenti climatici, sostengono i contrari, proprio – e soprattutto- perché ci vuole ancora troppo tempo per renderla effettiva. Altri punti a sfavore includono il fatto che sarebbe troppo costosa, energivora e potenzialmente pericolosa. Dovrebbe, infine, anche fare i conti con un consumo di acqua smodato (secondo dati del Dipartimento dell’Energia americano le centrali a carbone che usano tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, rispetto a quelle tradizionali, consumano tra l’87 e il 93% di acqua in più per MWh prodotto) e con la difficoltà di rinvenire siti di stoccaggio. Insomma, alla luce di ciò, la domanda è d’obbligo: è una soluzione valida per il clima o un ulteriore pericolo?

Cattura e stoccaggio CO2: una soluzione per il clima o un ulteriore pericolo?

Claudio De Vincenti, Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico. “La tecnologia CCS è tuttora in fase di sperimentazione in diversi impianti pilota o pre-commerciali in Europa e nel mondo. Il suo sviluppo dipende dalla riuscita di queste sperimentazioni, che stanno vivendo una fase di rallentamento: ne è testimone il programma di finanziamento europeo NER300, che è andato recentemente deserto. La sfida di questa tecnologia è soprattutto dimostrarne la sostenibilità economica: attualmente infatti il costo di cattura e stoccaggio è ancora piuttosto elevato (si stima almeno 40 Euro/Tonnellata di CO2) a fronte di prezzi di mercato della CO2 molto bassi (intorno ai 5 Euro/Tonnellata). Vi sono poi problemi di accettazione pubblica su questa tipologia di impianti che, sebbene non trovino un forte riscontro scientifico, sono piuttosto diffusi in Europa nelle zone dove si pianifica di installare siti di CCS”.

Toni Federico, Presidente Osservatorio CCS. “Si tratta certamente di una soluzione utile per il clima. Il rischio maggiore che presenta, a livello ambientale, è quello della re-immissione della CO2 in atmosfera una volta iniettata. È questo “il peggiore dei casi”, considerando che una profondità di iniezione di almeno 800 metri è necessaria per mantenere la CO2 in condizione supercritica (31,1 °C e 73,9 atmosfere) con un gradiente termobarico medio tra 25 e 30 °C/km. Il vero problema, semmai, è che attualmente questa tecnologia è piuttosto costosa e dovrebbe essere incentivata. D’altronde, pur considerando che bisognerebbe smettere di emettere co2, il Carbon Capture and Storage è una tecnologia di ultima istanza e temporanea, ma necessaria per superare la crisi ambientale. Perché, al di là delle parole, bisogna prendere decisioni concrete per il clima”.

Andrea Boraschi, responsabile Campagna Energia e Clima Greenpeace Italia. “La cattura e lo stoccaggio della CO2 è decisamente un ulteriore pericolo, soprattutto perché rappresenta il miraggio che oggi giustifica la creazione delle nuove centrali a carbone e il mantenimento di quelle vecchie. Ammesso che possa essere una soluzione – e non lo è-, giungerebbe comunque troppo tardi, dato che, nella migliore delle ipotesi, non sarebbe pronta nemmeno per il 2030. E, come è ormai ben noto, se per quella data non avremo già fatto qualcosa di concreto, la partita del clima sarà persa. Anche il Global CCS Institute, evidentemente un istituto tutt’altro che pregiudizialmente sfavorevole a questa tecnologia, sostiene che gli investimenti necessari per sviluppare e rendere operativo su vasta scala il sistema CCS equivarrebbero, nei prossimi 40 anni, agli stessi capitali investiti nei passati 100 anni nell’industria degli idrocarburi. Si parla di 100 miliardi di dollari l’anno. Nel 2011 ne sono stati investiti 23,5, stessa cifra del 2010. E non è Greenpeace a drilo”.

Fedora Quattrocchi, dirigente di ricerca INGV, responsabile unità geochimica fluidi, stoccaggio geologico e geotermia. “Considerando che stiamo andando verso i 9 miliardi di persone che vogliono energia, e che questa viene prodotta soprattutto dal carbone, l’unica soluzione viene proprio da cattura e stoccaggio della CO2. L’Italia può fare scuola a livello mondiale nell’applicazione su scala industriale delle tecnologie per ridurre l’emissione in atmosfera dell’anidride, esportando nuove soluzioni soprattutto in Cina. Si tratta di una tecnologia sicura, ampiamente utilizzata negli Stati Uniti e in Canada. Può avere sismicità indotta e microsismicità, ma non dà i problemi del fracking svolto per fratturare la roccia tramite sovrapressioni indotte nella produzione di unconventional gas. Certo, in linea generale, ogni tecnologia ha un rischio: anche andare in macchina produce ben 3000 morti l’anno. Per questo bisognerebbe distinguere l’ambientalismo ideologico con quello tecnologico”.

fonte

Roberta Ragni

CCS(cattura e sequestro della CO2):si o no?

 

http://www.ssc.it/pdf/2012/ID189_CCS_SI_o_NO_TZ_OTTOBRE_2012.pdf

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