Di Nogeoingegneria
Il 5 luglio si festeggia la Giornata mondiale del bikini: il capo “provocatorio simbolo di autodeterminazione e indipendenza”. Venne inventato a Parigi dal sarto francese Jacques Heim, che lo presentò proprio il 5 luglio del 1946 creando scalpore ma proponendo allo stesso tempo un simbolo di libertà e di emancipazione. Il nome stesso, “Bikini“, venne scelto per suggerire una nuova tipologia di costume: “esplosiva”.
Lo ricorda la Treccani: ” il termine bikini riprende di peso il nome di un atollo delle isole Marshall, che costituiscono un arcipelago appartenente alla Micronesia, nell’Oceano Pacifico. Proprio l’atollo di Bikini e il vicino atollo di Eniwetok furono sede, a partire dal 1946, di esperimenti nucleari statunitensi….” Il passaggio dal nome dell’atollo al nome del costume è INCREDIBILE, con effetto duplice, se si pensa allo scalpore che destò la creazione di un costume ritenuto tanto audace da essere definito atomico“.
Fu un operazione di
LAVAGGIO DEL CERVELLO DOPO HIROSHIMA E I TEST SUCCESSIVI
L’associazione tra il bikini e le esplosioni atomiche, è un esempio paradigmatico di come la società occidentale abbia trasformato l’orrore nucleare in un elemento di cultura pop, moda e addirittura desiderabilità.
Dall’orrore atomico al bikini “esplosivo”
Quando nel luglio 1946 Louis Réard battezza il suo nuovo costume da bagno “bikini”, richiama deliberatamente l’atollo del Pacifico dove, solo pochi giorni prima, gli Stati Uniti avevano condotto devastanti test nucleari. L’intento è chiaro: la sua creazione vuole essere “esplosiva”, scioccante, rivoluzionaria come una bomba atomica, rompendo i tabù sulla nudità e il controllo femminile del proprio corpo.
La scelta del nome è quindi una strategia di marketing che sfrutta la carica simbolica e traumatica dell’evento atomico per promuovere un capo di abbigliamento associato a libertà, audacia e modernità.
Questo passaggio è stato una forma di “lavaggio di cervello”: la paura e il potenziale distruttivo della bomba atomica vengono, attraverso il bikini, addomesticati e sublimati in una fantasia erotica che riduce la portata dell’evento reale e lo trasforma in oggetto di desiderio e progresso.
Miss Atomic Bomb e altri simboli
Questa trasfigurazione si ritrova anche nella musica e nello spettacolo: la canzone “Itsy Bitsy Teenie Weenie Yellow Polka Dot Bikini di Connie Francis, è diventata una hit in tutto il mondo, in Italia con Dalida.
“Miss Atomic Bomb” fu sigla di concorsi e immagini degli anni ’50 in cui modelle venivano letteralmente incoronate come simboli della nuova era atomica — sia con il tema del desiderio distruttivo, dell’amore come esplosione emozionale, dell’attrazione mortale e travolgente
La natura duale del simbolo appare chiara: la bomba e la donna-bikini diventano entrambe portatrici di un così definito potenziale esplosivo liberatorio.
Nel dopoguerra, la cultura pop americana reinterpretò l’atomica in chiave spettacolare, con supereroi nati da radiazioni, film e giochi che celebravano il potere nucleare come progresso. Si è generato così un “enabling amnesia”, un’amnesia abilitante che permette di convivere con il trauma atomico, relegandolo a uno scenario di eccitazione, benessere e normalità, anziché come minaccia reale.
Rissaumento: La bomba atomica, realtà di orrore e distruzione, è stata trasfigurata in metafora di modernità, progresso, erotismo, eroismo e libertà. Il bikini è l’esempio più lampante di questa dinamica: da shock atomico a “shock sessuale” e simbolo di una cosidetta emancipazione femminile, con le stesse parole — “esplosione”, “bomba”, “scandalo” — passate dal lessico della guerra a quello della moda. Pop culture, musica e concorsi di bellezza (“Miss Atomic Bomb”) hanno continuato questa opera di addomesticamento, accendendo nuove narrazioni che rimuovono, nascondono o neutralizzano l’orrore originario in favore di un immaginario potente di altro tipo.
Il trasferimento semantico dal test atomico al bikini è un esempio eclatante come sanno reinterpretare, rimuovendone la carica distruttiva e trasformando in nuovi significati. Sann certamente anche fare il contrario, trasformando ciò che è radicato positivamente nella coscienza in qualcosa di negativo o nemico.
Da ricordare:
Our Friend the Atom (“Il nostro amico atomo”) che fu realizzato dai Walt Disney Studios nel 1957, trasmesso come episodio speciale della serie televisiva Disneyland e pensato proprio per “addomesticare” l’immagine pubblica dell’energia atomica, presentandola in chiave amichevole e piena di speranza
Ideato e condotto dallo scienziato Heinz Haber, il film era parte di una strategia comunicativa nata sull’onda del discorso di Eisenhower “Atoms for Peace”. L’obiettivo era mostrare l’atomo non solo come simbolo di distruzione (dopo Hiroshima e Nagasaki e gli esperimenti sulle isole del Pacifico) ma come strumento di progresso umano, energia inesauribile, medicina e persino futuro benessere sociale
. Nel documentario si usano metafore rassicuranti e fiabesche (come la storia del pescatore e del genio nella bottiglia), mentre la narrazione combina animazioni, esperimenti scientifici e un linguaggio accessibile pensato per il grande pubblico e le scuole.
La scelta di Disney di produrre Our Friend the Atom fu centrale per “normalizzare” la paura nucleare nel contesto americano, trasformando la bomba atomica da orrore a promessa di pace e modernità: una vera operazione di soft propaganda. Né va dimenticato che la Disney ripropose anni dopo una versione aggiornata (“The Atom: A Closer Look”, 1980) riconoscendo anche alcuni rischi, segno che lo scopo principale era sempre quello di guidare e rassicurare l’opinione pubblica.
Questo documentario rappresenta così uno dei nodi cruciali del modo in cui si cercò di “amichevolizzare” (rendere friendly) la scienza atomica per permettere di proseguirne lo sviluppo in senso pacifico e civile, rimuovendo gradualmente il trauma della bomba e inserendo l’atomo nel quotidiano immaginario collettivo.
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