Roberto Burioni aveva smontato ‘l’ultima bufala’ sul coronavirus e il “cardiologo di Pavia” secondo cui il calo del numero di ricoverati per Covid-19 è dovuto all’uso, recente, di farmaci antinfiammatori e secondo cui non si muore di polmonite ma per microtrombosi venose. “Prima il farmaco russo, poi il farmaco giapponese, poi il laboratorio cinese, da qualche giorno mancava una bufala sul coronavirus ed è puntualmente arrivata: il cardiologo di Pavia”, il commento di Burioni sul suo sito Medical Facts. Quindi il luminare Burioni cerca di asfaltare tutti, come ha cercato di fare anche con ‘i complottisti delle antenne 5G’. Non saranno le cure a tamponare l’emergenza, solo il vaccino potrà offrire la fuoriuscita. Siamo in buone mani.
Il testo a cui si riferiva Burioni era era il seguente:
“Non vorrei sembrarvi eccessivo ma credo di aver dimostrato la causa della letalità del coronavirus. Solo al Beato Matteo ci sono 2 cardiologi che girano su 150 letti a fare ecocardio con enorme fatica e uno sono io. Fatica terribile! Però, di quello che alcuni supponevano, ma non ne riuscivano a essere sicuri, ora abbiamo i primi dati. La gente va in rianimazione per tromboembolia venosa generalizzata, soprattutto polmonare. Se così fosse, non servono a niente le rianimazioni e le intubazioni perché innanzitutto devi sciogliere, anzi prevenire queste tromboembolie. Se ventili un polmone dove il sangue non arriva, non serve! Infatti muoiono 9 su 10. Perché il problema è cardiovascolare, non respiratorio! Sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità! E perché si formano trombi? Perché l’infiammazione, come da testo scolastico, induce trombosi attraverso un meccanismo fisiopatologico complesso ma ben noto. Allora? Quello che la letteratura scientifica, soprattutto cinese, diceva fino a metà marzo era che non bisognava usare antinfiammatori. Ora in Italia si usano antinfiammatori e antibiotici (come nelle influenze) e il numero dei ricoverati crolla. Curandola bene a casa eviti non solo l’ospedalizzazione, ma anche il rischio trombotico. Non era facile capirlo perché i segni della microembolia sono sfumati, anche all’ecocardio. Ma ho confrontato i dati dei primi 50 pazienti tra chi respira male e chi no e la situazione è apparsa molto chiara. Per me si potrebbe tornare a vita normale e riaprire le attività commerciali. Via quarantena. Non subito. Ma il tempo di pubblicare questi dati. Il vaccino può arrivare con calma. In America e altri stati che seguono la letteratura scientifica che invita a NON usare antinfiammatori è un disastro! Peggio che in Italia. E parliamo di farmaci vecchi e che costano pochi euro”.
Sono passati alcuni giorni, maggiore chiarezza si fa strada. Molti medici si tolgono la museruola. VEDI QUI
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Covid-19, il primario di Cardiologia del Sacco: «Non si muore di polmonite, ma di trombosi»
Il professor Maurizio Viecca: «Il mio protocollo a base di antiaggreganti funziona. Il ministro Speranza invii gli ispettori per validare la cura ed eviti che la burocrazia ci penalizzi»
Non la polmonite, ma una trombosi alla base di tanti decessi per Coronavirus. L’ultima scoperta porta la firma del professor Maurizio Viecca, primario di Cardiologia dell’ospedale Sacco di Milano che, dopo aver affrontato il virus e studiato l’evoluzione della malattia nella fase più acuta, ha messo a punto una terapia a base di antiaggreganti e antinfiammatori già ribattezzato “protocollo Viecca”, che da oggi è sulle principali pubblicazioni scientifiche internazionali.
«Più di un mese fa – racconta a Sanità Informazione – osservai che questi pazienti passavano dalla fase del casco CPAP alla fase dell’intubazione nel giro di un’ora e mezza, e questo è impossibile solo con una polmonite perché non c’è nessun virus al mondo che può dare una polmonite che di colpo non risponde più al casco e neanche all’intubazione. Doveva esserci qualche altro meccanismo. Al che iniziai a guardare le cartelle cliniche di questi pazienti e scoprii che in alcuni casi c’era un esame del sangue che si chiama D-dimero che era particolarmente elevato. Quando si trova questo esame del sangue alterato nell’individuo, vuol dire che c’è una trombosi in atto. Allora parlai con l’anatomopatologa del Sacco, la dottoressa Nebuloni, la quale mi disse che aveva fatto trenta autopsie e in tutte aveva trovato l’embolia dei piccoli capillari polmonari».
La burocrazia rischia però di rallentare la possibilità di applicare la cura ai pazienti italiani. LEGGI QUI
COVID-19 e trombosi: facciamo chiarezza
In collaborazione con Redazione Humanitas News
Sta circolando un messaggio – legato alla scoperta delle presunte vere cause del COVID-19 – falsamente attribuito a uno specialista del Gruppo Humanitas.
Facciamo chiarezza sul tema, con particolare attenzione al legame tra COVID-19 e rischio tromboembolico, grazie all’aiuto di due nostri specialisti: il dottor Corrado Lodigiani, Responsabile del Centro Trombosi e Malattie Emorragiche, e il professor Maurizio Cecconi, Direttore del Dipartimento Anestesia e Terapie intensive. Nel messaggio si sostiene che la letalità della malattia sarebbe legata alle microtrombosi venose e non alla polmonite causata dal virus SARS-CoV-2. Ma come stanno davvero le cose?
COVID-19 e trombosi
Spiega il dottor Lodigiani: “La correlazione tra malattie di tipo infiammatorie, come per esempio le polmoniti e la trombosi in generale (soprattutto venosa), è nota da decenni; si pensi che un paziente con una qualunque polmonite batterica o virale, quindi non necessariamente da SARS-CoV-2, viene abitualmente sottoposto a profilassi tromboembolica con eparina a basso peso molecolare, in quanto esiste una forte raccomandazione in tutte le linee guida internazionali, allo scopo di ridurre o eliminare il rischio di insorgenza di tromboembolismo venoso, ovvero trombosi venosa profonda. Si tratta della formazione di trombi nel sangue delle nostre vene che in alcuni casi possono provocare l’embolia polmonare, un evento potenzialmente fatale. La profilassi tromboembolica si effettua in genere mediante l’utilizzo di eparina a basso peso molecolare e tale raccomandazione è il frutto di uno studio scientifico pubblicato nel lontano 1999”.
“Nel nostro Ospedale oltre il 75% dei pazienti ricoverati con COVID-19 nei reparti dedicati e il 100% di coloro che sono ricoverati in Terapia Intensiva viene sottoposto a tromboprofilassi, come risulta da uno studio1 da noi pubblicato proprio oggi. I pazienti con malattie infettive o settiche gravi presentano uno stato di potente infiammazione che attivando il sistema della coagulazione induce uno stato di ipercoagulabilità e li espone quindi a un alto rischio di trombosi. Ciononostante non ci sono evidenze scientifiche che indichino la trombosi come causa unica di accesso in Terapia intensiva”, aggiunge il professor Cecconi.
Terapia anticoagulante a tutti i pazienti COVID?
“Occorre anche fare chiarezza sulla indicazione, diffusa anche da alcuni media, che tutti i pazienti con COVID-19 debbano fare una profilassi con eparina a basso peso molecolare a domicilio prima del ricovero o che debbano essere trattati con dosi sempre terapeutiche durante il ricovero. Anche in questo caso non ci sono evidenze scientifiche che confermino l’efficacia e la sicurezza di questa scelta. Come già detto l’unica indicazione indiscutibile è quella di somministrare eparina a basso peso molecolare a dosi profilattiche nei pazienti ricoverati che ovviamente non presentino controindicazioni, mentre sul suo utilizzo a dosi terapeutiche in pazienti che non abbiano un certo, e quindi documentato, evento tromboembolico non abbiamo a oggi alcun dato e dobbiamo attendere l’esito di alcuni studi randomizzati che anche in Italia sono in partenza in questi giorni. Dobbiamo infatti ricordare che la terapia antitrombotica per pazienti con trombosi venosa profonda o embolia polmonare deve essere proseguita per almeno 6 mesi ed è quindi inconcepibile iniziare una terapia tanto lunga e potenzialmente pericolosa in pazienti di cui non sappiamo con certezza se tale trattamento possa essere di benefico. Dato che mi è stato chiesto da molti pazienti voglio precisare che l’eparina non protegge in alcun modo dal rischio di contrarre il virus”, prosegue il dottor Lodigiani.
“Non è sufficiente – aggiunge il prof. Cecconi – un’idea con un razionale o dimostrare un’associazione tra due elementi per avviare un trattamento. Occorrono prove di efficacia e sicurezza e dunque studi clinici, a maggior ragione quando si parla di COVID-19, una malattia fino a pochi mesi fa sconosciuta”.
“In conclusione, anche alla luce dei risultati dello studio da noi condotto in Humanitas a oggi possiamo affermare che il tromboembolismo venoso è una possibile e prevenibile complicanza della polmonite da virus SARS-CoV-2 e che l’eparina a basso peso molecolare a dosi profilattiche è un noto ed efficace mezzo di profilassi, che pertanto dovrebbe essere utilizzata sempre ma solo nei pazienti ospedalizzati. Occorrono ulteriori studi per conoscere meglio la malattia causata da SARS-CoV-2 e soprattutto come curarla, senza dimenticare che rappresenta una novità per la medicina globale e che non esistono scorciatoie per ottenere risultati scientificamente provati” hanno concluso il prof. Cecconi e il dottor Lodigiani.
1.Venous and arterial thromboembolic complications in COVID-19 patients admitted to an academic hospital in Milan, Italy. Thrombosis Research. April 2020. Lo studio è realizzato in collaborazione con l’Università di Zurigo e l’Università di Magonza. FONTE https://www.humanitas.it/news/25866-covid-19-trombosi-facciamo-chiarezza
Covid-19, non solo polmonite. Ecco come il virus attacca e danneggia il cuore
Prof. Gaetano Lanza, Professore associato di Cardiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore e Responsabile UOSD Diagnostica Cardiologica non Invasiva, Fondazione Policlinico A. Gemelli: “Il virus potrebbe attaccare direttamente il cuore, causando un’infezione del miocardio (miocardite), con compromissione significativa della contrattilità cardiaca, e/o del pericardio (pericardite)” LEGGI QUI
APPROFONDIMENTI
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