Un copione che già conosciamo e che si ripete con sconcertante analogia con quanto accaduto a gennaio 2020 con la diffusione del coronavirus…
Arriva ancora una volta dalla Cina e rischia di essere un virus che, al pari, quello del coronavirus sembrerà una cosa da nulla. È la crisi energetica, il combinarsi di più fattori, tra cui il crollo delle forniture di carbone, l’inasprimento degli standard di emissioni di CO2 legati agli obiettivi climatici, l’aumento dei prezzi del gas naturale e il rimbalzo della domanda seguito alle riaperture dopo il lungo confinamento. Una situazione complessa, che rischia di essere esplosiva. Se in Italia e nel resto d’Europa, con differenze nella gestione politica dei singoli Paesi, si è finora manifestata nel salasso sulle bollette dei cittadini, nel Dragone si è già tradotta in carenza di elettricità.
Blackout elettrici, abitazioni e negozi a lume di candela, ascensori bloccati anche nei grattacieli, semafori spenti con ripercussioni sul traffico e sulla viabilità, strade buie: è questo lo scenario da fine del mondo che hanno vissuto sedici province del Nord Est.
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Nuovo allarme dalla Cina: blackout e fabbriche ferme – ILARIA BIFARINI
Pechino a corto di energia: cosa c’è dietro ai blackout
Mentre tutti i riflettori sono puntati sul caso Evergrande, la Cina sta facendo i conti con una crisi energetica che – questa sì – potrebbe creare un effetto domino con possibili valanghe a livello internazionale. La metà delle 23 province cinesi non è riuscita a raggiungere gli obiettivi di intensità energetici fissati dal governo centrale; di conseguenza, un discreto numero di municipalità e amministrazioni locali sono state costrette a limitare il consumo di energia.
Nell’occhio del ciclone troviamo il Guandong, lo Zhejiang e lo Jangsu, tre aree altamente industrializzate che, nel loro insieme, rappresentano circa un terzo dell’economia nazionale. A peggiorare la situazione, troviamo l’aumento del prezzo del carbone, più che quadruplicato nel corso degli ultimi 30 giorni a causa delle varie preoccupazioni sull’inquinamento, sulla sicurezza delle miniere e sul divieto di importazioni della risorsa dall’Australia, primo fornitore del Dragone.
Non mancano le conseguenze sul motore economico della Cina. Alcune tra le più importanti aziende del Paese sono sotto pressione. La Yunnan Aluminium Co., impegnata nel settore dell’alluminio, ha ad esempio ridotto le produzioni in seguito ai recenti diktat di Pechino.
Il costo della transizione energetica
La nuova parola chiave è una: risparmio energetico, sia per quanto riguarda le imprese che i privati cittadini. Secondo quanto riportato da Bloomberg, nello Jiangsu molte acciaierie hanno chiuso e, allo stesso tempo, varie città hanno addirittura spento i lampioni pubblici. Spostandosi nello Zhejiang, ci sono almeno 160 aziende “ad alta intensità energetica” – in primis del comparto tessile – che hanno sospeso le attività e che forse nemmeno riapriranno. Nel Liaoning, invece, sono stati gli stessi cittadini a fare i conti con fastidiose interruzioni di corrente elettrica.
È tuttavia impossibile capire quanto sta accadendo nella Repubblica Popolare senza affrontare il tema alla sua radice. L’improvvisa “repressione” del consumo di energia – che poi tanto improvvisa non è – deriva dall’aumento della domanda di elettricità e dal parallelo incremento dei prezzi di carbone e gas, il tutto amalgamato dai rigorosissimi obiettivi selezionati da Pechino per ridurre le emissioni di carbonio. La strada per arrivare alla cosiddetta “carbon neutrality” (emissioni zero) dovrà essere raggiunta entro il 2060 ma, come si può vedere, non sarà priva di ostacoli.
Gli effetti collaterali della cura cinese hanno travolto le gigantesche industrie manifatturiere, dalle fonderie di alluminio ai produttori di tessuti, passando per gli impianti di lavorazione della soia. Stando a quanto riferito da Nikkei Asian Review, i fornitori cinesi di Apple e Tesla hanno interrotto la produzione in alcuni loro siti. Gli ordini sono stringenti: frenare le attività o, addirittura, chiudere definitivamente.
Rischi da non sottovalutare
Ci sono due scuole di pensiero. Da una parte troviamo chi sostiene che in Cina non vi sia alcuna crisi energetica ma che, molto semplicemente, il Dragone starebbe pagando l’inevitabile prezzo della transizione energetica, con la nascita di vincitori e vinti; dall’altra c’è chi parla di choc energetico e “cigno nero” per sottolineare una ipotetica apocalisse imminente.
Certo è che se la provincia del Guandong esorta i residenti a fare affidamento sulla luce naturale, e a limitare l’uso dell’aria condizionata, significa che Pechino non può affatto sottovalutare né minimizzare le dinamiche in corso. L’offerta energetica messa sul piatto dalle autorità si è rivelata meno consistente del previsto, complice la pandemia di Covid che, con i suoi lockdown, ha fatto schizzare alle stelle la domanda da parte delle famiglie.
È pur vero, come anticipato, che la crisi energetica cinese è in parte dovuta agli obiettivi politici stabiliti da Xi Jinping. In vista delle quasi imminenti Olimpiadi invernali di Pechino il cielo dovrà brillare di un azzurro intenso, mentre, da qui ai prossimi anni, la comunità internazionale dovrà capire che la Cina è seriamente intenzionata a decarbonizzare l’economia. Anche a costo di lasciare per strada qualche “vittima”.
FONTE https://it.insideover.com/energia/pechino-a-corto-di-energia-cosa-ce-dietro-ai-blackout.html
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