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Come giovane ufficiale dei servizi segreti nell’esercito americano, Henry Kissinger prese ordini da Sir Stewart Menzies (MI6), Lord Rothschild (Banca d’Inghilterra), William Donovan (riciclatore d’oro dell’OSS), Allen Dulles (idem), David Sarnoff (RCA/NBC), Wellcome & Carnegie Funds, Rockefeller Funds (Tavistock), AT&T (telecomunicazioni), Rio Tinto (controllato dalla Corona), Raytheon, GE, IBM e Empire Press Union.
Rockefeller assunse Kissinger negli anni ’50 e poi scrisse la politica estera della Fondazione Rockefeller attraverso di lui.
Il documentatissimo articolo di HENRY KISSINGER, L’ANIMA NERA DEL XX SECOLO, approfondisce decisamente il ruolo di Kissinger negli ultimi 60 anni ed è estremamente rivelatore. La sua Realpolitik è macchiata da alcuni interventi sullo scacchiere mondiale brutali ed illegittimi, come il bombardamento e l’invasione della Cambogia, un tentato Colpo di Stato in Cile nel 1970 e il sostegno al colpo di Stato di Pinochet del 1973 che defenestrò Allende (vedi il documentario “Passato e Presente Kissinger, il mestiere del mediatore ).
L’articolo scelto a seguire, invece, getta luce sull’attuale momento storico, che mostra un importante spostamento degli equilibri geopolitici, con la formazione dell’asse Russia-Cina, e illustra un processo che dovrebbe insegnare la crescita e il significato della rete. Kissinger il tessitore insegna un elemento cruciale, il più importante, nello sviluppo di una forza trasversale che lavora per un nuovo mondo diverso da quello immaginato dall’élite globale. Da questo punto di vista il suo esempio è magistrale. È capace di ascoltare tutti, di studiare un sistema complesso e di trovare e collegare i punti e le persone creando centri e campi di forza. Non perde di vista i suoi obiettivi e li conosce molto bene.
C’è da imparare da lui.
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Articolo di NIALL FERGUSON
A metà della stesura della mia biografia di Henry Kissinger, mi è venuta in mente un’ipotesi interessante: L’ex Segretario di Stato doveva il suo successo, la sua fama e la sua notorietà non solo al suo potente intelletto e alla sua formidabile volontà, ma soprattutto alla sua eccezionale capacità di costruire una rete eclettica di relazioni, non solo con i colleghi delle amministrazioni Nixon e Ford, ma anche con persone al di fuori del governo: giornalisti, proprietari di giornali, ambasciatori stranieri e capi di Stato, persino produttori di Hollywood? Se il primo volume aveva sorpreso i lettori con il suo sottotitolo – “L’idealista” – il secondo dovrebbe forse essere sottotitolato “Il networker”?
Qualunque sia la vostra opinione su Kissinger, la sua ascesa al potere è tanto sorprendente quanto improbabile. Rifugiato dalla Germania nazista, ha trovato il suo mestiere come studioso di storia, filosofia e geopolitica mentre operava nell’esercito americano, Kissinger è stato uno dei tanti professori di Harvard che sono stati attratti dal governo durante la Guerra Fredda. La sua nomina a consigliere per la sicurezza nazionale di Richard Nixon, nel dicembre 1968, fu tuttavia una sorpresa per molti (non ultimo per lo stesso Kissinger), perché per la maggior parte del decennio precedente era stato identificato a stretto contatto con Nelson Rockefeller, il rivale patrizio di Nixon all’interno del Partito Repubblicano. Dal suo letto di malattia, l’ex presidente Eisenhower espresse il suo scetticismo sulla nomina. “Ma Kissinger è un professore”, esclamò quando seppe della scelta di Nixon. “Si chiede ai professori di studiare le cose, ma non li si mette mai a capo di qualcosa”.
La maggior parte degli autori che hanno studiato la sua successiva carriera a Washington tende a spiegare la rapida crescita dell’influenza di Kissinger con la sua stretta relazione con Nixon e con la sua abilità nelle lotte burocratiche che aveva già denunciato come accademico. Tuttavia, ciò non tiene conto dell’aspetto più caratteristico del modus operandi di Kissinger: Mentre coloro che lo circondavano continuavano a essere vincolati alle regole della burocrazia gerarchica che li vedeva impiegati, Kissinger dedicò fin dall’inizio notevoli energie alla costruzione di una rete che si estendeva orizzontalmente in tutte le direzioni al di là della cintura di Washington: con la stampa e persino con l’industria dell’intrattenimento all’interno degli Stati Uniti e, cosa forse più importante, con i principali governi stranieri attraverso una serie di “canali secondari”. Kissinger portava con sé un’innata capacità di creare legami emotivi e intellettuali anche con gli interlocutori più distanti, un’abilità che aveva affinato molto prima della sua nomina da parte del notoriamente distaccato Nixon.
È stato il talento unico di Kissinger nel fare rete, non solo il suo sapere scientifico o la sua astuta lettura della politica del potere, a renderlo una figura così formidabile. Ed è stato il suo arrivo sulla scena politica proprio quando il mondo stava passando dalla biforcazione ideologica della prima Guerra Fredda – un duello tra due superpotenze gerarchiche – a una nuova era di interdipendenza e “multipolarità” che ha reso Kissinger proprio (nelle parole della rivista TIME) “l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto”.
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In effetti, è stato il networking – ironicamente, un incontro casuale con un funzionario del blocco orientale – a far presagire il più grande trionfo diplomatico di Kissinger: l’apertura delle relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e la Cina di Mao Zedong.
Una caratteristica del sistema sovietico, che durò a lungo dopo la morte di Stalin, fu la sistematica distruzione delle reti private e l’isolamento degli individui. Anche alla fine degli anni ’60, quando i cittadini sovietici incontravano gli americani – cosa che ovviamente avveniva molto raramente – dovevano stare in guardia. Le conferenze Pugwash degli scienziati erano una rara eccezione. Oggi, dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1995, Pugwash è quasi sinonimo di disarmo e risoluzione dei conflitti attraverso la cosiddetta “diplomazia di secondo livello”. Durante la Guerra Fredda, tuttavia, le conferenze avevano un carattere più ambiguo, poiché gli accademici sovietici che vi partecipavano dovevano essere preventivamente approvati dal Comitato Centrale del Partito Comunista e talvolta persino dal Politburo. Kissinger prosperava in questo ambiente, affascinando e impressionando gli apparati sovietici con il suo caratteristico umorismo mordace, e partecipò più volte a questi incontri.
Nel 1966, alla conferenza di Pugwash nella località polacca di Sopot, Kissinger fu sorpreso dalla violenza delle invettive sovietiche contro la Cina. “La Cina non era più comunista ma fascista”, gli disse il matematico sovietico Stanislav Emelyanov durante una gita in barca al porto di Danzica. “Le Guardie Rosse non gli ricordavano niente di meno che la Gioventù hitleriana. Gli Stati Uniti e l’URSS avevano un interesse comune nel prevenire l’espansione cinese”. Emelyanov ha ammesso candidamente di non aver visto il governo sovietico così confuso dall’indomani del discorso di de-stalinizzazione di Kruscev. Fu attraverso Pugwash che Kissinger ricevette un invito a recarsi dalla Polonia a Praga, dove incontrò Antonín Šnejdárek, l’ex capo delle operazioni di intelligence ceca in Germania, ora direttore dell’Istituto di politica ed economia internazionale del Paese. I due uomini si incontrarono nuovamente a Vienna, in occasione della riunione annuale dell’Istituto per gli Studi Strategici di Londra. Il ceco avvertì francamente Kissinger che i sovietici non avevano alcuna sincera intenzione di aiutare gli americani a uscire dal Vietnam. Anzi, disse, la crisi nel Sud-Est asiatico avrebbe potuto finire per essere “un comodo pretesto [per Mosca] per rafforzare il controllo sull’Europa orientale”.
Il più rivelatore di tutti questi incontri avvenne nel gennaio 1967, quando Kissinger tornò a Praga. Ancora una volta Šnejdárek avvertì che Mosca “stava diventando sempre più sensibile alla crescente libertà di movimento dei Paesi dell’Europa orientale e soprattutto allo sforzo dei cechi di ridurre la loro dipendenza economica da Mosca”. Ma ora spiazzò Kissinger con una domanda che Kissinger dovette ammettere “non mi era mai venuta in mente”: se pensava che fosse in corso un “accordo tra Stati Uniti e Cina”. Avvertendo la sorpresa dell’americano, Šnejdárek spiegò:
“I sovietici presero estremamente sul serio l’attacco cinese nei loro confronti [una caratteristica chiave della Rivoluzione culturale di Mao]. Non potevano riconciliarsi facilmente con la fine dell’unità socialista e ancor meno con la sfida alla loro posizione di principali interpreti del leninismo. Non sempre, quindi, si coglie la portata del loro tentativo di influenzare gli sviluppi interni alla Cina. Hanno sostenuto l’apparato del partito contro Mao…”.
I maoisti, a loro volta, cercavano disperatamente “di espellere fisicamente i sovietici dalla Cina. Niente di meno che una rottura completa con l’Unione Sovietica permetterà loro di sentirsi sicuri”. È vero, la Rivoluzione culturale sembrava una spaccatura ideologica, con i cinesi come marxisti più radicali. Ma:
“A prescindere dal fervore ideologico di Mao, il materiale umano a sua disposizione lo costringerà in una direzione nazionalista – ammesso che sia ancora a capo del suo movimento”. Nonostante le loro chiacchiere, i maoisti potrebbero rivelarsi più flessibili nei confronti degli Stati Uniti rispetto ai loro avversari. Per ricostituire l’autorità governativa dovranno comunque chiudere con la Cina e una forma di trattato di non aggressione con gli Stati Uniti potrebbe adattarsi molto bene a questo disegno. Certo, anche loro odiano gli Stati Uniti, ma… nessun comunista può dimenticare il patto Hitler-Stalin”.
Dal punto di vista ceco, un simile “patto Johnson-Mao” era uno scenario allarmante perché “se gli Stati Uniti si accordassero con la Cina, aumenterebbe la pressione [sovietica] in Europa”. Temendo l’isolamento, i sovietici si sarebbero stretti su quelle che Šnejdárek chiamava obliquamente “le prospettive di sviluppo nazionale dell’Europa orientale”. Kissinger era stupito, eppure il timore del suo ospite ceco di “un accordo tra Stati Uniti e Mao” sembrava “genuino e profondo”. Gli studiosi hanno a lungo ipotizzato quale stratega americano abbia concepito l’apertura alla Cina che avrebbe trasformato il panorama geopolitico nel 1972. Ma non sono stati gli americani a pensarci per primi. Furono i pensatori strategici del blocco sovietico a prevedere il nuovo mondo evocato dalla scissione sino-sovietica, e lo fecero più di quattro anni prima della storica visita di Nixon in Cina.
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A partire dal gennaio 1969, Kissinger si accinse ad applicare alcune delle lezioni apprese come accademico e intellettuale pubblico: in particolare, la lezione che le reti informali potevano fornire canali diplomatici migliori rispetto ai ministeri degli Esteri e alle ambasciate. Come preludio alla stesura del secondo volume sulla sua vita, ho cercato di mappare la rete di Kissinger sulla base di tutte le memorie pubblicate che si riferiscono al suo periodo di governo. Questo fornisce una trama iniziale delle sue reti e di quelle degli altri, così come sono state ricordate da Kissinger stesso e dai suoi contemporanei al governo.
I grafici rappresentano le reti relative agli ego di Richard Nixon e Henry Kissinger, basate sulle loro memorie; la rete degli ego delle amministrazioni Nixon e Ford, basata sulle memorie di tutti i membri; e la rete diretta delle amministrazioni Nixon e Ford, che illustra l’importanza dei membri nelle memorie degli altri. Nei primi tre grafici (figure 1-3), l’importanza relativa è rappresentata sia dalla vicinanza al nodo centrale “ego” (che nel terzo caso è l’identità combinata di tutti i membri che hanno scritto memorie) sia dall’area del nodo. Nel quarto grafico, possiamo vedere chi ha menzionato chi e con quale frequenza lo ha fatto in termini di vicinanza reciproca, larghezza dei bordi e direzione delle frecce.
I grafici lasciano pochi dubbi su chi contava nell’era Nixon-Ford. Kissinger è molto importante per Nixon, tanto quanto sua moglie, e il secondo membro più importante delle due amministrazioni, superando Ford, che divenne presidente. A seguire (vedi figura 4) il capo dello staff di Nixon, H. R. Haldeman, seguito da Ford e dal consigliere della Casa Bianca John Dean. In questa classifica si sono classificati anche John Ehrlichman (assistente del presidente per gli affari interni), il segretario al Tesoro John Connally, il futuro presidente George H. W. Bush e Alexander Haig (assistente di Kissinger, poi vice, e successore di Haldeman dopo il Watergate).
È particolarmente evidente la differenza tra “il mondo secondo Nixon” e “il mondo secondo Kissinger”. La cerchia ristretta di Nixon (figura 1) era quella di un uomo la cui esperienza della presidenza era in larga misura confinata tra le mura della Casa Bianca.
Nel suo libro di memorie, oltre alla moglie e alle figlie, fa riferimento più spesso a Kissinger, Eisenhower (di cui era vicepresidente), Haldeman, Ehrlichman e Haig. Kissinger, invece, cita i principali leader stranieri quasi quanto i presidenti che ha servito, e più spesso del Segretario di Stato che lo ha preceduto in quella carica, William Rogers (figura 2).
GRAFICO2
L’aspetto più sorprendente è quale leader straniero si affermi maggiormente nelle memorie di Kissinger: i sovietici (il loro ambasciatore a Washington, Anatoly Dobrynin, il loro ministro degli Esteri, Andrei Gromyko, e il loro premier, Leonid Brezhnev) sono al primo posto, seguiti da Zhou Enlai, il premier cinese, e Anwar Sadat, il presidente egiziano.
Oltre a Breznev e Dobrynin, solo un altro straniero figurava tra le 40 persone più citate da Nixon: Nguyen Van Thieu, il presidente del Vietnam del Sud. Invece, solo 16 dei primi 40 nominati da Kissinger erano americani. Naturalmente, ci si aspetterebbe che il consigliere per la sicurezza nazionale e il segretario di Stato passassero più tempo del presidente con gli stranieri: è la natura del lavoro. Difficile tuttavia credere che qualsiasi precedente detentore di queste cariche sia stato un viaggiatore e un negoziatore altrettanto instancabile.
Mentre era in carica, Kissinger è apparso sulla copertina della rivista Time non meno di 15 volte. Secondo uno dei suoi profili, pubblicato nel 1974, era “l’uomo indispensabile del mondo”, anche se accusato dai suoi critici di prestare più “attenzione ai principi che ai valori”. L’ipotesi è che l’influenza e la reputazione di Kissinger fossero il prodotto non solo del suo intelletto e della sua operosità, ma anche della sua interconnessione preternaturale.
La diplomazia spionistica faceva parte di tutto questo. Lo stesso vale per i contatti con i giornalisti, in cui Kissinger eccelleva, sebbene nelle sue memorie non li menzioni quasi mai, nonostante la stretta amicizia con i fratelli Alsop, Stewart e Joseph, e con l’editorialista Tom Braden. Come ha osservato Time, Kissinger aveva “un senso gerarchico finemente accordato”. Ma ciò che contava molto di più erano tutte le altre relazioni in una rete – compresa una “rete di vecchi ragazzi” di ex partecipanti ai seminari estivi di Kissinger ad Harvard – che si estendeva in tutto il mondo.
“Cerca sempre chi è in grado di mantenere le promesse”, ha dichiarato al Time un collaboratore anonimo. “Molte porte si aprono per lui”, ha detto un “amico e ammiratore di Washington”. La rete era il prerequisito per la sua diplomazia “a catena” – un’espressione usata dal vice premier israeliano, Yigal Allon. Questo era ciò che giustificava l’affermazione che Kissinger “probabilmente [aveva] più influenza di qualsiasi altra persona al mondo”.
GRAFICO 3
L’indebolimento della gerarchia e il rafforzamento delle reti che caratterizzarono gli anni Settanta portarono molti benefici. Dal punto di vista di Kissinger, queste tendenze ridussero significativamente il rischio di una terza guerra mondiale: questo, dopo tutto, era il motivo centrale di un dialogo più frequente con l’Unione Sovietica e dell’inizio della comunicazione con la Repubblica Popolare Cinese.
I contemporanei hanno spesso riassunto la politica estera di Kissinger come “distensione”. Lui preferiva parlare di “interdipendenza”. Un “nuovo sistema internazionale” aveva sostituito “la struttura degli anni immediatamente successivi alla guerra”, dichiarò a Londra nel dicembre 1973: un sistema basato sul “paradosso della crescente reciproca dipendenza e delle crescenti identità nazionali e regionali”. “La crisi energetica”, suggerì tre mesi dopo, era una delle “doglie del parto dell’interdipendenza globale”.
Nell’aprile 1974, “La sfida dell’interdipendenza” era diventato il titolo di un discorso; nel 1975 l’interdipendenza stava “diventando il fatto centrale della nostra diplomazia”. “Se non riusciamo a riconoscere la nostra interdipendenza”, avvertiva Kissinger nell’ottobre 1974, “la civiltà occidentale che abbiamo ora è quasi certa di disintegrarsi”. Gli accademici della sua università, come Richard Cooper e Joseph Nye, hanno risposto scrivendo libri sull’argomento. L’interdipendenza trovò espressione istituzionale con la prima riunione della Commissione Trilaterale nella tenuta Rockefeller di Pocantico Hills nel 1972 e con la prima riunione del “Gruppo dei Sei” (Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone, Stati Uniti e Germania Ovest) a Rambouillet nel 1975. Il New York Times scelse di celebrare il bicentenario della Dichiarazione di indipendenza con un editoriale intitolato “Interdependence Day”.
Era un concetto adottato con entusiasmo dal presidente Jimmy Carter e dal suo consigliere per la sicurezza nazionale, Zbigniew Brzezinski.
Tuttavia, l’abitare un mondo più interdipendente comportava costi e benefici. Come ha sostenuto Brzezinski nel suo libro Between Two Ages, la nuova “città globale” creata dall'”era tecnologica” era “una rete nervosa, agitata, tesa e frammentata di relazioni interdipendenti”. Questo era vero sotto più punti di vista. Durante la prima metà della Guerra Fredda, le superpotenze erano state in grado di controllare i flussi di informazione producendo o sponsorizzando la propaganda e classificando o censurando tutto ciò che era ritenuto dannoso.
Ogni scandalo di spionaggio e ogni diserzione erano oggetto di scalpore, ma nella maggior parte dei casi si trattava solo di un passaggio di informazioni classificate da uno Stato di sicurezza nazionale all’altro. Anche questo è cambiato negli anni Settanta. I documenti ufficiali trapelati cominciarono a raggiungere il pubblico in Occidente attraverso la stampa libera – a partire dal 1971 con i Pentagon Papers consegnati da Daniel Ellsberg al New York Times – e (in misura molto minore) nel blocco sovietico attraverso la letteratura samizdat, in particolare Arcipelago Gulag di Alexander Solzhenitsyn. Le fughe di notizie ai media alimentarono a loro volta la drammatica escalation di proteste sociali nei campus universitari e nei centri urbani che fecero sembrare i primi anni Settanta così febbrili rispetto al tranquillo quarto di secolo successivo al 1945.
Complessivamente, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, quasi 400 gruppi diversi sono stati coinvolti in qualche forma di protesta negli Stati Uniti: ciò che era iniziato con la campagna per i diritti civili degli afroamericani ha presto incluso campagne per i diritti delle donne, per i diritti dei nativi americani, per i diritti dei gay e delle lesbiche, e campagne contro la guerra del Vietnam, le armi nucleari, la povertà e l’inquinamento industriale.
Come la maggior parte dei membri di quella generazione che aveva vissuto la Seconda Guerra Mondiale, Nixon e Kissinger non avevano molta pazienza con questi gruppi; anzi, Kissinger paragonò gli studenti radicali incontrati ad Harvard alla fine degli anni Sessanta agli studenti tedeschi che avevano partecipato ai raduni di Norimberga nei primi anni Trenta. Ciononostante, nelle ore piccole del 9 maggio 1970, Nixon si avventurò fuori dalla Casa Bianca per affrontare un gruppo di studenti manifestanti accampati presso il Lincoln Memorial. Si trattò di un tentativo di collegamento insolito da parte di un uomo noto per la sua riservatezza e misantropia.
Ha detto a loro:
“Mi dispiaceva che si fossero persi quella [la sua conferenza stampa del giorno prima] perché avevo cercato di spiegare… che i miei obiettivi in Vietnam erano quelli che avevano loro: fermare le uccisioni, porre fine alla guerra, portare la pace. Il nostro obiettivo non era entrare in Cambogia con quello che stavamo facendo, ma uscire dal Vietnam. Sembrava che non ci fosse – non rispondevano. Speravo che il loro odio per la guerra, che potevo ben comprendere, non si trasformasse in un odio amaro per il nostro intero sistema, per il nostro Paese e per tutto ciò che rappresentava. Ho detto: “So che probabilmente la maggior parte di voi pensa che io sia un idiota. Ma voglio che sappiate che capisco come vi sentite”.
Forse Nixon capiva come si sentivano i manifestanti. Ma, come chiarirono in seguito ai giornalisti che si precipitarono su di loro, non capivano neanche lontanamente come si sentisse lui, né gli interessava saperlo.
Molto prima che Nixon cadesse vittima della rivelazione della sua truffa da parte del Washington Post – e delle conseguenze della sua vulnerabilità in quanto isolato nella rete, con troppo pochi amici nelle istituzioni che avrebbero potuto salvarlo – Kissinger aveva capito che le reti erano più potenti delle gerarchie del governo federale. Gli studenti in protesta li conosceva abbastanza bene da non perdere tempo. Ma negli anni di Ford girò il Paese tenendo discorsi al pubblico del Midwest nel tentativo di spiegare il suo concetto strategico a un pubblico più ampio, anche se con un successo limitato.
In un certo senso, la sua impresa più notevole è stata quella di isolarsi dalla componente della rete di Nixon che gli sarebbe stata fatale: la parte che tramava l’irruzione nel Watergate. Ci voleva un genio della rete per sapere esattamente a quali nodi evitare di collegarsi.
Il potere di Kissinger, ancora basato su una rete che attraversava non solo le frontiere ma anche i confini professionali, durò a lungo anche dopo che egli lasciò il governo nel 1977, essendo istituzionalizzato nella società di consulenza Kissinger Associates, grazie a voli quasi incessanti, riunioni, incontri, cene. Al contrario, il ramo esecutivo dopo Nixon vide il suo potere significativamente ridotto dal controllo del Congresso e i giornali notevolmente rafforzati.
Nessun futuro consigliere per la sicurezza nazionale o segretario di Stato, per quanto talentuoso, sarebbe mai stato in grado di eguagliare i risultati raggiunti da Kissinger.
Traduzione a cura di Nogeoingegneria
Adapted from THE SQUARE AND THE TOWER: Networks and Power, from Freemasons to Facebook by Niall Ferguson, published by Penguin Press, an imprint of Penguin Publishing Group, a division of Penguin Random House, LLC. Copyright © 2017 by Niall Ferguson.
FONTE https://www.politico.com/magazine/story/2018/01/20/henry-kissinger-networking-216482/
HENRY KISSINGER, L’ANIMA NERA DEL XX SECOLO?
Il suo nome incute rispetto e timore in almeno cinque generazioni di politici, militari ed imprenditori: Henry Kissinger, consulente di presidenti, premio Nobel per la Pace nel 1973 (per aver deciso la fine della guerra in Vietnam che lui stesso aveva contribuito a scatenare), compirà nel 2023 cento anni. Un secolo nel quale è stato al centro della storia mondiale, ma non solo per il suo ruolo di Segretario di Stato americano. La parte più importante della carriera di Kissinger inizia alla fine della Seconda Guerra Mondiale quando, agente dei servizi segreti militari in Germania, arruola molti gerarchi nazisti (ed aiuta altri a scomparire) nelle fila delle aziende, dei laboratori scientifici, nell’esercito e nello spionaggio americano.
La sua biografia “dimenticata” parla di come, dal 1944 in poi, abbia pazientemente lavorato all’organizzazione di eserciti segreti, di colpi di Stato, di attentati, di legami tra il governo degli Stati Uniti, le sue lobbies più potenti (e più reazionarie), il neofascismo ed il neonazismo europeo, la massoneria, il Vaticano e persino la mafia. La giustificazione di questo piano che è costato incalcolabili morti: fronteggiare il socialismo ed il comunismo, ovunque, a qualsiasi prezzo. Kissinger, figlio di una famiglia ebrea scappata dalle persecuzioni di Hitler, diventa l’uomo che contribuisce alla sopravvivenza del patrimonio e del capitale umano sconfitti nel 1945, diventando così l’anima nera del nuovo ordine mondiale, che sta andando in pezzi solo adesso per diventare, probabilmente, qualcosa di ancora più spaventoso.
Questo lungo articolo spiega dettagliatamente le sue amicizie, le sue alleanze, le sue decisioni, i suoi intrighi: ci troverete i nomi più spaventosi della storia dell’umanità del XX secolo. E lui, sempre lui, nel bel mezzo, a coordinare gli sforzi di oltre mezzo secolo del sanguinario imperialismo americano…
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