****************

Li chiama usi collaterali dell’energia nucleare, mentre sono il motivo originario di questa scelta, ieri come oggi gli interessi militari sono in prima linea in questo sviluppo. “Il mondo deve essere salvato con l’energia nucleare pulita”, megafona anche Oliver Stone con il suo “coraggioso” documentario. Quanto sia pulito è stato dimostrato negli ultimi 80 anni e quanto siano importanti il ruolo dell’esercito e i relativi usi “collaterali”. Siamo arrivati al limite della follia se vediamo questa “alternativa” dipinta di verde come una salvezza. Nel frattempo, il male dei mali rimane la CO2. Un mondo capovolto. Segue un riassunto.

Puoi seguire Nogeoingegneria  con Telegram e ricevere le notizie sia su cellulare che su PC: https://t.me/NogeoingegneriaNews  

***********

Il nucleare che verrà/2

di Giorgio Ferrari


Impieghi collaterali dell’energia nucleare

1. Propulsione navale

Un altro impiego dell’energia nucleare, oltre alla produzione di elettricità, è quello della propulsione navale. L’iconografia degli anni ’50 del secolo scorso è piena di immagini e riferimenti suggestivi alla possibile “nuclearizzazione” del trasporto marittimo, che però non si sono realizzate (altro fallimento dimenticato del nucleare) a causa delle complicazioni insormontabili che questa tecnologia avrebbe apportato nella gestione e manutenzione dei navigli, nel carico e scarico delle merci e nella permanenza di navi a propulsione nucleare nei porti, tant’è che oggi la propulsione navale mercantile è affidata quasi esclusivamente a macchine che utilizzano gasolio.

Fanno eccezione le navi rompighiaccio (circa una decina, tutte russe o ex sovietiche) e le navi da guerra che ammontano complessivamente a circa 600 unità tra sottomarini nucleari, portaerei ed altre unità lanciamissili, distribuiti tra Usa, Russia, Cina, Francia, Inghilterra. Si tratta di vere e proprie “bombe “ galleggianti dato che i reattori impiegati funzionano con uranio fortemente arricchito, dal 40% al 90% cioè prossimo a quello degli armamenti nucleari, ma con una massa decisamente maggiore.

2. Missioni spaziali

Un altro settore di impiego è quello che va sotto la definizione di “nucleare per lo spazio” suddiviso in due campi di applicazione: quello per la propulsione vera e propria di veicoli spaziali e quello relativo all’alimentazione di sonde spaziali, stazioni orbitanti e basi fisse extraterrestri. La propulsione nucleare, sebbene non sia stata ancora applicata in missioni spaziali, ha fatto notevoli passi negli ultimi anni, anche in virtù della competizione tra Usa, Russia e Cina per la “conquista” dello spazio. Per quanto riguarda l’alimentazione invece si può parlare di tecnologia consolidata le cui prime applicazioni risalgono alla fine degli anni ‘60 e sono basate sulla produzione di elettricità da radioisotopi (radioisotope power systems RPS) che sfruttano il decadimento spontaneo del Pu 238 con potenze dell’ordine di alcuni Kwe. L’altra modalità, più recente, si basa sulla produzione di energia elettrica da fissione dell’U235 (fission power system FPS) e consente di raggiungere potenze dell’ordine della decina di Kwe, anche se recentemente la Cina ha fatto sapere di aver sperimentato un modello di reattore in grado di erogare 1 Mwe di potenza. Nonostante le apparenze questi valori non sono affatto trascurabili considerate le forti limitazioni costituite dal peso del reattore (che deve essere quanto più contenuto possibile), dalla trasformazione del calore generato dalla fissione in energia elettrica e dallo smaltimento del calore residuo, tenuto conto che nello spazio le condizioni ambientali sono assolutamente diverse da quelle sulla terra (assenza di atmosfera e quindi riduzione dello scambio termico).

Lo scorso mese di novembre la NASA ha emesso un bando di gara pubblico 5 per la realizzazione di un reattore “lunare” della capacità di 40 Kwe, con 10 anni di autonomia e che sia dotato di sistemi di autoregolazione e di regolazione a distanza. Inoltre il reattore deve essere contenuto in un corpo cilindrico con una massa non superiore a 6 tonnellate, un diametro di 4 metri per una lunghezza di 6 metri, e una volta installato servirà ad alimentare una base permanente sulla luna.


3. Logistica militare e civile

Negli ultimi tempi il Department of Defense (DoD), sull’onda delle minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici 6, ha messo a punto, insieme al Department of Energy (DoE), una strategia per rendere più sicuro e affidabile il funzionamento dell’intero apparato militare Usa che conta circa 7000 basi operative in tutto il mondo. Circa 500 di queste basi, tutte in territorio Usa, saranno alimentate da microreattori nucleari secondo un crono-programma gestito dal DoD che, in quanto singolo utente, è il più grande consumatore di energia negli Stati Uniti che da solo copre il 21% del consumo energetico federale totale. Nel 2016 le sue installazioni hanno consumato l’equivalente di 133.000 Gwh (pari a circa il 40% dei consumi italiani di elettricità) per un costo di circa 3,7 miliardi di dollari. La domanda complessiva di energia negli impianti DoD è stata soddisfatta da un mix di fonti energetiche tra cui elettricità (53%), gas naturale (32%) e altre fonti come olio combustibile e carbone (15%). D’altra parte le installazioni del DoD sono alimentate quasi interamente dalla rete elettrica, che è altamente vulnerabile a interruzioni prolungate dovute a una varietà di minacce, comprese quelle rappresentate dai sabotaggi del software di gestione, argomento questo che tocca direttamente il tema della sicurezza nazionale. Di qui la scelta di rendere indipendenti queste installazioni dotandole di sistemi di generazione nucleare, i microreattori, con potenze comprese tra 2 e 10 Mw. Il primo di questi microreattori è stato assegnato alla base aereonautica di Eielson 7 in Alaska e dovrebbe essere operativo nel 2027, mentre per “nuclearizzare” le prime 500 basi del DoD ci vorranno non più di una ventina d’anni considerato che si tratta di reattori totalmente pre-assemblati in fabbrica, di dimensioni contenute e che non hanno bisogno di manutenzione.

Ancora più esteso si presenta il campo di applicazione civile di questi reattori che spazia dalle miniere alle comunità isolate, dalla produzione di energia elettrica, a quella di calore per usi industriali e civili, a quella della potabilizzazione e desalinizzazione delle acque. Se si pensa poi al settore della mobilità elettrica, la diffusione dei microreattori può risultare davvero impressionante. Le previsioni fatte dall’IEA (International energy agency) al 2030 prevedono due scenari: il primo è calcolato sulla base dei programmi già varati dalle nazioni più importanti del mondo a sostegno del trasporto elettrico e prevede una massa circolante di veicoli pari a 145 milioni di unità; il secondo è calcolato tenendo conto dei parametri previsti per il 2050 (net zero emissions) e stima in 230 milioni i veicoli elettrici circolanti nel 2030, esclusi i veicoli a due/tre ruote. Di questi veicoli 3,6 milioni e 5,5 milioni, rispettivamente per il primo e secondo scenario, sono costituiti da bus elettrici (urbani ed extraurbani), mentre per il trasporto merci si prevedono, rispettivamente, 1,8 milioni di camion e 3,9 milioni di camion. Questi veicoli abbisognano di una rete di punti di ricarica diffusi ed efficienti sparsi su tutto il territorio che possono rappresentare un collo di bottiglia alla diffusione del trasporto elettrico, specie per quello merci dato che le batterie dei camion hanno una autonomia minore di quelle delle automobili. Ciò implica che i centri di ricarica extraurbani (strade ed autostrade a lunga percorrenza) dispongano di elevate potenze elettriche (dell’ordine di 1 Mwe) che spesso non è conveniente alimentare attraverso la rete elettrica nazionale, ma con fonti di energia sfruttabili in loco. Impiegando pannelli solari occorrerebbero dai 7000 ai 10.000 m² di superficie libera per produrre 1 Mwe, con le limitazioni dovute all’incidenza solare (frazioni di 24 ore a seconda della latitudine) che possono essere compensate con l’installazione di accumulatori di energia, mentre se si installasse un microreattore tutte queste complicazioni non sussisterebbero. Considerato che i punti di ricarica necessari ad una completa elettrificazione del trasporto si conterebbero a decine di milioni, si può immaginare quale immenso mercato si apre per i microreattori che, pur immaginando di impiegarli solo nel 1% di tutti i centri di ricarica, sarebbero presenti sul territorio a decine di migliaia.

4. Sviluppo data center ed estrazione di Bit-coin

La finanziarizzazione dell’economia è un processo in atto da qualche decennio e, nonostante le controindicazioni emerse (bolle finanziarie, cartolarizzazioni e speculazioni varie), non sembra arrestarsi; anzi come è suo costume, il capitale mostra di trovare sempre il modo di rivolgere a suo favore queste crisi “inventandosi” nuovi e inediti strumenti per concentrare la ricchezza e renderla, possibilmente, incontrollabile. E’ il caso delle cripto valute tra cui la più nota è il bit- coin 8 che per la sua “estrazione” necessita di un ininterrotto e intenso impiego di computer che a loro volta abbisognano di un apporto notevole e continuo di energia elettrica che, a differenza delle fonti rinnovabili, può essere assicurata dal nucleare.

Negli Usa si vanno realizzando accordi tra sviluppatori di sistemi, società elettriche e società finanziarie per costruire reattori nucleari a questi fini: è il caso della società Terawulf che dispone già di due “cripto-facilities” una vicino alla centrale nucleare di Susquehanna (Pennsylvania) e l’altra nello stato di New York in joint venture con Orion Energy, così come spicca l’attivismo di Terrapower (la società fondata da Bill Gates) nel settore nucleare con lo scopo di fornire energia ai sempre più potenti data centers che, oltre a rappresentare il nerbo della informatizzazione dei processi produttivi, sono diventati degli enormi consumatori di energia elettrica in virtù della maggiore potenza e velocità di calcolo che è richiesta dal mercato 10. Il progetto Natrium 11 di Terrapower sorgerà a Kemmerer (Wyoming) e consiste in un reattore veloce a sodio liquido di 345 Mw abbinato ad un accumulatore di energia elettrica della capacità di circa 150 Mw in grado di assicurare energia per 5 ore in caso di eventuali deficit di funzionamento della centrale nucleare.
Finanziamento dei programmi nucleari

Tenuto conto che nel mondo, come si è visto, sono sempre più numerosi gli accordi per nuovi progetti di centrali nucleari di ogni tipo e taglia, resta da stabilirne la fattibilità economica, ovvero capire se e con quali mezzi finanziari saranno realizzate.

Per quanto, negli ultimi decenni, le stime di costo del Kwh prodotto dalle centrali nucleari siano state presentate come decisamente convenienti e concorrenziali con il costo delle rinnovabili, non c’è dubbio che i tempi di costruzione di questi impianti e conseguentemente i relativi costi, si sono rivelati assai più alti di quelli preventivati come dimostrano i casi della centrale di Olkiluoto in Finlandia e quella di Flamanville in Francia. Inevitabile quindi che la ripresa del nucleare poggi su solide basi finanziarie che il capitale privato non è in grado (o non ritiene opportuno) di fornire senza un apporto determinante di finanziamenti pubblici realizzati con diverse modalità.

Negli Usa già dal 2018 sono stati stanziati fondi per la ricerca in nuove tecnologie legate al ciclo nucleare: dalle provvidenze in favore delle miniere di uranio, al ciclo del combustibile e ai nuovi tipi di reattori. Per la sola ricerca sono stati stanziati 1,323 miliardi di $ nel 2019 e 1,49 miliardi nel 2020, 1,5 miliardi di $ nel 2021 a cui vanno sommati i fondi previsti nel “Infrastructure Investment and Jobs Act” 12 emanato il 15 novembre 2021 che prevede complessivamente oltre 11 miliardi di $ per il settore nucleare di cui 6 miliardi per il credito di imposta e altre facilitazioni alle imprese che operano in questo settore, fino a tutto il 2030.

In Inghilterra è stato messo a punto un sofisticato sistema di finanziamento dei progetti nucleari, i quali sono considerati parte essenziale della attuazione del piano di governo per il raggiungimento degli obiettivi di net zero emissions previsti per il 2050 (Ten Point Plan for a Green Industrial Revolution) per il quale sono stati già stanziati , complessivamente, 12 miliardi di sterline, di cui oltre 3,5 miliardi per il solo settore nucleare. Il sistema di finanziamento concepito 13 (RAB Regulated Asset Base) si basa sullo schema del project financing classico con alcune modifiche volte a tutelare il rischio capitale, cioè quell’insieme di incertezze legate ai costi di costruzione e ai tempi di realizzazione che rappresentano i punti critici dei progetti nucleari. In pratica la società detentrice dell’impianto potrà disporre di ingenti capitali, specie nella prime fasi di realizzazione, messi a disposizione da investitori istituzionali come alcune banche controllate dallo stato e i fondi pensione dei cittadini i quali, in cambio, potranno godere di un prezzo regolamentato della tariffa elettrica. I fondi saranno erogati al proprietario dell’impianto in base all’avanzamento lavori e il tutto sarà gestito e controllato da una autorità indipendente.

In Francia il programma nucleare varato nel 2020 incontra notevoli difficoltà di carattere economico. Sono previsti 6 nuovi reattori EPR2 da 1650 Mw ciascuno, per un costo stimato totale di 47,2 miliardi di euro che dovrebbero sostituire gli impianti più vecchi ma ancora in funzione; la prima coppia di questi nuovi EPR andrebbe in servizio nel 2036 e l’ultima nel 2044. La sostenibilità finanziaria di questo programma, secondo il Ministero dell’economia e delle finanze francese 14, è condizionata dai seguenti aspetti:

– flussi di cassa di EDF almeno superiori al 1,5% annuo a partire dal 2040;
– la messa in servizio del reattore di Flamanville nel 2023 e di quello di Hinkley Point C nel 2026;
– un andamento dei prezzi del Kwh all’ingrosso che passi dai 36,6 € /Mwh del 2024 ai 74,5 €/ Mwh del 2040;
– flussi di cassa negativi post dividendo fino al 2029;
– indebitamento che sale da 41,1 miliardi di € nel 2019 a 56,9 miliardi di € nel 2028.

A ciò va aggiunto il costo del riammodernamento di quasi tutti i 57 reattori nucleari in funzione valutato, secondo le ultime stime di EDF, in 49,4 miliardi di € che fanno salire il costo complessivo del nucleare francese a circa 100 miliardi di euro, somma che non è nelle disponibilità di EDF e che quindi deve essere reperita tra i finanziatori privati (con conseguente cambio di ragione sociale di EDF) oppure con denaro pubblico, ma senza infrangere le regole del trattato di Maastricht (divieto di finanziamento diretto dello Stato): un bel rebus.

In sede europea è ormai certo che l’energia nucleare sarà introdotta tra le voci della tassonomia ufficiale dell’Unione (insieme al gas naturale), cosa che fornisce un assist assai rilevante per la realizzazione di nuovi programmi nucleari che diverrebbero immediatamente finanziabili con i fondi dell’Unione europea, ovvero con denaro pubblico. Dodici paesi (Bulgaria, Croazia, Czechia, Finlandia, Francia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovakia, Slovenia, Olanda e Svezia) sono a favore dell’introduzione del nucleare nella tassonomia UE, mentre Austria, Portogallo, Danimarca, Lussemburgo e Germania hanno espresso parere contrario. La bozza di testo che circola (si tratta di un emendamento al regolamento (EU) 2021/2139) prevede le seguenti specificazioni:

Reattori di nuova costruzione:

  • Le attività inseribili nella tassonomia riguardano il campo della ricerca su nuove tecnologie e quello della generazione elettrica e/o cogenerazione di calore e idrogeno, cioè costruzione ed esercizio del reattore fino al suo spegnimento definitivo. Sembrano quindi escluse le attività a monte e a valle, vale a dire l’estrazione e raffinazione dell’uranio, così come quelle del decommissioning degli impianti e della sistemazione dei rifiuti radioattivi che quindi non sono finanziabili con fondi UE;

  • Le emissioni di gas serra relative alla generazione elettrica non devono essere superiori a 100 gCO2e/Kwh, calcolate con metodo LCA;

  • Il permesso di costruzione dell’impianto deve essere stato rilasciato prima del 2045 dall’autorità competente dello stato membro;

  • Il progetto dei nuovi impianti deve basarsi sulle migliori tecnologie disponibili inclusa quella del combustibile ATF, che devono essere certificate ed approvate dall’autorità di sicurezza nazionale;

  • Il progetto deve essere realizzato in uno stato membro che dispone di un deposito di smaltimento definitivo per rifiuti a bassa e media attività;

  • Il progetto deve essere realizzato in uno stato membro che abbia in programma di realizzare un deposito di smaltimento definitivo per rifiuti ad alta attività;

Reattori già in esercizio:

  • Le attività inseribili nella tassonomia riguardano quelle finalizzate ad estendere la vita utile di questi impianti purchè siano state approvate dalle autorità competenti di ogni stato membro entro l’anno 2040;

  • Per i reattori in esercizio, oltre ad applicarsi le medesime specificazioni previste per i reattori di nuova costruzione, è necessario dimostrare che le attività finalizzate ad estendere la loro vita utile, aumentino il grado di sicurezza degli impianti. Ciò deve essere certificato ed approvato dall’autorità di sicurezza dello stato membro.

Per quanto riguarda l’inserimento del gas naturale nella tassonomia UE, l’insieme delle specificazioni stabilite dalla Commissione si presenta più complicato. Tuttavia i punti principali possono essere riassunti nel modo seguente: in generale gli impianti a gas naturale devono avere emissioni di gas serra inferiori a 100gCO2e/Kwh calcolate con metodo LCA basandosi però sui dati di progetto dell’impianto. Se si tratta di nuovi impianti il cui permesso di costruzione è stato rilasciato entro il 2030, le emissioni dirette di gas serra (non calcolate secondo LCA) devono essere inferiori a 270 gCO2e/Kwh, oppure inferiori a 550 KgCO2e/Kwh l’anno, inteso come valore medio su un arco di tempo di 20 anni. Quest’ultima specificazione è articolata a sua volta in diverse modalità di attuazione come quella che vincola il valore di 270 gCO2e al fatto che questi nuovi impianti vadano a sostituirne altri di più inquinanti.

L’insostenibile leggerezza del new green deal

Da quanto sopra esposto non è facile fare previsioni attendibili sullo sviluppo dell’energia nucleare per usi civili, ma una cosa è certa: nel futuro dell’umanità, a meno di rivolgimenti epocali, ci sarà ancora posto per i reattori nucleari, forse quelli a fusione, sicuramente quelli a fissione. Quanti di questi ultimi dipenderà dalle scelte che verranno fatte da qui al 2030, essendo questo il decennio decisivo per il raggiungimento degli obiettivi del new green deal, fissati per il 2050.

E’ in questo ambito che si sono fatte strada considerazioni di carattere strategico, sia economico che militare, sull’opportunità di rilanciare l’energia nucleare che poco hanno a che vedere con valutazioni prettamente tecnologiche o scientifiche di questa materia.

L’energia nucleare infatti, è considerata una tecnologia di punta che, come dimostrano le applicazioni spaziali e quelle legate all’intelligenza artificiale, non conosce limiti. Inoltre il nucleare è un settore dove la catena del valore assume caratteristiche di assoluto rilievo per l’economia di una nazione, sia per la numerosità dei comparti tecnologici interessati sia per il valore dei singoli componenti prodotti, e ciò costituisce un notevole appeal che pesa indubbiamente sulla bilancia della transizione energetica.

Né va dimenticato il ruolo che esercitano gli apparati militari in termini, non di appeal, ma di condizionamento delle politiche dei governi, tant’è che i paesi maggiormente esposti nel rilancio del nucleare civile corrispondono a quelli che dispongono dei maggiori arsenali militari. Con l’aggravarsi della crisi climatica infatti, la convergenza di interessi tra il comparto militare e quello civile sul tema dell’energia nucleare va ben oltre la consolidata sinergia funzionale alla fabbricazione delle testate nucleari, dato che l’atteggiamento delle istituzioni nazionali ed internazionali, al di là della retorica sulle sorti del pianeta, nei confronti dei cambiamenti climatici è quello di considerarli come un “moltiplicatore di minacce” 15 dalle conseguenze imprevedibili 16 che, pertanto, non può che essere gestita coinvolgendo gli apparati militari.

Sull’onda di quanto deciso negli Usa, che hanno affidato da tempo la gestione di questa materia al DoD, anche Inghilterra e Francia 17  stanno predisponendo strategie similari e, nonostante l’assenza di informazioni specifiche, è legittimo ritenere che Russia e Cina abbiano adottato misure analoghe.

D’altra parte non vanno dimenticati due aspetti che caratterizzano l’attuale rilancio del nucleare civile: il primo è che gli unici SMR immediatamente disponibili sono reattori derivati da quelli impiegati nella propulsione navale militare (Westinghouse e Rolls Roice in primis); il secondo risiede nel fatto che l’avvenire commerciale dei cosiddetti microreattori (da 1 a 10 Mw di potenza) è affidato alla “riuscita” che questi avranno nella logistica delle basi militari, non solo per la loro alimentazione elettrica, ma anche come produzione di acqua potabile e calore per riscaldamento degli ambienti, che sono applicazioni di grande interesse sociale.

Qui si schiudono orizzonti impensabili per l’energia nucleare se appena la si collocasse nello schema concettuale che molti “esperti” (ambientalisti e non) propugnano come modello di produzione elettrica distribuita sul territorio, simbolicamente rappresentata dalla “Smart grid”, cioè una rete “intelligente” che proprio in virtù di una produzione elettrica non più concentrata in grandi impianti, è in grado di regolare i flussi di energia in modo bidirezionale (dai nodi periferici al centro di una rete elettrica e viceversa).

Cosa c’è di più feasible di un microreattore nucleare dal punto di vista funzionale di una smart grid? Ci si può alimentare una fabbrica di medie dimensioni, un piccolo distretto industriale, una stazione di servizio per autoveicoli, paesi singoli o consorziati che abbisognano oltre che di energia elettrica, anche di impianti di purificazione dell’acqua, e così via dicendo, fino ad un immaginifico impiego come “reattore di condominio” in grado di fornire anche acqua calda e calore per il riscaldamento. In questo sta la “novità” del nucleare che verrà e a cui dovremo far fronte: non più la macchina imponente e minacciosa dei vecchi grandi reattori (anche se non scompariranno del tutto), ma un apparato di dimensioni ridotte e dalle architetture leggere che sia commerciabile anche al di fuori della ristretta cerchia delle utilities elettriche. In termini forti si potrebbe dire che il rilancio del nucleare sta dentro un percorso di “socializzazione” di questa tecnologia; in termini più semplici si tratta di rendere il nucleare più friendly, farlo entrare nel novero degli apparati tecnologici con cui le persone si relazionano quotidianamente per farne una presenza discreta, utile, silenziosa e non invadente: in poche parole, un nucleare “domestico”.

Il riferimento fatto precedentemente circa le possibili funzionalità tra smart grid e microreattori, ne comporterebbe l’installazione di migliaia di unità nel mondo, una vera e propria proliferazione, ed anche se è vero che le smart grid sono concepite principalmente per una produzione distribuita basata sulle fonti rinnovabili e/o a bassa emissione di CO2 nulla vieta, come dimostra la decisione della Commissione europea in tema di tassonomia, di comprendervi il nucleare che pur non essendo una fonte rinnovabile è considerato da tutti gli organismi internazionali accreditati in materia (IPCC in testa) a bassa emissione di carbonio. C’è dell’altro ovviamente (e non è poco) che riguarda, sia l’economicità di questi piccoli e piccolissimi reattori che, nonostante la propaganda favorevole, resta un incognita, ma soprattutto ci sono i problemi legati alla sicurezza e ai rifiuti nucleari. Come superarli?

Dal punto di vista della sicurezza i microreattori (ma in parte anche gli small reactor) che la NRC si appresta a licenziare, godono di procedure semplificate in quanto non abbisognano di valutazione ambientale e possono essere collocati in zone dove normalmente i reattori grandi non potrebbero stare (vincoli di sismicità, idrologia, vicinanza ai centri abitati etc). Inoltre la contenuta massa di materiale fissile presente, i meccanismi di spegnimento del reattore e l’assenza di pompe, costituiscono già di per sé un valido lasciapassare, tant’è che la NRC è orientata a licenziare questi reattori esclusivamente in fabbrica, cioè certificando il processo di fabbricazione e il prodotto finale alla stregua di quanto avviene normalmente per prodotti di largo consumo.

Quanto agli eventuali effetti radiologici che potrebbero scaturire dalla diffusione di questi microreattori, è bene non farsi soverchie illusioni: gli standard dell’ICRP (International commission on radiological protection) stabiliscono che i limiti di dose per il corpo umano si applicano nell’ambito di una “ottimizzazione” della protezione che si ottiene mantenendo la dose “al livello più basso ragionevolmente ottenibile, avendo tenuto conto di fattori economici e sociali” (ICRP 60); altrettanto labile il principio a cui si ispirano le normative IAEA nell’inquadrare il tema della protezione dell’ambiente: “Mentre gli effetti dell’esposizione alle radiazioni sulla salute umana sono relativamente ben compresi, sebbene con alcune incertezze, gli effetti delle radiazioni sull’ambiente sono stati studiati meno approfonditamente. L’attuale sistema di radioprotezione fornisce generalmente un’adeguata protezione degli ecosistemi dell’ambiente umano rispetto agli effetti nocivi delle radiazioni” 18.

Data l’abbondanza di avverbi presenti in queste definizioni (ragionevolmente, generalmente, relativamente) risulta evidente che la sicurezza è un concetto elastico, variabile a seconda delle circostanze e comunque soggetto a valutazioni socio-economiche.

Resta quindi il grosso problema dei rifiuti che, con le conoscenze e le tecnologie attualmente disponibili, è pressoché impossibile risolvere perché anche a voler credere che fra vent’anni si realizzino i “Rubbiatroni” 19 avremmo ancora milioni di tonnellate di scorie radioattive da smaltire per un periodo valutabile in migliaia di anni. Qui entrano in ballo valutazioni di ordine extra scientifico, come il rapporto rischi benefici e lo sviluppo sostenibile con tutti gli annessi e connessi che, stante la crisi climatica, hanno ulteriormente indebolito quel principio di precauzione che, pur tra mille ostacoli, era stato recepito dalle istituzioni internazionali. 20

Da un lato infatti, c’è l’incombenza dell’oggi, cioè adottare misure immediate per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici (e il nucleare è considerato fra queste); dall’altro c’è una preoccupazione che riguarda il domani, cioè l’impatto che una gran massa di rifiuti nucleari avrebbe sull’ecosistema e quale onere ne deriverebbe per le generazioni future.

Ove mai fossero esistiti dubbi su quale di questi due aspetti avrebbero privilegiato le classi dirigenti al potere, ci ha pensato la Commissione Europea a dissiparli, inserendo il nucleare nella tassonomia della UE; del resto il principio ispiratore fondamentale da cui discendono tutti i criteri di sicurezza adottati nella gestione dei rifiuti nucleari, suona così: “I rifiuti radioattivi devono essere gestiti in modo da evitare di imporre un onere eccessivo alle generazioni future; cioè, le generazioni che producono i rifiuti devono cercare e applicare soluzioni sicure, praticabili e accettabili dal punto di vista ambientale per la loro gestione a lungo termine.” 21

Parafrasando le “Domande di un lettore operaio” di Brecht, viene da chiedere: cosa si intende per onere eccessivo? Quanto è sicura la soluzione di mettere i rifiuti nucleari sotto terra? Quanto è da ritenersi lunga una gestione a lungo termine e, soprattutto, siamo sicuri che ciò che si ritiene accettabile oggi, lo sia ancora per coloro che popoleranno la terra tra mille anni?

(2. Fine)

Tratto da La Bottega del Barbieri

NOTE:

5)  https://www.nasa.gov/feature/glenn/2021/fission-system-to-power-exploration-on-the-moon-s-surface-and-beyond

6) Il National Defence Authorization Act del 2018, Sezione 335 dal titolo “Effects of climate change on department of defence” stabilisce, tra l’altro, che “il cambiamento climatico è un problema di sicurezza nazionale dato che l’instabilità climatica porterà all’instabilità geopolitica e avrà un impatto sulle attività militari americane in tutto il mondo. Un aumento di tre piedi del livello del mare minaccerà le operazioni di oltre 128 siti militari degli Stati Uniti ed è possibile che molte di queste basi a rischio possano essere sommerse nei prossimi anni. A causa dell’aumento della temperatura globale, della siccità e delle carestie molti stati falliranno, divenendo terreno fertile di organizzazioni estremiste e terroristiche.[…] Per questi motivi il pronunciamento del congresso degli Stati Uniti è quello di ritenere che il cambiamento climatico è una minaccia diretta per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e sta influenzando la stabilità in aree del mondo dove oggi operano le forze armate degli Stati Uniti, sia laddove esistono implicazioni strategiche per futuri conflitti e quindi il il Dipartimento della Difesa deve assicurarsi di essere pronto a fare fronte, sia oggi che in futuro, agli effetti di un clima in evoluzione valutando l’entità delle minacce e le risorse a disposizione e gli impianti militari devono prepararsi efficacemente per contenere i danni climatici nella loro prefigurazione generale”.

7)  https://world-nuclear-news.org/Articles/US-Air-Force-confirms-site-for-first-microreactor

8) Secondo la definizione che ne dà Borsa Italiana il bit-coin è: “una moneta virtuale creata nel 2009 da uno o più hacker con lo pseudonimo Satoshi Nakamoto. Diversamente dalle altre valute il Bitcoin non ha dietro una Banca centrale che distribuisce nuova moneta ma si basa fondamentalmente su due principi: un network di nodi, cioè di pc, che la gestiscono in modalità distribuita, peer-to-peer; e l’uso di una forte crittografia per validare e rendere sicure le transazioni. I Bitcoin disponibili in rete sono 21 milioni mentre quelli effettivamente in circolazione sono circa 9 milioni. Il valore del Bitcoin è passato da 0 (nel 2009) fino a 1200 dollari (il picco dello scorso novembre).”

9)  https://terawulf.com/
10) 
https://www.spglobal.com/marketintelligence/en/news-insights/blog/qa-datacenters-energy-hogs-or-sustainability-helpers
11)
 https://world-nuclear-news.org/Articles/TerraPower-eyes-Natrium-construction-permit-in-202

12) https://www.hlnewnuclear.com/2021/11/summary-of-nuclear-energy-provisions-in-the-infrastructure-bill/

13) Il Nuclear Energy Bill https://bills.parliament.uk/bills/3057 è stato approvato alla camera dei comuni lo scorso 26 ottobre ed ora deve passare all’esame dell’altro ramo del parlamento britannico.

14) https://reporterre.net/IMG/pdf/edf_gt_fct_nv_nuke_1_.pdf

15) https://news.un.org/en/story/2019/01/1031322

16) Su questa materia esiste ormai una diffusa pubblicistica, più o meno scientifica, che descrive scenari estremi a cui l’umanità sarà chiamata a far fronte.

Tra i primi documenti c’è senz’altro un rapporto del 2003 attribuito al Pentagono (https://www.iatp.org/sites/default/files/An_Abrupt_Climate_Change_Scenario_and_Its_Impl.pdf) dove tra gli altri temi figurano quelli delle migrazioni e dell’innalzamento del livello dei mari, di sempre maggiore attualità come rappresentato dai seguenti articoli:https://warontherocks.com/2020/09/theres-no-containment-strategy-for-climate-change/https://www.nature.com/articles/s41467-019-12808-z

FONTE https://ecor.network/articoli/il-nucleare-che-verr%C3%A0-2/

Come l’energia sta tracciando una strada per lo sforzo spaziale dell’America e per le start-up nucleari

 

 

IMPORTANTE!: Il materiale presente in questo sito (ove non ci siano avvisi particolari) può essere copiato e redistribuito, purché venga citata la fonte. NoGeoingegneria non si assume alcuna responsabilità per gli articoli e il materiale ripubblicato.Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.