Se lo scenario dipinto dall’Ipcc (Comitato scientifico sul clima dell’Onu) per quanto riguarda gli oceani è così allarmante, perchè non vediamo misure per ridurre drasticamente le emissioni di CO2.
Le cure vere ripristinano gli equilibri del pianeta. L’ultimo studio sorprendente dice: l’ecosistema degli enormi cetacei sarebbe in grado di assorbire anidride carbonica quanto 1.700 miliardi di alberi, ossia l’equivalente di 4 foreste amazzoniche.
Le minacce più gravi per queste creature del mare, oltre alla pesca, sono oggi legate al traffico marittimo e all’inquinamento acustico, in particolare dei sonar, oltre che l’inquinamento da plastica (che fa strage di cetacei) e inquinamento di ogni tipo. Gli oceani sono diventati una mega-discarica di scorie chimiche e nucleari.
Ma sono in particolar modo “ i sonar delle navi militari a minacciare la sopravvivenza delle balene: investiti dalla violenza dell’onda acustica, i mammiferi schizzano verso l’alto in preda al panico, tanto velocemente da sviluppare un embolo che spesso risulta mortale. Lo studio sull’impatto biologico prodotto dai sonar è stato pubblicato da Nature.” Articolo del 2003 e le cose nel frattempo non sono certamente migliorate. I militari sono in maggior inquinatori del pianeta.
Le balene valgono quanto 4 Amazzonie: assorbono il 40% della CO2 prodotta in tutto il mondo
Uno studio commissionato dal Fondo Monetario Internazionale ha dimostrato la centralità degli ecosistemi delle balene nella rimozione dell’anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera. Basti pensare che hanno una capacità di assorbimento pari a quasi due miliardi di alberi. Riportando le popolazioni dei grandi cetacei agli antichi splendori, avremmo un impatto sul clima estremamente positivo. Ecco perché.
Le balene, e in particolar modo quelle più grandi come la balenottera azzurra (Balaenoptera musculus) e la balenottera comune (Balaenoptera physalus), giocano un ruolo preziosissimo nell’eliminazione dell’anidride carbonica (CO2) immessa in atmosfera, contribuendo a contrastare il riscaldamento globale alla base dei cambiamenti climatici. In parole semplici, il loro ecosistema cattura ogni anno il 40 percento del principale dei gas serra prodotto naturalmente e dall’uomo, cioè circa 37 miliardi di CO2. È una quantità enorme, equivalente a quella assorbita da 1.700 miliardi di alberi. È decine e decine di volte superiore a quella “catturata” da tutte le piante ad alto fusto presenti nei più grandi Parchi Nazionali degli Stati Uniti, e quattro volte in più di quella di tutta la Foresta Amazzonica, conosciuta come il “polmone verde” della Terra.
Le balene, dunque, possono rappresentare una vera e propria arma (ndr arma?) contro i cambiamenti climatici, soprattutto se si riuscisse a riportare le popolazioni di questi grandi cetacei misticeti ai numeri precedenti dell’epoca baleniera. Basti pensare che oggi si stima sopravvivano tra le 5 e le 10mila balenottere azzurre, circa il 3 percento delle centinaia di migliaia che un tempo popolavano gli oceani prima della caccia industriale. La balenottera azzurra è stata tra le più cacciate perché si tratta dell’animale più grande mai vissuto sulla Terra, più degli stessi dinosauri, con i suoi oltre 30 metri di lunghezza massima per più di 150 tonnellate di peso. Sorti analoghe sono toccate ad altre specie di grandi cetacei; in totale si stima che oggi sopravviva un quarto delle balene di un tempo. Se si riuscisse a far rifiorire le popolazioni di questi animali, molti dei quali ancora minacciati di estinzione, per ogni punto percentuale raggiunto verrebbero strappate dall’atmosfera ingenti quantità di CO2, con benefici per tutto il pianeta.
Ma come fanno le balene a eliminare tutta questa CO2? Innanzitutto, nell’arco della propria vita una grande balena accumula fino a 33 tonnellate di CO2, e quando muore la porta sul fondo degli oceani, eliminandola per secoli dalla circolazione atmosferica. Per fare un paragone, in media un albero assorbe circa 21 chilogrammi di CO2 ogni anno, benché siano noti dei veri e propri colossi – come quelli appena scoperti nella Foresta Amazzonica – ben più capaci. Non è comunque questo il passaggio fondamentale che può aiutare l’ambiente, bensì quello legato al fitoplancton, che rappresenta il vero polmone verde della Terra. Scendendo verso il fondo del mare e risalendo in superficie, le balene quando defecano rilasciano escrementi ricchissimi in azoto e ferro, due minerali che catalizzano la diffusione nel fitoplancton. Non è un caso che dove ci sono più balene si trovano anche le concentrazioni più elevate di questi microorganismi vegetali, il cui ciclo vitale strappa le quantità maggiori di anidride carbonica dall’atmosfera.
Ne consegue che favorendo il ripopolamento delle balene, proteggendone l’habitat naturale e mettendo per sempre la parola fine alla caccia, si potrebbe contribuire in modo sostanziale e totalmente sostenibile la lotta ai cambiamenti climatici. A proporre questa soluzione è stato il Fondo Monetario Internazionale, che ha commissionato uno studio ad hoc sugli ecosistemi popolati dai giganti del mare.
Già una ricerca del 2010 dell’Australian Antarctic Division aveva individuato nelle feci ricche di ferro di questi cetacei un rimedio: favoriscono la proliferazione di fitoplancton e mitigano in parte l’inquinamento degli oceani.
I manipolatori die mari e cieli vogliono introdurre il ferro nei nostri oceani. Lasciate fare le balene!!!
GEOINGEGNERIA: FERTILIZZARE GLI OCEANI – UN DISASTRO ANNUNCIATO
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Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati delle isole Canarie ha dimostrato l’impatto devastante dei sonar militari MFA sui cetacei, letteralmente torturati da impulsi che sfiorano i 200 decibel. A causa dello spavento i mammiferi marini modificano il proprio schema di immersione e vanno incontro alla letale malattia da decompressione, che li spinge a spiaggiarsi. Per questo i biologi chiedono l’immediata messa al bando.
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