Foto Christian Velcich
La situazione deve peggiorare prima di migliorare.
Per questo motivo dobbiamo scegliere la nostra nuova strategia di lavoro.
Non so voi, ma a volte vorrei essere qualcun altro, e d’estate lo sono. Come giornalista, sei in guardia ogni giorno, sempre all’erta per non perdere nulla. Durante le vacanze estive, la mia testa si riappropria del suo spazio: registro ancora le cose che mi circondano, ma divento più indulgente, mi tengo consapevolmente a distanza, ogni tanto l’indice si muove in direzione della tastiera. E poi la sensazione vince: non farlo. Non ora. C’è tempo. Lascia che siano gli altri a farlo. Non dover sempre esprimere se stessi, anche quando si è in preda al panico, è anche una sorta di esercizio di forza e un piccolo tributo al tempo libero.
Eppure: difficilmente voglio rilassarmi completamente in questi momenti. Quando la mente è un po’ più libera, altri pensieri la occupano ancora di più. E sono pensieri di un altro ordine di grandezza. Non si tratta tanto del prossimo argomento o del prossimo testo, quanto della questione se l’attuale movimento di controcultura sia abbastanza forte da sopravvivere ai prossimi impatti. La prospettiva dell’autunno mi rattrista, anche perché vedo la fazione Covid del panico climatico scaldarsi di nuovo, beh, non si era mai fermata, solo il prezzo delle azioni di Biontech ne aveva risentito. L’UE ha emanato una legge sui media (Digital Services Act) che non lascia presagire nulla di buono. È possibile che presto la parola libero si estingua del tutto, che i siti web vengano bloccati, che i risultati delle ricerche scompaiano, che altri canali vengano cancellati. È sempre pericoloso avere ragione quando i potenti hanno torto, come già sapeva Voltaire. Non illudiamoci: siamo nel mezzo di una guerra multipolare, di cui la guerra dell’informazione è solo una parte. Si tratta della lotta per i fatti. In definitiva, si tratta della realtà.
In una recensione estiva, una volta ho scherzato sul fatto che consideravo l’intero periodo del Corona come il mio anno sociale involontario (e questo dopo aver completato il servizio militare). Nel frattempo, sono passati tre anni. E il servizio volontario sembra più una chiamata involontaria al fronte di guerra dell’informazione, reparto controspionaggio. Partigianeria giornalistica. Chi fluttua liberamente non può essere infiltrato, non può essere allontanato, non dipende da nessuno perché è impegnato allo stesso modo con tutti e la ricerca della verità viene prima di tutto. A volte si ricevono bordate, come questo pezzo della “Repubblica” [si riferisce ironicamente alla Repubblica federale di Germania, NdT] sugli infokrieger, [combattenti dell’informazione, NdT] di cui io dovrei essere uno. Ora, in estate, vedo come la “Repubblica” si stia smantellando, sprofondando in un caos fiscale e organizzativo, e ora c’è uno scandalo di abusi con tentativi di insabbiamento. Il crollo del Morsch-Moralistan come evento in diretta. È così che gli oppositori vanno alla deriva, ti passano davanti e tu te ne preoccupi così poco.
Grazie, caro Karma.
Qual è la grande cosa a cui sto pensando? È più delle piccole cose che cerco di fare ogni giorno come combattente solitario. In altre parole: un raggruppamento di forze critiche, allo stesso tempo più resistenza per la libera opinione e più forza di penetrazione nello spazio del dibattito. Il grande sogno del citizen journalism dal basso, in cui tutti possono partecipare su piattaforme non censurate in un cripto-ecosistema decentralizzato. La macchina della verità che un tempo sognavo.
O semplicemente qualcosa di meglio rispetto alla realtà attuale. In confidenza: Ci sto lavorando, non solo da ieri e nemmeno da solo, e voglio raccontarvi qualcosa di più a breve. Sono spinto verso il nuovo, l’ignoto, perché mi sento diviso: con una gamba sono nell’Ottocento, nel mondo romantico della vita dello scrittore, il flâneur a Parigi con Balzac e Miller sottobraccio nel Café Wepler di Place de Clichy. Con l’altra gamba, mi trovo nel futuro e rifletto sul modo migliore per sparare sulla matrix dell’informazione presente. Nel presente sono un corpo estraneo.
L’attuale sistema mediatico è un cartello dell’informazione. Chi decide cosa leggiamo ogni giorno sui giornali? Si possono quasi contare sulle dita di una mano. In Francia, il 90% dei libri venduti proviene da una decina di conglomerati editoriali. Come si può sfruttare tecnologicamente il potere partecipativo degli individui per dividere il potere delle forze centralizzate? È la vecchia visione dell’appello per gli spazi di dibattito libero, ma questa volta nel linguaggio del codice, degli uno e degli zeri:
Liberiamo il pensiero dalla morsa del potere! Gli strumenti per farlo sono davanti a noi. Anche la stampa dei libri è stata un tempo la distruzione di un cartello editoriale ecclesiastico. Gli anelli della storia sono sempre gli stessi. E il destino ci manda sempre sullo stesso cammino, che ci piaccia o no.
L’egemonia culturale della sinistra mainstream cadrà nei prossimi mesi e anni. Coloro che si rallegrano di questo non dovrebbero rallegrarsi troppo presto, perché fino ad allora le cose possono ancora andare male, molto più male. Stiamo già vedendo quotidianamente le avvisaglie del declino del vecchio egemone: chi cancellano, mettono nelle liste dei bestseller; la loro birra LGBTQ (Bud-Light) si disintegra da sola con danni miliardari. Un Boris Reitschuster nel frattempo raggiunge diversi milioni di visualizzazioni su Rumble, ad esempio quando rivela con quanta inquisitoria un Lanz tratta un Aiwanger, mentre l’emittenza pubblica e il mainstream vengono svuotati di fiducia come da un torrente ticinese. Un musicista sconosciuto di nome Oliver Anthony può raggiungere un pubblico di milioni di persone partendo da zero con una canzone di protesta (“Rich Men North of Richmond”).
Gli artisti dei meme con milioni di follower hanno guidato il loro pubblico attraverso la pandemia in modo più informato di tutti i media tradizionali messi insieme. Tutti sanno che “la sinistra non sa fare i meme”. L’umorismo alla fine si sposta sempre dove la risata è ancora permessa. Anche se nel frattempo si tratta di umorismo da forca.
Quasi esattamente 30 anni fa, Botho Strauss descriveva il business dei media come un giostraio virtuale e si chiedeva quando sarebbe arrivato il punto di svolta dell’attuale sviluppo. Io dicevo sempre: se, dopo l’impatto, se mai arriverà. Forse tutto sta precipitando sempre più in basso, a volte più velocemente, a volte più lentamente. Non sappiamo dove sia il fondo. Ma più è profondo, più l’impatto sarà duro.
Da questa situazione traggo una strana fiducia, alimentata dalla consapevolezza che ogni azione produce una reazione. Niente ha favorito lo sviluppo di una tecnologia resistente alla censura più dei tentativi di censura. Più i potenti spingono, più le leve di contropressione diventano necessarie e probabili. Quanto più nefandamente mentono e falsificano, tanto maggiore è il desiderio di un granello di verità.
Nei momenti di sconforto, c’è spesso una strana sincronicità di idee che si trovano improvvisamente nell’aria e che qualcuno un giorno raccoglierà e ricomporrà. Come scrittore, credo nel potere delle idee e delle parole. Se fossero impotenti, non ci sarebbe bisogno di combatterle con tanta veemenza. La verità, si dice, non ha bisogno di nessuno che l’aiuti, bisogna solo lasciare che diventi efficace, cioè rimuovere le pastoie e i blocchi.
È qui che continuerò a lavorare. Come prima e allo stesso tempo in modo un po’ diverso.
Milosz Matuschek
Tradotto dal tedesco da Piero Cammerinesi per LiberoPensare
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