Giovanna Botteri, corrispondente Rai da Pechino (dove è stata trasferita da New York), diffonde tra gli italiani la paura per il mortale virus, mostrandosi sul Tg2 interamente vestita di nero con cappuccio, guanti e maschera dello stesso funereo colore.
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Di Manlio Dinucci
Premesso che il Coronavirus non va sottovalutato e che si devono seguire le 10 regole preventive del Ministero della salute, occorre adottare una 11a regola fondamentale: impedire il diffondersi del virus della paura.
Esso viene sparso soprattutto dalla televisione, a partire dalla Rai che dedica i telegiornali quasi interamente al Coronavirus. Il virus della paura penetra così in ogni casa attraverso i canali televisivi.
Mentre lanciano il massimo allarme per il Coronavirus, essi tacciono sul fatto che l’influenza stagionale, epidemia molto più mortale, ha provocato in Italia durante la 6a settimana del 2020 – secondo l’Istituto superiore di sanità – in media 217 decessi al giorno, dovuti anche a complicanze polmonari e cardiovascolari legate all’influenza.
Tacciono sul fatto che – secondo l’Organizzazione mondiale della sanità – muoiono in Italia in un anno per Hiv/Aids oltre 700 persone (in media 2 al giorno), su un totale mondiale di circa 770.000.
A proposito della campagna allarmistica sul Coronavirus, Maria Rita Gismondo – direttore di Macrobiologia clinica, Virologia e Diagnostica Bioemergenze del laboratorio dell’Ospedale Sacco di Milano, dove si analizzano i campioni di possibili contagi – dichiara: «A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Guardate i numeri. Non è una pandemia».
La voce della scienziata non arriva però al grande pubblico, mentre ogni giorno, dalla Rai, servizio che dovrebbe essere pubblico, ai canali Mediaset e non solo, si diffonde tra gli italiani la paura per «il mortale virus che dalla Cina dilaga nel mondo».
Campagna di fatto funzionale a quanto dichiara il segretario Usa al commercio Wilbur Ross in una intervista a Fox Business: «Penso che il Coronavirus contribuirà al ritorno di posti di lavoro dalla Cina negli Usa. In Cina c’è stata prima la Sars, dopo la peste suina, ora il Coronavirus». Quindi, commenta il New York Times, «la perdita per la Cina potrebbe essere un guadagno per l’America».
In altre parole, il virus potrebbe avere un impatto distruttivo sull’economia cinese e, in una reazione a catena, su quelle del resto dell’Asia, dell’Europa e della Russia, già colpite dal calo dei flussi commerciali e turistici, a tutto vantaggio degli Usa rimasti economicamente indenni.
Global Research, il centro di ricerca sulla globalizzazione diretto dal prof. Michel Chossudovsky, sta pubblicando sull’argomento dell’origine del virus una serie di articoli di esperti internazionali. Essi sostengono che «non si può escludere che il virus sia stato creato in laboratorio».
Tale ipotesi non può essere considerata complottista ed esorcizzata come tale. Perché? Perché gli Stati uniti, la Russia, la Cina e le altre maggiori potenze hanno laboratori in cui si conducono ricerche su virus che, modificati, possono essere usati quali agenti di guerra biologica anche su settori mirati di popolazione.
È un campo circondato dal più fitto segreto, spesso sotto copertura di ricerca scientifica civile.
Emergono però dei fatti: la presenza a Wuhan di un biolaboratorio dove scienziati cinesi, in collaborazione con la Francia, effettuano studi su virus letali, tra cui alcuni inviati dal Laboratorio canadese di microbiologia.
Nel luglio 2015 l’Istituto governativo britannico Pirbright ha brevettato negli Usa un «coronavirus attenuato».
Nell’ottobre 2019 il Johns Hopkins Center for Health Security ha effettuato a New York una simulazione di pandemia da coronavirus prevedendo uno scenario che, se si verificasse, provocherebbe 65 milioni di morti.
Non è invece simulata la pandemia del virus della paura, che dilaga con distruttivi effetti socio-economici.
(il manifesto, 25 febbraio 2020)
Coronavirus, il consiglio del medico guarito dall’Ebola: “Fate così”
A distanza di cinque anni dalla guarigione dall’Ebola Fabrizio Pulvirenti, medico siciliano operatore di Emergency, ha parlato con i giornalisti di Open del Coronavirus. Ecco che cosa ha raccontato a proposito dello straordinario lavoro dei volontari in Africa e dello Spallanzani di Roma, fondamentale per la sua guarigione: “Il mio è stato un isolamento coatto e ospedaliero, decisamente diverso da quello dei pazienti che hanno contratto il Coronavirus nelle ultime settimane. Nel mio caso, per Ebola, il rischio mortalità era al 50%, qui si parla di meno del 2%”. Pulvirenti ha dato alcuni consigli su come gestire l’emergenza e il panico scatenatosi dal diffondersi del virus in Italia: “Come contenere l’epidemia? Le istituzioni devono fare come i volontari in Africa, ovvero ricostruendo le cosiddette “catene di contagio”, cioè isolando il caso “indice”.
Fabrizio lavora come infettivologo nell’ospedale Umberto I di Enna, e non ha dubbi sulla reale gravità del Coronavirus: “Da queste malattie si può guarire. In questo caso, secondo me, si tratta di un’emergenza sanitaria enfatizzata dai media.
Le vittime italiane, ad esempio, erano anziane, con un sistema immunitario già compromesso, con cardiopatie o broncopatie. Quindi sarebbero decedute probabilmente anche a seguito di altre infezioni respiratorie, virali o batteriche. Non enfatizziamo, quindi, gli aspetti rischiosi, visto che il più delle volte queste malattie decorrono in modo quasi banale. Prepariamoci, invece, a un raddoppio quasi giornaliero del numero dei casi dal momento che nelle ultime ore sono stati somministrati centinaia di test in Italia. LEGGI QUI
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