Articolo di Pietro Mecarozzi

Il nuovo strappo tra Cina e Stati Uniti, questa volta, si potrebbe definire terra terra. Washington e Pechino, infatti, continuano il tiro alla fune commerciale e finanziario, in grado non solo di frenare i mercati delle due super potenze, ma perfino di azzoppare l’intero sistema economico globale, spostando l’attenzione verso dei materiali tanto minuscoli quanto preziosi, le terre rare.

In questi giorni, infatti, il Pentagono ha iniziato la prima fase di discussione con il governo australiano su un accordo che porterebbe all’importazione di terre rare richieste dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Le terre rare (lantanio, ittrio, cerio e samario) sono minerali le cui applicazioni sono davvero innumerevoli, soprattutto in elettronica. Si utilizzano per produrre superconduttori, microchip, magneti, fibre ottiche laser, schermi a colori, il tutto con riferimenti non casuali al settore militare. Tali componenti sono fondamentali in molti campi e per questo già presenti nella disputa commerciale. Il Paese asiatico ha aumentato le tariffe al 25% dal 10% sulle importazioni, mentre gli Stati Uniti hanno escluso gli elementi dalla propria lista della spesa in terra asiatica per un valore di circa 300 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti nondimeno devono alla Cina, il principale fornitore globale, circa l’80% dell’import di terre rare. Pertanto, non è poi una grande sorpresa l’arrivo dei nuovi attriti.

La Cina può seriamente mettere fine alla possibilità di esportare le terre rare negli Stati Uniti solo in risposta a un aumento dei dazi. Del resto Ellen Lord, sottosegretario Usa della Difesa per acquisizione e sostegno, si è portata avanti, scongiurando le conseguenza di un provvedimento simile con un incontro con i suoi omologhi australiani. L’Australia è infatti tra le prime quattro potenze al mondo per la presenza del coltan, dietro solo al Brasile, con il quale detengono una quantità pari al 57% del totale mondiale. La columbite-tantalite, o coltan, è considerato il petrolio 4.0 (non è rinnovabile, costa molto ed è parte integrante della nostra società) e viene utilizzata per la costruzione di turbine aeronautiche, per la produzione missilistica e nucleare, nel campo della telefonia mobile come ingrediente fondamentale per la batteria di cellulari, cerca-persone, personal computer, videogame e infine in medicina, in quanto alcune apparecchiature per funzionare necessitano dei microcondensatori al tantalio.

Insomma, Lord ha messo le cose in chiaro da subito: “La sfida è in realtà la lavorazione e avere le strutture adeguate per compierla. Spesso la Cina li estrae altrove per poi lavorarli nei centri urbani di Pechino. Stiamo quindi esaminando una varietà di meccanismi per sostenere gli impianti di lavorazione”.

Le riserve stimate in Australia sono pari a 3,4 milioni di tonnellate e nonostante la poca esperienza nel mining, alcuni esperti illustrano un trend in ascesa, con i produttori australiani capaci di sfruttare i tagli alla produzione cinese di quest’anno per approfittare di prezzi più favorevoli e una maggiore domanda. Il continente è pertanto nel mirino di alcune delle maggiori società giapponesi, con fondi che raggiungono anche i 1,5 miliardi di dollari.

La parola finale, tuttavia, sarà quella dell’amministrazione Trump. Il tycoon ha già emesso cinque decisioni presidenziali secondo cui i fondi del DoD (Dipartimento della difesa degli Stati Uniti) dovrebbero essere destinati allo sviluppo di una nuova applicazione delle terre rare. Il tutto con l’aiuto dell’azienda australiana Lynas, posta al centro del piano grazie a una miniera in Australia e a un impianto di lavorazione in Malesia, fucine di quantità rilevanti di terre rare, ma prive della capacità di gestire la separazione delle terre pesanti. Fattore richiesto per la maggior parte dei materiali in forze al Dipartimento della Difesa.

FONTE 

TERRE RARI E INTERESSI CONNESSI 

A fine agosto il Pentagono stava negoziando con l’Australiaimportante alleato americano – affinché ospitasse uno stabilimento di lavorazione di terre rare. Non molto dopo la  Reuters aveva rivelato che l’esercito americano ha in programma di finanziare la costruzione di impianti di trasformazione di questi minerali. L’Australia da settembre sta vivendo un’ emergenza incendi senza fine , che sta mettendo in ginocchio il Paese.

Risorse energetiche e minerarie in Australia

L’industria mineraria rappresenta da molto tempo un importante fattore della crescita economica dell’Australia; attualmente il paese è del tutto autosufficiente per quanto riguarda la domanda dei minerali economicamente più importanti, e in diversi casi è addirittura tra i principali produttori mondiali. Quasi tutti gli stati possiedono risorse minerarie, ma è l’Australia Occidentale che contribuisce in maggior misura alla produzione mineraria totale, che comprende carbone, lignite, bauxite, rame, oro, minerali di ferro, manganese, nichel, stagno e uranio.

L’Australia fornisce, con una produzione di 259.000 kg (2004), circa il 12% della produzione aurea mondiale; i maggiori giacimenti si trovano nell’Australia Occidentale, in particolare nella zona nei pressi di Kalgoorlie, da dove l’oro viene perlopiù esportato a Singapore, in Giappone, in Svizzera e a Hong Kong. In seguito alla scoperta dei giacimenti di diamanti nella regione di Kimberley, nel 1979, l’Australia ne è divenuta il maggiore produttore mondiale; nel 2004 la produzione ha raggiunto 9,28 milioni di carati per gioielleria e 11,3 milioni di carati per uso industriale, quasi totalmente provenienti dal grande giacimento di Argyle, nel Kimberley.

La maggior parte della produzione australiana di minerali di ferro – 158.069.240 tonnellate (2004) – proviene dall’Australia Occidentale; altre riserve di minerali ferrosi si trovano a Iron Knob, nell’Australia Meridionale, nell’isola Cockatoo, al largo dell’Australia Occidentale, nella Tasmania nordoccidentale e nel Gippsland nello stato di Victoria. I minerali di ferro sono destinati quasi interamente all’esportazione; l’Australia è attualmente il principale fornitore del Giappone, mentre altri importanti mercati sono la Cina, la Germania, la Corea e Taiwan.

Nel corso degli anni Ottanta del Novecento, grazie alla scoperta e allo sfruttamento di enormi giacimenti, l’Australia è divenuta uno dei maggiori produttori mondiali di bauxite e di alluminio; le miniere più importanti si trovano a sud di Perth nell’Australia Occidentale, sulla penisola di Capo York nel Queensland e sulla penisola Gove nel Territorio del Nord.

Cospicue miniere di uranio si trovano nel Territorio del Nord e a Olympic Dam, nell’Australia Meridionale; la produzione è interamente esportata, coerentemente con la politica antinucleare del paese.

L’industria del bitume è concentrata per lo più nel Nuovo Galles del Sud e nel Queensland. I giacimenti di lignite nello stato di Victoria alimentano la produzione industriale di energia elettrica. Giacimenti di nichel sono presenti a Kambalda, a sud-est di Kalgoorlie, a Greensvale, nel Queensland, nella regione al confine tra l’Australia Occidentale e Meridionale, e nel Territorio del Nord. Il manganese proviene soprattutto da Groote Eylandt nel Territorio del Nord. I due terzi del rame australiano sono estratti dal Monte Isa nel Queensland; altre miniere si trovano sul Monte Lyall in Tasmania e a Tennant Creek nel Territorio del Nord.

Il Queensland, la Tasmania e il Nuovo Galles del Sud sono i principali produttori di stagno. Broken Hill, nel Nuovo Galles del Sud, è da oltre un secolo un’importante zona di produzione di zinco e piombo. Dalle sabbie di minerali delle spiagge del Queensland meridionale, del Nuovo Galles del Sud e dell’Australia Occidentale si estraggono titanio e zircone, con diversi altri metalli tra cui l’ilmenite. Concentrati di tungsteno si estraggono dall’isola King nello stretto di Bass. I principali giacimenti di petrolio e di gas australiani si trovano nel Gippsland, nello stato di Victoria, e a Carnarvon, nell’Australia Occidentale; la produzione annua di petrolio grezzo nel 2004 era pari a 187 milioni di barili. La fornitura di energia elettrica è demandata ai governi degli stati federati; nel 2003 il 91,4% era ottenuto da centrali termoelettriche, alimentate per la maggior parte con bitume o lignite. Il paese possiede inoltre diversi impianti idroelettrici, tra cui l’importante impianto nelle Snowy Mountains (che rifornisce principalmente Canberra, Melbourne e Sydney) e molti impianti minori in Tasmania. L’Australia è quasi interamente autosufficiente per il proprio fabbisogno di petrolio e combustibili; nel 2002 le importazioni costituivano il 9,1% del totale delle importazioni. “Australia,” Origine : Emmanuel Buchot e Encarta. FONTE

LA GUERRA DEI METALLI RARI, IL LATO OSCURO DELLE ENERGIE VERDI

La sfida sulle terre rare tra Cina e Stati Uniti

https://www.ilsole24ore.com/art/terre-rare-la-sfida-usa-cina-rischiare-e-anche-l-europa-AChHwNO

Labor pushes for more mining in South Australian nuclear weapons test range

https://www.australianmining.com.au/news/labor-pushes-for-more-mining-in-south-australian-nuclear-weapons-test-range-2/

Lynas reveals $500m plan for growth

https://www.australianmining.com.au/news/lynas-reveals-500m-plan-for-growth/

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