Al momento la guerra in Ucraina è il centro assoluto della nostra attenzione, allo stesso tempo altre guerre imperversano, la guerra più devastante è quella con la pretesa di voler resettare la natura, il grande reset ha dimensioni planetarie attraverso la distruzione su larga scala. Klaus Schwab la chiama distruzione creativa. Un esempio illustra che cosa si intende con questo.
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Cambiare la composizione genetica degli alberi potrebbe potenziare la loro capacità di prelevare l’anidride carbonica, ma non tutti sono convinti che sia una buona idea.
Di tutte le potenziali soluzioni per la crisi climatica, nessuna è riuscita a catturare i cuori e le menti come quella di piantare alberi. È un obiettivo su cui sembrano essere tutti sono d’accordo: scienziati, politici, e persino miliardari stanno mettendo la loro influenza al servizio degli sforzi per rinverdire la terra con nuove foreste in grado di catturare il carbonio e, si spera, immagazzinarlo nei tronchi e nel terreno per decenni.
Ma nessuna soluzione per il clima è mai così semplice. Diversi studi hanno scoperto che le campagne di rimboschimento non sempre generano i benefici che promettono. Se le foreste appena piantate non sono adeguatamente curate e monitorate, gli alberi possono morire e il carbonio che hanno immagazzinato viene diffuso nuovamente nell’atmosfera. A volte non ci sono abbastanza semenzali per questi programmi. L’entusiasmo di massa per questi programmi ha generato anche reazioni parzialmente negative, e gli scienziati sostengono che benché piantare alberi sia certamente una cosa importante, non dovremmo illuderci che rappresenti una soluzione alle grandi sfide della crisi climatica.
Altri scienziati, però, sottolineano che esiste un altro problema legato ai progetti per per piantare alberi in massa: gli alberi stessi. E se gli alberi esistenti non fossero abbastanza efficaci nell’immagazzinare il carbonio? Se gli scienziati riuscissero a trovare un modo per aumentare la loro capacità di assorbimento del carbonio, ogni albero piantato sarebbe in grado di catturare il carbonio in modo più efficiente dal punto di vista dei costi. Un albero migliore potrebbe essere la cosa che stiamo aspettando. Dobbiamo solo crearlo.
Rendere gli alberi più efficienti
Maddie Hall, amministratrice delegata e fondatrice della startup climatica Living Carbon, è alla ricerca della Tesla degli alberi: “Non solo un albero migliore per l’ambiente, ma un albero che cresca anche più velocemente e sia in grado di sopravvivere meglio o essere più efficace nei vari climi rispetto alle varietà tradizionali – spiega Hall –. In gran parte è una questione di come migliorare il tasso di crescita e anche il potenziale di cattura del carbonio degli alberi“.
Il modo in cui le piante prelevano l’anidride carbonica e la luce del sole per trasformarli in materiale organico ha del miracoloso, un’alchimia biologica che sostiene quasi tutta la vita sulla Terra. Ma questo processo – la fotosintesi – purtroppo è anche inefficiente. Solo una piccola frazione della luce solare che colpisce le foglie viene effettivamente trasformata in materiale organico, mentre nella maggior parte delle piante circa il novantacinque per cento di tutta quest’energia viene sprecato. Per gli scienziati delle piante come Amanda Cavanagh della University of Essex questo spreco rappresenta però un’opportunità. Se riuscisse a trovare un metodo per fare in modo che le piante riescano a ridurre in parte questa inefficienza, gli alberi potrebbero usare quell’energia per crescere. Come la maggior parte dei ricercatori in questo settore anche Cavanagh si concentra su colture a crescita più rapida in grado nutrire un maggior numero di persone, ma lo stesso approccio potrebbe essere rivelarsi estremamente utile anche per estrarre il carbonio dall’atmosfera. Gli alberi in grado di eseguire la fotosintesi in modo più efficiente dovrebbero essere anche più veloci nel trasformare il carbonio atmosferico in tronchi, foglie e radici. In teoria, perlomeno.
Nel 2019, Cavanagh e i suoi colleghi hanno pubblicato un articolo su Science che suggeriva che fossero sulla buona strada. Inserendo nuovi geni nelle piante di tabacco, gli scienziati sono riusciti a fare in modo che riciclassero un prodotto di scarto della fotosintesi, trasformandolo in una molecola che la pianta poteva usare per crescere. Una volta piantate, le piante di tabacco modificate da Cavanagh si sono rivelate il quaranta per cento più produttive rispetto a quelle non modificate (le piante di tabacco sono l’equivalente dei topi da laboratorio nel mondo della scienza delle piante; l’obiettivo finale è replicare la tecnica su colture come il grano o la soia).
Ora una startup californiana ha adottato lo stesso approccio, ma questa volta con alberi di pioppo. In un articolo preliminare non ancora sottoposto a peer review e pubblicato il 19 febbraio, gli scienziati di Living Carbon hanno affermato che inserendo nuovi geni negli alberi di pioppo è possibile far crescere le piante il 53 per cento più velocemente rispetto ai loro equivalenti non modificati. Entrambe le serie di alberi sono state coltivate in condizioni controllate che differiscono significativamente da quelle che le piante affronterebbero in natura, ma Hall spera che gli alberi modificati siano in grado di dare slancio ai programmi di piantagione, assorbendo il carbonio atmosferico più rapidamente.
“La nostra convinzione è che il cambiamento climatico sia un problema di tassi relativi. Ed è anche un problema che non possiamo risolvere solo attraverso processi generati e gestiti dall’uomo, come la cattura diretta dell’aria“, spiega Hall (le tecniche di cattura diretta dell’aria prevedono la costruzione di dispositivi in grado di prelevare l’anidride carbonica atmosferica o il metano, ma secondo una recente stima potrebbero essere necessari 10mila macchinari di questo tipo per ottenere una variazione nei livelli di CO2). Il modello di business futuro di Living Carbon prevede di piantare gli alberi geneticamente modificati su terreni affittati da privati, a cui destinare una parte dei proventi della vendita dei crediti verdi ottenuti grazie alla crescita degli alberi.
Durante la fotosintesi la maggior parte delle piante generano un sottoprodotto tossico chiamato fosfoglicolato, la cui scomposizione richiede l’utilizzo di energia (un processo chiamato fotorespirazione). Gli alberi modificati di Living Carbon hanno geni aggiuntivi provenienti dalle alghe e dalla zucca che aiutano la pianta a usare meno energia per scomporre il fosfoglicolato e a riciclare alcuni degli zuccheri creati dal processo. Questo percorso rappresentava un’opzione ovvia nel tentativo di rendere le piante più efficienti, spiega Yumin Tao, vicepresidente per la biotecnologia di Living Carbon. “Si trasforma il sottoprodotto in energia e nutrienti per la crescita delle piante“, racconta. Una crescita maggiore delle piante significa più carbonio catturato.
Tao e i suoi colleghi hanno fatto crescere i pioppi geneticamente modificati in laboratorio per 21 settimane prima di raccoglierli e pesarli per vedere quanta biomassa avevano accumulato. La pianta più performante aveva il 53 per cento di biomassa in più in superficie rispetto alle piante non modificate. I test hanno anche mostrato che le piante modificate hanno assorbito più carbonio, un’indicazione del fatto che avevano un tasso più alto di fotosintesi.
I dubbi sul lungo periodo
“È un primo passo davvero entusiasmante“, spiega Cavanagh, che non è stata coinvolta nella ricerca di Living Carbon, aggiungendo però che non sappiamo ancora se questi alberi saranno più efficaci nell’immagazzinare il carbonio nel lungo periodo. I pioppi di Living Carbon sono stati raccolti dopo solo cinque mesi, mentre in natura gli alberi possono vivere per più di cinquant’anni. Solo ulteriori studi riveleranno se gli alberi continueranno a crescere rapidamente man mano che invecchiano. Il loro tasso di crescita potrebbe rallentare, oppure potrebbero ammalarsi al punto da cadere e diffondere tutto il carbonio nell’atmosfera una volta marciti. “L’effetto riscontrato nella fase in cui le piante sono ancora semenzali rimane lo stesso nei diversi stadi di maturità? Oppure la pianta avrà una reazione?“, si chiede Cavanagh.
Presto queste ipotesi verrano messe alla prova. Living Carbon ha già piantato 468 dei suoi alberi con fotosintesi potenziata nell’Oregon centrale, nel quadro di una sperimentazione sul campo in collaborazione con la Oregon State University. L’azienda analizzerà la velocità di crescita degli alberi su periodi di tempo più lunghi e anche il loro comportamento in ambienti diversi. Hall racconta che l’azienda ha anche raggiunto degli accordi per piantare pioppi creati con una tecnica leggermente diversa su circa 1400 ettari di terreno privato negli Stati Uniti, con le prime piantagioni previste per la fine del 2022.
L’introduzione di alberi geneticamente modificati in natura è però ancora una questione controversa. I ricercatori della State University di New York hanno ingegnerizzato un castagno resistente a una malattia che ha devastato la specie negli Stati Uniti, ma l’albero non ancora ha ancora ricevuto l’approvazione dal dipartimento dell’Agricoltura del paese. A oggi negli Stati Uniti sono stati approvati solo due alberi geneticamente modificati, due varietà di alberi da papaya e prugne resistenti ai virus. Gli alberi con cui Living Carbon sta attualmente lavorando non producono polline, il che dovrebbe limitare il problema del mescolamento del materiale genetico delle piante modificate con gli alberi selvatici.
Un metodo alternativo
Alcuni scienziati delle piante, però, pensano che ci sia un percorso più semplice per creare alberi migliori: coltivarli alla vecchia maniera. Per migliaia di anni gli esseri umani hanno coltivato piante migliori, spiega Richard Buggs, un biologo evolutivo che studia la salute delle piante ai Kew Gardens di Londra: “Sono totalmente d’accordo con la premessa fondamentale che abbiamo bisogno di alberi più produttivi e in grado di stoccare il carbonio più velocemente. Penso solo che ci siano opportunità fantastiche per farlo attraverso le variazioni che già esistono in natura“, racconta. Generalmente coltivare significa ibridare due varietà attraverso l’impollinazione incrociata – fecondando i fiori di un albero con il polline di un altro – o rafforzare un tratto vantaggioso all’interno di una specie autoimpollinando una pianta con quel tratto.
Piuttosto che interferire in un processo fondamentale come la fotosintesi, Buggs suggerisce di focalizzarsi su altri tratti che potrebbero essere utili per creare alberi più efficienti: “Ci sono in realtà un sacco di cose che stanno già accadendo in natura in grado di influenzare la crescita di un albero e con cui potremmo lavorare“, racconta, per esempio le variazioni nella velocità con cui crescono gli alberi, quanto sono dritti i loro tronchi e quando fanno cadere le foglie. Tutti questi fattori influenzerebbero l’idoneità degli alberi per la cattura del carbonio, spiega Buggs: “Preferirei un approccio di questo tipo. Penso che sia più realistico, ed è molto più probabile che ci si ritrovi con un albero che sopravviva e stocchi il carbonio a lungo termine in ambienti naturali“.
Hall in realtà non si immagina sconfinate foreste pubbliche di alberi geneticamente modificati, e sottolinea che il più delle volte i suoi alberi finiranno per essere abbattuti per ottenere legname, un altro motivo per trovare un modo di accelerare la loro crescita. Anche altre aziende sono interessate agli alberi a crescita rapida: nel 2015 il governo brasiliano ha approvato un albero di eucalipto progettato da un’azienda cartiera progettato per produrre il venti per cento di legno in più rispetto agli alberi convenzionali.
Nell’agricoltura il dibattito tra la coltivazione naturale e l’ingegneria genetica va avanti da oltre mezzo secolo. Ora una conversazione simile inizia a prendere piede anche nel mondo della silvicoltura. Potremmo riuscire a coltivare alberi più produttivi, ma l’approccio potrebbe richiedere decenni. Forse non abbiamo tutto questo tempo, dice Cavanagh: “Tra trent’anni la mia carriera sarà finita – spiega –. Vorrei essere sicura di aver fatto tutto il possibile per assicurarmi che ci siano soluzioni nel caso in cui le cose dovessero andare come nelle peggiori proiezioni“.
Questo articolo è comparso originariamente su Wired UK.
FONTE https://www.wired.it/article/clima-alberi-geneticamente-modificati-co2/
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SCIENZIATI CREANO ALBERI GENETICAMENTE MODIFICATI ‘PER COMBATTERE IL RISCALDAMENTO GLOBALE’
LA FORESTA SILENZIOSA
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