Il campo magnetico funziona come schermo di protezione contro i raggi ultravioletti (Uv) provenienti dal cosmo e, a causa del suo indebolimento, circa 40 mila anni fa ci fu un aumento dei raggi Uv che furono fatali ai Neanderthal.

Scriveva Isaac Asimov 35 anni fa:  “Esiste in effetti un pericolo reale che possiamo compromettere l’ozonosfera: gli aerei a reazione volano sempre più numerosi nella stratosfera, mentre i razzi attraversano tutta l’atmosfera per raggiungere lo spazio esterno. Col tempo, le sostanze chimiche riversate nell’atmosfera superiore dagli scarichi di questi veicoli potrebbero accelerare la scissione dell’ozono. Questa eventualità è stata usata come argomento contro lo sviluppo degli aerei supersonici, all’inizio degli anni settanta.” dal l libro di fisica (Asimov’s New Guide to Science) pubblicato per la prima volta nel 1984.

 

“Neanderthal scomparso a causa del campo magnetico”

Estinti per colpa dell’esposizione eccessiva ai raggi UV. Uno studio Cnr-Ismar mette in relazione il campo magnetico con l’evoluzione umana. “Potrebbe verificarsi un nuovo crollo, come quello di 41mila anni fa”. E dalla Francia spunta un’altra tesi sul declino: colpa del calo di fertilità

FURONO le radiazioni Uv in dosi supermassicce a far scomparire l’uomo di Neanderthal, più che la competizione tra specie. E’ la nuova ipotesi dei paleomagnetisti Luigi Vigliotti Jim Channell che hanno identificato la causa scatenante nell’Evento di Laschamp, una delle principali escursioni del campo magnetico terrestre, risalente a 41 mila anni fa (41.300+/-600 anni). In sostanza, il crollo (a circa il 25% del valore attuale) improvviso del campo magnetico terrestre fu determinante per la selezione dei nostri antenati, i Cro-Magnon, a scapito dei neanderthaliani che subirono un aumento delle radiazioni ultra-violette. Il tutto a causa di una variante genetica del recettore arilico (AhR), una proteina sensibile proprio ai raggi Uv. Così, in un lasso di tempo relativamente breve di circa 2000 anni, i Neanderthal lasciarono il passo ai Sapiens.

Lo studio, condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Ismar) e dall’Università della Florida e pubblicato su Reviews of Geophysics,spiega come i ricercatore abbiano tratto queste conclusioni combinando le datazioni sulla scomparsa dei Neanderthal (41.030-39.260 anni fa) dai principali siti paleolitici con dati genetici.

La ‘convivenza’ (non ché l’incrocio) tra “Neanderthal e Sapiens durò per alcune migliaia di anni, come dimostrano le ‘impronte’ lasciate nel nostro Dna e i tratti somatici di alcuni individui contemporanei”, spiega Vigliotti. “La loro estinzione è stata oggetto di numerose ipotesi, incluso l’istinto ‘fratricida’ dei nostri antenati. Nel 2016 un gruppo di biologi molecolari ha scoperto l’esistenza di una piccola variante genetica Ala-381 nel recettore arilico dei Neanderthal rispetto al Val-381 dei Sapiens (e dei fossili Cro-Magnon), che fu interpretata come un vantaggio nell’assorbimento delle tossine prodotte dal fumo legato allo stile di vita trogloditico. Il recettore arilico è infatti fondamentale nel regolare l’effetto tossico della diossina. La coincidenza con i tempi dell’estinzione dei Neanderthal suggerisce che invece fu lo stress ossidativo prodotto dalla mancanza dello schermo fornito dal campo magnetico terrestre rispetto ai raggi Uv ad essere responsabile della loro scomparsa”.

I raggi ultravioletti e l’estinzione dei mammiferi

“Non è un caso che la fine del Laschamp segni l’uscita di scena dei Neanderthal e l’espansione dei Cro-Magnon, cioè dell’uomo moderno”, spiega Vigliotti. “Il Laschamp non fu per altro fatale solo ai neanderthaliani. Nello stesso intervallo di tempo in Australia si estinsero 14 generi di mammiferi, soprattutto di grossa taglia, come dimostra la drastica diminuzione nei sedimenti delle tracce di sporormiella, un fungo coprofilo che vive sullo sterco di grandi animali erbivori, proprio in corrispondenza del minimo di intensità del campo magnetico terrestre. Un altro minimo osservato circa 13 mila anni fa portò alla scomparsa di 35 generi di grandi mammiferi in Europa e soprattutto in Nord America intorno a questo intervallo di tempo, quasi in un ‘istante’ geologico. Questi due focolai di estinzione – aggiunge – dipendono dalla diminuzione dell’ozono stratosferico durante gli episodi di bassa intensità di campo magnetico e dal ruolo della radiazione ultravioletta ben più che dall’overkill da parte dell’uomo o dal cambiamento delle condizioni climatiche”.

La ricerca appena pubblicata analizza anche le relazioni tra intensità del campo magnetico ed evoluzione umana negli ultimi 200 mila anni, l’intervallo di tempo che ha visto lo sviluppo dell’Homo Sapiens. “Abbiamo integrato tutti i dati fossili esistenti con le datazioni delle ramificazioni principali dell’evoluzione umana in base all’analisi del Dna mitocondriale e del Cromosoma-Y. Nonostante la scarsità dei materiali fossili e i margini di errore delle metodologie utilizzate per ricostruire l’età delle ramificazioni dei vari aplogruppi (gruppi con lo stesso profilo genetico) umani, abbiamo trovato interessanti relazioni”, dice il ricercatore Cnr-Ismar. “La datazione a circa 190 mila anni fa dei resti fossili del più antico Sapiens conosciuto (Omo Kibish, trovato in Etiopia) e del Mithocondrial Eve, il nostro più recente antenato comune su base matriarcale, coincide con un altro momento di assenza del campo magnetico terrestre noto come Iceland Basin Excursion”.

Il ruolo del campo magnetico sull’evoluzione umana

“L’evoluzione umana – conclude Vigliotti – ha poi avuto vari sviluppi concentrati tra 100 e 125 mila anni fa, nell’ultimo interglaciale, che hanno fatto considerare il clima uno dei fattori che hanno guidato l’evoluzione. Anche in questo caso però registriamo un altro minimo del campo magnetico terrestre: l’evento di Blake (125-100 mila anni fa). Con il procedere delle conoscenze sulla ricostruzione del campo magnetico, del suo ruolo nel modulare i raggi Uv e di quello dell’AhR rispetto agli effetti di queste radiazioni, e quando saranno disponibili più accurate datazioni di nuovi reperti fossili e miglioramenti nella filogenesi umana, si chiarirà meglio il ruolo che l’intensità del campo magnetico gioca nell’evoluzione di tutti i mammiferi e forse non solo”.

Il campo magnetico in continua evoluzione

Un nuovo crollo del campo magnetico non è da escludere. “Il campo magnetico terrestre – spiega infatti lo studioso – si sta già abbassando da più di 2mila anni, ma dal 1800 circa lo sta facendo più velocemente, a un ritmo 10 volte più alto del solito. Potrebbe crollare, come ha fatto 40mila anni fa causando l’estinzione dei Neanderthal, oppure stabilizzarsi o anche risalire. Impossibile prevederlo, così come è impossibile sapere in anticipo come reagirà l’umanità a un nuovo crollo”.

“Quello che abbiamo scoperto è che il campo magnetico terrestre influenza l’evoluzione: lo ha fatto 40mila anni fa causando la scomparsa dei Neanderthal e di altri mammiferi, risparmiando i Cro-Magnon. Del resto la vita si è sviluppata sulla terra in coincidenza con la stabilizzazione del nucleo terrestre, cioè la fonte del campo magnetico”, spiega Vigliotti. “Sappiamo, inoltre, che il campo magnetico terrestre è in continua evoluzione. Non sta mai fermo – continua – e oscilla sempre. Sappiamo che si sta abbassando e che da un po’ di tempo ha accelerato il ritmo, ma non possiamo prevedere cosa succederà”. Molte le ipotesi e le speculazioni. “Potrebbe fermarsi oppure invertire tendenza e risalire”, sottolinea Vigliotti. “E’ possibile anche che continui a calare e con questo ritmo, nel giro di mille o duemila anni arrivare a zero”, aggiunge. Le conseguenze sono altrettanto imprevedibili e imponderabili.

L’altra ipotesi: un calo della fertilità

A escludere catastrofi e cambiamenti climatici come cause della scomparsa dell’uomo di Neanderthal è anche un altro studio, che prende in considerazione l’estizione dal punto di vista demografico. Secondo la ricerca pubblicato sulla rivista Plos One dai ricercatori guidati da Anna Degioanni, dell’università francese di Aix-Marseille, si sarebbe trattato di un calo della fertilità con una diminuzione dei tassi nelle donne giovani (sotto i 20 anni di età) di appena lo 2,7% abbinata a una diminuzione dello 0,4% della sopravvivenza dei bambini, con meno di un anno di età, che potrebbero aver portato alla diminuzione della popolazione e alla sua estinzione nell’arco di 4.000-10.000 anni. Il modello è stato creato sulla
base di dati raccolti osservando i moderni gruppi di cacciatori-raccoglitori e su grandi scimmie ancora esistenti, così come dati relativi ai neanderthaliani, disponibili da precedenti studi. “Questo studio sulla scomparsa dei Neanderthal – chiariscono però gli autori – non tenta di spiegare perché i Neanderthal si sono estinti, ma di identificare come potrebbero essere scomparsi”. FONTE

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